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27/01/2016

 

Leader palestinese: Ban Ki-moon non genera terrorismo, l'occupazione sì

 

Ad AsiaNews Bernard Sabella commenta il durissimo scontro fra il capo della diplomazia Onu e il premier israeliano. L’intellettuale cattolico condanna ogni forma di violenza, ma l’assenza di un piano politico e una visione di pace acuiscono il conflitto. L’establishment israeliano usa le crisi regionali per promuovere la propria agenda espansionista. 

 

Le parole di Ban Ki-moon "non incoraggiano il terrorismo. Non è mio interesse difenderlo, ma egli ha espresso solo un monito contro la violenza. Aggiungo anche che sono l’espansione annunciata degli insediamenti e gli espropri in atto a sud di Gerico che creano tensione e impediscono, una volta di più, la ripresa del piano di pace e l’accordo sui due Stati, generando frustrazione fra i palestinesi”.

È quanto afferma ad AsiaNews il prof. Bernard Sabella, cattolico, rappresentante di Fatah per Gerusalemme e segretario esecutivo del servizio ai rifugiati palestinesi del Consiglio delle Chiese del Medio Oriente. Commentando il durissimo scontro verbale fra il segretario generale Onu e il premier israeliano, il leader palestinese conferma la condanna contro ogni forma di violenza; tuttavia, egli aggiunge anche che “fino a che l’establishment israeliano finge che non vi sia un’occupazione, non si può imputare solo al fronte palestinese la mancata volontà di riconciliazione”. 

 

In queste ore si è inasprito ancor più il rapporto fra Benjamin Netanyahu e il segretario generale Onu Ban Ki-moon, da tempo ai minimi storici con il premier israeliano che accusa le Nazioni Unite di aver perso “da tempo” la loro “neutralità” e la “forza morale”. Secondo il capo del governo le parole del leader Onu “incoraggiano il terrorismo” e “non vi è alcuna giustificazione” per gli atti ostili e di violenza contro lo Stato e il popolo di Israele. 

A scatenare l’attacco frontale di Netanyahu, il riferimento di Ban Ki-moon ai palestinesi quando sottolinea che “è nella natura umana dei popoli oppressi reagire di fronte all’occupazione”. Intervenendo al Consiglio di sicurezza Onu, il segretario generale uscente - il mandato scade a fine anno - ha detto che dietro gli attacchi all’arma bianca della terza “intifada dei coltelli” vi è un “profondo senso di alienazione e disperazione” fra i palestinesi. Come dimostra la storia l’occupazione, ha aggiunto Ban Ki-moon, “funge da potenziale incubatore di odio ed estremismo” e anche l’interruzione del processo di pace non aiuta a trovare una soluzione stabile alla questione. 

 

Pur condannando gli attacchi dei palestinesi verso i cittadini israeliani, egli ha aggiunto che il programma di insediamenti nei Territori Occupati pone seri dubbi sulla reale intenzione di Israele di procedere nella creazione di uno Stato palestinese. Parole che hanno fatto infuriare il premier Netanyahu, secondo cui il segretario generale delle Nazioni Unite fomenta le violenze e il terrore; egli respinge le accuse e punta il dito contro i palestinesi i quali, a suo dire, lavorano contro la creazione di un loro Stato. Intanto aumentano le vittime delle violenze, con 155 morti fra i palestinesi, 28 gli israeliani, oltre a un cittadino americano e un eritreo. 

 

“Ciò che avviene nei Territori Occupati - spiega Sabella - è contro ogni processo politico che porti alla soluzione dei due Stati. Certo, non si può mai ammettere l’uso della violenza, da nessuno dei due fronti, ma è doloroso e inutile parlare di vittime da entrambe le parti e non menzionare l’assenza di un processo politico e di una visione di pace fra Israele e Palestina. Soprattutto”, aggiunge, “se Israele promuove una politica degli insediamenti” con la recente approvazione di 153 nuove case in Cisgiordania. 

 

“In Israele”, prosegue l’intellettuale cattolico palestinese, “vi è una mentalità da vittima che è molto pericolosa perché ostacola la ricerca di una via di uscita alla crisi. Siamo, aggiunge, “in una situazione di stallo, come il protagonista di Aspettando Godot … ci vorrebbe un miracolo politico!. I cambiamenti dell’agenda internazionale e regionale, le guerre in Siria e Iraq, la deriva estremista di matrice islamica non favoriscono la ripresa del processo di pace. Alcuni in Israele” - conclude Sabella - “pensano che in seguito a questi cambiamenti, sono liberi di fare ciò che vogliono e perseguire una propria agenda. Ma è un errore nel lungo periodo, perché se non si arriva a una soluzione con i palestinesi vi saranno ripercussioni in tema economico, politico e sociale gravissime, con disoccupazione, crollo del turismo, come sta già avvenendo. E a soffrirne saranno tutti. Tuttavia al momento non vedo questa volontà nella leadership israeliana”.(DS)

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