http://nena-news.it

05 mar 2016

 

L’Onu denuncia: “E’ allarme demolizioni. Diritti palestinesi a rischio”

di Rosa Schiano

 

Mercoledì ruspe dell’esercito israeliano hanno demolito 41 strutture nel villaggio di Khirbet Tana (Nablus) lasciando senza tetto 36 persone. A febbraio l’Onu aveva esortato Tel Aviv a porre fine a questa pratica e a rispettare il diritto internazionale.

 

Roma, 5 marzo 2016, Nena News –

 

Khirbet Tana è una piccola comunità collocata a sud est di Nablus dove risiedono circa 250 persone che vivono di allevamento ed agricoltura. Mercoledì i residenti si sono visti arrivare le ruspe dell’esercito israeliano che hanno demolito 41 strutture e lasciato senza tetto dieci famiglie composte da 36 persone di cui 11 minori, mentre altre cinque famiglie hanno visto colpite le proprie fonti di sostentamento.

È quanto riporta, in un comunicato pubblicato ieri, l’OCHA (Agenzia delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari). Delle strutture demolite, dodici erano state fornite dall’Autorità Palestinese e dalla Mezzaluna Rossa Palestinese come assistenza umanitaria alle famiglie bisognose. Abitazioni, cucine, bagni, forni tradizionali, un impianto solare, strutture agricole e persino un edificio che funzionava da scuola elementare per nove bambini sono stati completamente distrutti. Si trattava di una sola classe per i piccoli palestinesi di Khirbet Tana. Precedentemente, nel 2011, le autorità israeliane avevano demolito la scuola della comunità.

Necessitando di una superficie a pascolo per gli animali, la maggior parte dei residenti non ha altra scelta che restare. Le autorità israeliane negano loro i permessi di costruzione nell’area affermando che la comunità si trova all’interno di un’area utilizzata per esercitazioni militari e dichiarata “poligono di tiro”; i palestinesi sono così vittime di ripetute ondate di demolizioni, l’ultima avvenuta il 9 febbraio.

Circa il 18% dell’area della Cisgiordania è stata dichiarata “poligono di tiro” ed include 38 comunità palestinesi.

Sono 323 le abitazioni ed altre strutture palestinesi demolite dalle forze israeliane in Cisgiordania dall’inizio del 2016 e quasi 440 i palestinesi sfollati, di cui oltre la metà sono minori, riferisce il comunicato dell’OCHA. La maggior parte delle demolizioni sarebbero avvenute nell’Area C, il 60% dell’area della Cisgiordania sotto totale controllo israeliano ed in cui vivono circa 300.000 palestinesi. Inoltre, circa 1.700 persone avrebbero perso strutture connesse alle proprie fonti di reddito. Circa un terzo delle strutture colpite quest’anno erano state fornite ai palestinesi come aiuto umanitario.

Si tratta dei più alti livelli di demolizione e dislocamento registrati in un simile lasso di tempo dal 2009, denuncia l’OCHA.

Il 17 febbraio Robert Piper, Coordinatore per le Attività Umanitarie e lo Sviluppo delle Nazioni Unite per i territori palestinesi occupati, aveva lanciato un appello per una cessazione immediata delle demolizioni di proprietà palestinesi nella Cisgiordania occupata e per il rispetto del diritto internazionale. Piper aveva definito “preoccupante” il numero crescente di demolizioni nelle prime sei settimane del 2016, nel corso delle quali oltre 400 palestinesi sono stati dislocati dalle proprie abitazioni, un numero equivalente ad oltre la metà dei palestinesi dislocati in tutto il 2015. Piper aveva fatto notare che soltanto l’1,5% delle richieste per ottenere permessi di costruzione viene approvato e che non esistono alternative legali per i palestinesi che scelgono di restare e che quindi sono costretti a costruire senza autorizzazioni.

Le strutture che non hanno regolari permessi ricevono automaticamente ordini di demolizione. Mentre solo parte degli ordini di demolizione emanati viene eseguita, quelli senza scadenza lasciano i residenti in un costante stato di minaccia ed insicurezza. La politica del dislocamento ha gravi conseguenze sulla popolazione civile che si vede privata dei propri mezzi di sostentamento, in stato di povertà e sempre più dipendente dagli aiuti.

Si registra inoltre un alto numero di ordini di demolizione in aree palestinesi colpite dall’espansione degli insediamenti coloniali. Alcuni gruppi per i diritti umani sostengono che le demolizioni sono mirate al trasferimento forzato di palestinesi dall’Area C al fine di una annessione israeliana di questa parte della Cisgiordania. La negazione delle autorizzazioni edilizie sulla propria terra, le demolizioni, i trasferimenti forzati, la confisca dei propri beni, l’impossibilità di usufruire delle proprie risorse, avrebbero lo scopo di creare le condizioni perché i palestinesi scelgano di andarsene.

L’ OCHA riporta che, secondo l’ufficio centrale di statistica israeliano, ci sono 356.000 israeliani che risiedono in 135 insediamenti coloniali e circa un centinaio di avamposti nell’Area C, entrambi considerati illegali secondo il diritto internazionale. Nonostante ciò, non vi sono misure atte a contrastare questa politica da parte della comunità internazionale che con il proprio silenzio dà il proprio consenso a tali violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale.

Recentemente aveva fatto scalpore il caso della demolizione, il 21 febbraio, del solo istituto scolastico della piccola comunità beduina di Abu al-Nuwwar, vicino alla città di El-Ezzariya, ad est di Gerusalemme. La scuola elementare, costruita con fondi europei, era composta di sei classi ed era stata costruita con strutture permanenti, per le autorità di Tel Aviv in violazione con la normativa che impedisce di costruire in Area C senza autorizzazione israeliana. Oltre ad aver demolito l’edificio, l’esercito ha inoltre confiscato materiali scolastici, incluso scrivanie e sedie.

In realtà, molti ritengono che le demolizioni in quest’area farebbero parte di un piano che mira a sgomberare la zona dalle comunità palestinesi indigene a beneficio dell’espansione coloniale, in particolare con riferimento al preoccupante piano coloniale definito ‘E1’ che, istituito per l’espansione dell’insediamento Ma’ale Adumim verso ovest, al fine di creare un’area edificata tra questo insediamento e Gerusalemme est, frammenterebbe ulteriormente il territorio della Cisgiordania e ne spezzerebbe la continuità territoriale tra la parte settentrionale e meridionale.

Secondo l’OCHA, Abu al-Nawar è una delle 46 comunità beduine a rischio di dislocamento forzato da parte delle forze israeliane. L’Agenzia ONU riferisce anche che Israele ha già distrutto nel 2016 un centinaio di strutture finanziate da fondi europei, quasi quanto ha fatto nel 2015. La maggior parte delle demolizioni ha colpito strutture sanitarie, agricole, pannelli solari e quartieri prefabbricati. Haaretz riporta che il 9 febbraio l’Amministrazione civile israeliana ha demolito almeno 15 strutture finanziate con fondi europei nell’area di Khirbet Tana, tra cui due tende dove vivevano 13 persone, tre bagni esterni, due serbatoi per l’acqua ed otto recinti per pecore. Nena News

 

top