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01/03/2016

 

Bye bye Dublin?

di Marcello Di Filippo

Professore associato di Diritto internazionale nell’Università di Pisa e Coordinatore

dell’Osservatorio sul diritto europeo dell’immigrazione

 

Da qualche tempo negli ambienti europei l’idea di una profonda revisione del regolamento Dublino III non è più un taboo. La Commissione europea dovrebbe presentare a breve una proposta.

 

Tale atto stabilisce quale Stato membro è competente a esaminare una richiesta di asilo e, nel caso in cui la procedura abbia esito positivo, a farsi carico della persona nel lungo periodo: la 'applicazione pratica di tali criteri ha determinato negli anni un notevole aggravio per gli Stati posti alla frontiera esterna dell’area Schengen.

 

Al tempo stesso, questi paesi non sempre riescono a controllare la propria porzione di frontiera esterna, registrare le persone entrate e trattenerle sul proprio territorio per il tempo necessario ad esaminare il loro status.

 

Inoltre, i paesi di prima linea non sono di solito la meta dei richiedenti asilo, i quali intendono raggiungere alcuni Stati dell’Europa centro-settentrionale. Ne conseguono notevoli flussi irregolari (c.d. movimenti secondari), con destinazione detti paesi.

 

Trasferimenti Dublino, dati sconfortanti

Per porre rimedio a tale situazione, il regolamento prevede i c.d. trasferimenti Dublino, una procedura coattiva secondo cui il richiedente asilo che si trova nello Stato non competente viene deportato verso quello competente.

 

Dalla prassi applicativa emergono dati sconfortanti: pochi trasferimenti a fronte dell’entità reale dei movimenti secondari, difficoltà della cooperazione interstatale in materia, divieto di trasferimento verso paesi temporaneamente non sicuri (tra cui spicca la Grecia), misure unilaterali quali reintroduzione di controlli alle frontiere interne e strette sugli ingressi, anche di genuini richiedenti asilo.

 

In questo quadro, le tensioni politiche continuano a crescere, sia tra i governi che all’interno dei paesi più esposti o più generosi.

 

La tenuta dell’area Schengen è messa a serio rischio. Molti richiedenti asilo e migranti sono esposti a violazioni dei loro diritti e allo sfruttamento dei trafficanti.

 

Nel settembre 2015 è stato adottato un regime temporaneo di ricollocazione dei richiedenti asilo per sostenere gli sforzi di Grecia e Italia.

 

I risultati ottenuti finora sono deludenti. Inoltre, tale schema è stato concepito come mera eccezione transitoria a un quadro giuridico i cui elementi portanti rimangono invariati, sui quali è quanto mai urgente pensare a soluzioni ambiziose e al tempo stesso realistiche.

 

Italia in prima linea per una nuova disciplina

In quanto paese di prima linea, è auspicabile che l’Italia promuova un approccio nuovo all’individuazione dello Stato competente.

 

La necessaria costruzione del consenso intorno a idee capaci di ovviare all’attuale situazione può e deve fondarsi su argomenti capaci di incontrare positivo apprezzamento da parte degli altri governi (sia di prima che di “seconda” linea), delle istituzioni europee, dell’opinione pubblica europea.

 

Prendendo spunto dall’esperienza realizzata in decenni di cooperazione internazionale nella determinazione della giurisdizione in materia civile, commerciale e penale (nel cui ambito, i titoli di giurisdizione sono calibrati sulla ricorrenza di un collegamento reale tra uno Stato e i soggetti o gli interessi coinvolti), le linee guida di una nuova disciplina potrebbero essere così sintetizzabili:

 

1) formulare i criteri giurisdizionali facendo leva sull’esistenza di un collegamento sostanziale tra il richiedente asilo e lo stato membro (relazioni familiari, professionali e socialiche siano obiettivamente verificabili). Un Paese collegato genuinamente con il richiedente è quello meglio situato per agevolarne un effettivo inserimento sociale e lavorativo, con costi e tempi ridotti per il sistema di assistenza sociale. Ne discenderebbe un’alta propensione alla compliance da parte dei richiedenti asilo. Detto altrimenti, uno scenario win-win;

 

2) elaborare un meccanismo di quote, da aggiornare periodicamente, che individui le effettive capacità di accoglienza degli stati e tuteli i Paesi più generosi e più esposti;

 

3) ove sussista un legame effettivo con uno stato, questo sarà competente, indipendentemente dal luogo di primo ingresso. Ove siano presenti collegamenti sostanziali con più Paesi, il richiedente potrebbe esprimere una preferenza. Se lo stato designato in uno dei due modi indicati ha già superato la propria quota, la competenza passerebbe a un altro paese collegato con il richiedente;

 

4) in assenza di legami con uno specifico stato, il richiedente asilo sarà assegnato al Paese che ha il minor tasso di soddisfacimento della propria quota. In seguito, ove la procedura di asilo si concluda positivamente, il rifugiato potrebbe accettare un lavoro in un altro stato membro.

 

Equilibrio tra esigenze e aspirazioni di richiedenti asilo

Questa impostazione contribuirebbe aridurre le tensioni tra gli Stati membri e stabilirebbe un ragionevole equilibrio tra le loro esigenze e le aspirazioni dei richiedenti asilo. Il richiedente asilo sarebbe scoraggiato dal tenere comportamenti elusivi, e in alcuni casile sue preferenze o il suo protagonismo economico riceverebbero riconoscimento sul piano giuridico.

 

Il nuovo sistema non renderebbe le cose più complicate per i sistemi nazionali: al contrario, porterebbe ordine in una situazione lose-lose ove il caos regna sovrano. Inoltre, l’approccio qui proposto consentirebbe di rassicurare l’opinione pubblica e di contrastare argomentazioni faziose.

 

Infine, potrebbe incentivare la condotta di operazioni SAR da parte di Stati o enti privati in quanto sarebbe scardinato l’assunto secondo cui lo Stato che autorizza lo sbarco deve anche necessariamente farsi carico della gestione del richiedente asilo sul lungo periodo.

 

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