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Martedì 12 gennaio 2016

 

2016, l’anno dei muri?

di Gad Lerner

 

Ricorderemo il 2015 come l’anno dei profughi. Ma anche il 2016 sarà, inevitabilmente, l’anno dei profughi: non basteranno i 3 miliardi promessi alla Turchia di Erdogan per arrestarne il flusso, così come non bastò l’ignobile trattato sottoscritto dal governo italiano col regime di Gheddafi per fermare le traversate dalla Libia alla Sicilia.

Si calcola che gli arrivi, nell’anno trascorso, abbiano superato quota 850 mila. Molto più numerosi che nel passato, è vero, ma chi può sostenere che non fosse prevedibile? L’impatto, su un continente europeo di 600 milioni di abitanti, nonostante un allarmismo smisurato e strumentale, resta contenuto. Niente di paragonabile al trauma sostenuto dai paesi mediorientali confinanti con la Siria e l’Iraq.

Facendo le debite proporzioni, se l’Unione europea avesse dovuto accogliere la stessa quota di profughi sul totale della popolazione sostenuta per esempio dal Libano, oggi dovremmo parlare di oltre cento milioni di arrivi, non di “soli” 850 mila.

L’unica statista che ha avuto il coraggio di dichiarare inderogabile la regola del diritto internazionale secondo cui chi fugge da guerre e persecuzioni deve essere accolto come rifugiato politico, senza odiose e scriteriate limitazioni numeriche, è stata la cancelliera tedesca Angela Merkel. Cioè una leader europeista di matrice solidaristica conservatrice, la cui politica economica resta oggetto di critiche più che giustificate, ma la cui dirittura etica va riconosciuta.

Entrambi gli schieramenti politici che governano insieme l’Ue, cioè il Partito popolare europeo e il Partito socialista europeo, sono percorsi al loro interno da tendenze xenofobe preoccupanti. Milita nel Ppe il premier ungherese Victor Orban, milita nel Pse il premier slovacco Robert Fico. Ma li ha accomunati il rifiuto del principio di ricollocazione dei profughi in quote obbligatorie fra i paesi membri.

Nel cuore dell’Europa, con l’aggiunta recente della Polonia, sta crescendo un revival di nazionalismo etnico di matrice reazionaria tendente a restaurare una nozione di cittadinanza fondata sul sangue e la nascita, anziché sui diritti e sui doveri condivisi. Analoghe tendenze si manifestano in ascesa al di fuori del quadrilatero di Visegrad (Budapest-Praga-Bratislava-Varsavia) dove guidano già la politica dei governi. Dalla Francia alla Scandinavia, le spinte al rifiuto del principio dell’accoglienza e l’istinto a costruire barriere di filo spinato si combinano con un sentimento euroscettico che rischia di compromettere l’integrazione politica del vecchio continente. Accelerandone il declino.

Mai come oggi la vicenda dei profughi, insieme alle scelte di politica estera (e, ahimè, militare) della leadership europea, funziona da cartina di tornasole del nostro futuro. Lo sanno bene gli strateghi geopolitici del terrorismo jihadista che auspicano un disimpegno europeo, la frantumazione dell’Ue in “piccole patrie” chiuse in sé stesse, il ritorno alle identità separate del passato.

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