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06/07/2016

 

Il futuro Ue passa dalla gestione dei migranti

di Laura Corrado

 

Le migrazioni di persone da un paese ad un altro - per fuggire da guerre e persecuzioni, dai cambiamenti climatici e ambientali o in cerca di un futuro migliore per sé e per i propri figli - sono un fenomeno costante nella storia dell’umanità.

 

Continente di emigrazione fino alla metà del secolo scorso, negli ultimi decenni l’Europa è diventata il punto d’approdo di un numero crescente di migranti, sia per motivi umanitari che economici. Le ragioni sono evidenti: in primis la guerra e l'instabilità nelle regioni vicine ai confini dell’Unione europea (Ue) - basti pensare alla Siria, l’Iraq e la Libia - ma anche le maggiori opportunità in termini di lavoro, istruzione e benessere che i paesi europei possono offrire rispetto ai paesi d’origine dei migranti.

 

La gestione ordinata ed efficace dei flussi migratori è dunque una delle sfide principali che l’Ue ha oggi davanti a sé, e il modo nel quale tale sfida verrà affrontata avrà un impatto fondamentale sui suoi sviluppi futuri.

 

Dalle misure di emergenza alle strategie di lungo termine

La situazione attuale è caratterizzata da flussi importanti - più di un milione di persone solo nel 2015 - che hanno attraversato irregolarmente le frontiere esterne dell’Unione, in gran parte per motivi umanitari, facendo spesso ricorso all’aiuto di trafficanti e mettendo a rischio la loro vita.

 

Questo ha fatto sì che l’azione dell’Unione europea nel 2015 e all’inizio del 2016 si concentrasse - inevitabilmente - sulle misure urgenti da prendere per la gestione dei crescenti flussi migratori alla frontiera sud e sud-est, con l’obiettivo di garantire l’asilo e la protezione umanitaria a chi ne ha diritto, di assicurare una distribuzione equa dei richiedenti asilo tra tutti gli Stati membri, e al tempo stesso scoraggiare la migrazione irregolare e contrastare l’azione dei trafficanti.

 

È tuttavia evidente che una gestione efficace dei flussi migratori deve andare al di là delle misure d’emergenza e sviluppare azioni di medio-lungo termine che possano far sì che la migrazione non sia più un problema o una crisi da risolvere ma un elemento che contribuisce allo sviluppo e alla crescita futura delle nostre società.

 

È interessante vedere come, in paesi di più lunga tradizione migratoria come il Canada, il concetto di migrazione sia legato strettamente a quello di ‘nation building’: le persone che accogliamo oggi, ed il successo (o meno) del processo di integrazione, determineranno quello che il nostro Paese sarà tra 20, 50, 100 anni.

 

Fermo restando che la storia e la situazione geopolitica canadese sono completamente diverse da quelle europee, l’approccio alla migrazione come elemento fondante della società futura è indubbiamente un modo molto più razionale di percepire e gestire il fenomeno migratorio, dal quale l’Europa e i suoi Stati membri dovrebbero trarre ispirazione.

 

Decrescita demografica e carenza di manodopera

Tanto più che l’Europa è attualmente un continente in decrescita demografica, con una popolazione in età lavorativa in diminuzione: secondo le proiezioni Eurostat, tra due decenni in uno scenario senza migrazione esterna la popolazione europea in età lavorativa diminuirebbe di 40 milioni di persone, ponendo evidenti problemi di sostenibilità dei sistemi di welfare nazionali.

 

Inoltre, pur in presenza di livelli elevati di disoccupazione in diversi Stati membri, è un dato di fatto che vi sono ovunque in Europa settori con carenza di manodopera, come ad esempio l’ambito delle tecnologie di informazione e comunicazione.

 

È per questo che nell’Agenda europea sulla migrazione del maggio 2015, la Commissione ha sottolineato la necessità, nell’ambito di un approccio globale al fenomeno migratorio, che l’Unione europea sviluppi una politica volta ad attirare i talenti e le competenze necessarie a mantenere e accrescere la competitività dell’economia europea.

 

Un passo importante in questa direzione è l’adozione il 7 giugno scorso della direttiva “Carta Blu” europea, al fine di facilitare l’ingresso e la mobilità all’interno dell’Ue dei lavoratori di paesi terzi altamente qualificati, particolarmente in settori chiave per l’economia europea.

 

Tale proposta segue di poco l’entrata in vigore della direttiva 801/2016, che facilita l’ammissione di studenti e ricercatori stranieri, promuovendone anche la mobilità intra-Ue, in particolare per coloro che siano beneficiari di programmi europei quali Erasmus+.

 

Puntare sull’integrazione

Sempre il 7 giugno, la Commissione europea ha adottato un Piano d’azione per l’integrazione dei migranti, con misure di sostegno pratico e finanziario agli Stati membri. È solo investendo in politiche efficaci d'integrazione - nel mercato del lavoro, nel sistema educativo e nella società più in generale che l’immigrazione potrà avere effetti positivi per il paese d’accoglienza.

 

È altrettanto evidente che, al contrario, i costi della non-integrazione possono essere molto alti, non solo in termini economici, ma anche e soprattutto dal punto di vista della coesione sociale.

 

Tale quadro sarà inoltre completato a breve da ulteriori misure che possano facilitare l’accesso legale a coloro che hanno un bisogno riconosciuto di protezione, limitando in tal modo i flussi irregolari e l’azione dei trafficanti, oltreché da una cooperazione rafforzata con i paesi d’origine e transito dei migranti, come indicato nella recente Comunicazione sulla creazione di un nuovo quadro di partenariato con i paesi terzi.

 

È indubbio che la sfida più difficile per i prossimi anni sarà riuscire a superare le divisioni profonde e i riflessi nazionalisti che sono emersi negli ultimi tempi tra gli Stati europei sulle questioni migratorie, al fine di raggiungere un consenso politico ampio sulla strategia globale di medio e lungo termine che la Commissione ha sviluppato sinora e che continuerà con forza a promuovere.

 

Laura Corrado è attualmente Capo dell’Unità responsabile per la Migrazione Legale e l’Integrazione della Direzione Generale “Migrazione e Affari Interni” della Commissione europea. Le opinioni espresse appartengono unicamente all’autore e non riflettono necessariamente l'opinione della Commissione europea, né possono essere considerate come posizioni ufficiali della stessa.

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