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11 feb 2016

 

La stampa straniera risponde alle accuse di parzialità

 

Convocata dal parlamento israeliano dopo un titolo pubblicato dalla Cbs, la Fpa si difende: “La repressione dei media è sconveniente per un paese che si definisce unica democrazia del Medio Oriente”

 

Roma, 11 febbraio 2016, Nena News –

 

Era stata convocata dal parlamento israeliano e due giorni fa ha risposto alle accuse: “Non siamo d’accordo, i media stranieri non sono di parte. La legittimità della campagna israeliana contro il terrorismo è interamente determinata da come Israele la conduce. Non ha nulla a che vedere con i media stranieri”. A parlare è la Fpa, la Foreign Press Association, che reagisce alle accuse delle autorità di Tel Aviv secondo le quali la copertura che la stampa estera dà delle attuali violenze in Israele e nei Territori Occupati Palestinesi non è imparziale.

Luke Baker, capo redattore della Reuters in Israele e rappresentande della Fpa, era stato convocato dalla commissione parlamentare agli Esteri e la Difesa (a capo della quale siede Tzipi Livni, ex ministro della Difesa) su richiesta del Gpo, il Government Press Office israeliano, che ha minacciato di ritirare gli accrediti ai giornalisti considerati parziali.

Il caso era nato da un titolo dell’agenzia statunitense Cbs: “Tre palestinesi uccisi mentre la violenza quotidiana aumenta”. Un titolo, dicono le autorità israeliane, che poneva l’attenzione sull’uccisione di tre palestinesi responsabili di attacchi e non sulla poliziotta israeliana uccisa (non ancora dichiarata morta, ha detto Baker, quando il titolo è stato pubblicato). Dopo le proteste israeliane, il titolo era stato modificato ma le polemiche non si erano spente. Su Facebook il direttore del Gpo Nitzan Chen ha scritto: “Non possiamo ignorarlo. Considereremo la revoca delle credenziali ai giornalisti e agli editori che scrivono titoli contrari alla realtà”. Lo stesso Chen ha proseguito, riportando altri casi di titoli “parziali”, tra cui uno della Bbc di ottobre: “Palestinese colpito dopo che un attacco ha ucciso due persone”.

La copertura giornalistica straniera “sul lungo termine erode la legittimità della lotta israeliana al terrorismo”, aveva detto la commissione al momento di convocare l’Fpa. Livni è intervenuta aggiungendo che una simile copertura “equipara i terrorismi alle vittime e crea l’impressione sbagliata di un paese forte contro delle vittime, che sono i palestinesi”. La Fpa risponde a tono: “Media liberi sono le fondamenta di una società democratica – ha scritto l’associazione in un comunicato stampa – L’incontro con la commissione parlamentare che parte dal presupposto che i media stranieri siono di parte assomiglia a mal concepite cacce alle streghe”.

Una situazione preoccupante, secondo la Fpa, perché crea il rischio di un controllo governativo della stampa, “un alto livello di influenza che può limitare il movimento dei media stranieri a Gaza e in Cisgiordania, restringere la copertura e imbavagliare le informazioni per impedire che siano pubblicate”. E aggiunge: “I tentativi di repressione della stampa – tra cui accuse di parzialità, censura di Stato e detenzione di giornalisti – sono azioni generalmente associate con governi autoritari come Russia, Turchia, Arabia Saudita. Questa condotta è sconveniente per un paese come Israele, che ama descriversi come la sola democrazia del Medio Oriente”.

Accuse gravi che raccontano bene l’attuale situazione nel paese. Mai simili posizioni erano state prese nei confronti della stampa straniera, neppure negli anni caldissimi della Seconda Intifada. Ma che spiegano bene le preoccupazioni delle autorità israeliane, da anni sotto i riflettori di campagne di boicottaggio e di una più critica copertura delle proprie politiche, soprattutto da parte della società civile internazionale. Ma anche dei leader mondiali, che pur garantendo il consuento appoggio all’alleato, esprimono con maggiore frequenza critiche nei confronti di Tel Aviv.

Preoccupazione la esprime anche il Comitato per la Protezione dei Giornalisti, associazione di base a New York, che parla di “pressioni crescenti contro i giornalisti in Israele”: “La minaccia di revocare le credenziali a chi pubblica storie o titole che non piacciono al governo [rappresenta] un approccio pesante contro le coperture sgradite”. Nena News

 

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