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As-Safir

16/01/2016

 

La resistenza popolare in Palestina: la realtà e la prospettiva di una nuova speranza

di Hamze Jammoul

Traduzione e sintesi di Federico Seibusi

 

La resistenza non armata e l’importanza del suo ruolo per la fine dell’occupazione ha raggiunto un consenso maggiore, permettendo la sua pratica organizzata seguendo una strategia chiara

 

I territori palestinesi occupati sono testimoni di un aumento di azioni armate individuali rappresentata della cosiddetta “Intifada dei coltelli”, manifestazione della rabbia popolare contro la politica di occupazione. Questi avvenimenti hanno rinnovato il dibattito politico e intellettuale sul futuro della relazione fra l’autorità e le masse e sulla natura del metodo di resistenza necessario per conseguire la liberazione della terra, o almeno, il ritorno della questione marginale come priorità. In questo contesto, ci si chiede se l’azione pacifica sia compatibile con l’azione armata e se la resistenza popolare non armata sia in grado di realizzare l’aspirazione del popolo palestinese.

Di recente, il dott. Marwan Darweish e il dott. Andrew Rigby dell’Università di Coventry in Gran Bretagna, hanno pubblicato un libro intitolato “Proteste popolari in Palestina: il futuro incerto della resistenza non armata”, edito da Pluto Press. Il testo ha l’obiettivo di mostrare la storia della lotta palestinese non armata, dedicandosi alla ricerca della cause di questo fenomeno e offrendo i fattori della sua permanenza e le condizioni del suo successo.

Dal 2010, la teoria riguardo l’efficacia della resistenza popolare non armata e l’importanza del suo ruolo per la fine dell’occupazione ha raggiunto un consenso maggiore, permettendo la sua pratica organizzata seguendo una  strategia chiara, specialmente dopo il fallimento dei tentativi per i “negoziati di pace” e del vuoto crescente nelle relazioni di fiducia fra autorità e massa. D’altra parte, si prenda in considerazione che la natura spontanea della resistenza popolare palestinese sia una reazione alle pratiche del nemico sionista e da ciò ne deriva il dubbio riguardo la sua efficacia. Questa questione, porta ad elencare le sfide affrontate dalla resistenza popolare pacifica e poi a mostrare la prospettiva di un ritorno alla speranza.

Il movimento di resistenza popolare palestinese è caratterizzato dall’assenza di una strategia chiara e dall’assenza di coordinazione fra le diverse reti sociali che praticano azioni di resistenza pacifica. L’assenza di strategia influisce sull’efficacia della resistenza popolare e riduce la sua capacità di realizzare gli obiettivi prefissati poiché l’iniziativa viene negata e viene posta come reazione ai crimini del nemico. In effetti, le dimostrazioni contro il muro di apartheid sono aumentate nella prima fase di costruzione per poi diminuire dopo il completamento, fino a scomparire nella maggior parte dei casi.

La frattura fra le forze politiche nazionali influenza le anime del popolo palestinese che vede se stesso lasciato in balia del suo destino e va di pari passo con il problema dell’inadeguatezza della comunità araba negli ultimi anni. L’impressione prevalente è che il popolo sia vittima di questo conflitto mentre alcuni leader traggono profitti realizzando i loro interessi personali. Il divario fra autorità e massa contribuisce al declino della fiducia, fattore necessario al successo di una qualsiasi resistenza popolare, e questo spinge verso la crescita del fenomeno di iniziative individuali armate o di azioni pacifiche, a parte alcune eccezioni.

La sfida maggiore palestinese è rappresentata dallo sviluppo di una strategia unica di resistenza dove l’autorità indica le fasi che le organizzazioni e le associazioni affiliate devono intraprendere sotto la sua egida, a prescindere della loro identità politica e posizione geografica. Al cuore di questa strategia, la volontà dell’autorità politica deve offrire appoggio alla resistenza e trarre vantaggio dal successo che il popolo palestinese ha raggiunto nel cammino di lotta popolare. La realizzazione di questa prospettiva richiede la creazione di una situazione in cui il costo economico, politico e diplomatico diventi un peso enorme  per le fazioni e la direzione politica d’occupazione. Inoltre, la violenza alla base dell’occupazione deve diventare palese in modo che aumenti la solidarietà con il popolo palestinese in tutto il mondo.

Gli autori del libro offrono una serie di fattori per creare le condizioni di una nuova prospettiva e sono: la riconciliazione fra Fatah e Hamas con la formazione di un governo d’unità nazionale; la fiducia e il riconoscimento verso l’efficacia della resistenza popolare non armata; l’affidamento verso il potere che quest’ultima offre; lo sviluppo sistematico di una strategia che possa gravare sull’occupazione; il conseguimento del finanziamento necessario per assicurare il continuo della rivolta popolare; e la liberazione della terra come obiettivo principale della rivolta.

Darweish e Rigby sono certi che l’occupazione dipenda da numerosi fattori e fra questi c’è sicuramente la cooperazione dei cittadini con le forze d’occupazione, poiché esse non traggono la loro forza solamente dalla loro capacità militare, ma anche dall’obbedienza dei cittadini, che qualora diminuisca creerebbe difficoltà nell’imposizione del loro volere.

Concludendo, i due scrittori sottolineano che, malgrado alcuni sottovalutino l’importanza e l’efficacia della resistenza popolare non armata accusandola di promuovere la resa e la normalizzazione sotto l’occupazione, essa, associata a quella armata, può realizzare più risultati sul campo, specificando che la natura del conflitto con il nemico sionista in Palestina è una combinazione possibile fra l’esperienza della resistenza in Libano e l’esperienza di Nelson Mandela in Sud Africa. Gli eventi in corso, confermano la prontezza delle masse palestinesi in prospettiva di una nuova speranza, ma non si può dire lo stesso per i partiti politici.

 

Hamze Jammoul è un ricercatore libanese esperto di Medio Oriente, autore di numerosi articoli pubblicati per importanti testate nel mondo arabo e in Europa. È inoltre co-fondatore e direttore generale del Mediterranean-Gulf  Forum e commentatore televisivo presso numerosi canali d’informazione.

 

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