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10 febbraio, 2017

 

Nel centesimo anniversario della Rivoluzione Russa

di Boaventura de Sousa Santos

Traduzione di Maria Chiara Starace

 

Quest’anno segna il 100° anniversario della Rivoluzione Russa (RR) (1) e anche il 150° anniversario della pubblicazione del primo volume di Das Kapital di Karl Marx. Può sembrare strano unire queste due storiche date, perché Marx non ha mai scritto in dettaglio riguardo alla rivoluzione e alla società comunista, e, anche se l’avesse fatto, è inimmaginabile che quello che avrebbe potuto scrivere potesse avere una qualche rassomiglianza con quello che era l’Unione Sovietica, specialmente dopo che Stalin aveva preso il comando sia del partito che dello stato. La verità è che molte delle discussioni sollevate dal libro di Marx durante il 20° secolo al di fuori dell’URSS, erano un modo indiretto di dibattere circa i meriti e i demeriti della RR. Ora che le rivoluzioni iniziate in nome del marxismo o sono giunte alla fine o si sono evolute nel…capitalismo, forse si può finalmente parlare di Marx e del marxismo come meritano, cioè come teoria sociale. La verità è che il Capitale di Marx, le cui prime 1000 copie hanno impiegato 5 anni a essere vendute prima che diventasse uno dei libri più importanti del secolo, è diventato di nuovo un bestseller e, dopo 20 anni dalla caduta del Muro di Berlino, è stato finalmente letto in paesi che avevano fatto parte dell’URSS.  Che tipo di attrattiva può avere un libro così corposo? Quanto può essere attraente in un’epoca in cui sia l’opinione pubblica che la stragrande maggioranza degli intellettuali sono convinti che il capitalismo non finirà e che, se prima o poi succederà, certamente non sarà seguito dal socialismo?   Ventitre anni fa, ho scritto un testo sul marxismo come teoria sociale (2). In uno dei miei prossimi articoli,  parlerò di quello che, secondo me, è cambiato o non è cambiato da allora e cercherò di rispondere a queste domande. Oggi mi concentrerò sul significato della Rivoluzione Russa.

I dibatti che si terranno nell’anno in corso sulla Rivoluzione Russa, molto probabilmente ripeteranno tutto quello che è già stato detto e discusso e probabilmente termineranno con il senso finale che è semplicemente impossibile arrivare a un consenso sulla domanda: la RR è stata un successo o un fallimento? A prima vista questo sembra un po’ strano, perché, sia che si consideri che la RR sia giunta alla fine quando Stalin era andato al potere (Trotsky, uno dei capi della rivoluzione, era di questo parere) o con il colpo di stato di Boris Eltsin nel 1993, sembra ovvio che è fallita. E, tuttavia, questo non è esattamente ovvio, ma il motivo non sta nella valutazione del passato, ma piuttosto in quella del nostro presente. Il trionfo della RR sta nel fatto che ha sollevato tutti i problemi che le società capitaliste stanno affrontando ancora oggi. Il suo fallimento sta nel fatto che non ha risolto nessuno di quei problemi, tranne uno. Nei miei prossimi articoli, tratterò alcuni dei problemi che la RR non è stata in grado di risolvere e che continuano a tormentarci. Oggi desidero discutere del solo problema che la RR ha risolto.

Il capitalismo può promuovere il benessere delle grandi maggioranze senza che esista un’alternativa credibile e inequivocabile al capitalismo nel campo della lotta sociale? Questo è il problema che ha risolto la RR, e la risposta è: NO. La RR ha dimostrato alle classi operaie di tutto il mondo, e specialmente a quelle europee, che il capitalismo non era un’inevitabilità, ma che c’era un’alternativa alla povertà, all’insicurezza, causate dalla disoccupazione imminente, dal predominio dei datori di lavoro, ai governi che servivano gli interessi delle minoranze potenti, fingendo allo stesso tempo, di fare il contrario. La RR avvenne, però, in una delle nazioni più arretrate d’Europa, e Lenin era ben consapevole del fatto che il successo della rivoluzione socialista mondiale e della stessa RR, dipendeva dalla capacità di questa

di estendersi nei paesi più sviluppati che avevano una solida base industriale e delle vaste classi operaie. A quell’epoca, uno di quei paesi, era la Germania. Il fallimento della rivoluzione tedesca del 1918-1919, ebbe come conseguenza la divisione del movimento operaio e che una parte significativa di questo cominciò a credere che era possibile ottenere gli stessi scopi con mezzi diversi da quelli dei lavoratori russi. Il concetto di una società alternativa alla società capitalista, rimase, però intatto. Quello che in seguito si sarebbe chiamato riformismo, cioè il processo graduale e democratico verso una società socialista che univa le conquiste sociali della RR con le conquiste politiche dei paesi democratici occidentali, venne quindi consolidato.

Nel periodo post-bellico, il riformismo  diede luogo  alla socialdemocrazia europea, cioè a un sistema politico che univa alti livelli di produttività con alti livelli di protezione sociale. Per la prima volta nella storia, le classi operaie furono in grado di fare piani per la loro vita e per il futuro dei loro figli. Ci furono:l’istruzione pubblica, la sanità e la sicurezza sociale, oltre a molti altri diritti sociali e del lavoro. Divenne chiaro che la democrazia sociale non avrebbe mai portato a una società socialista, ma sembrava garantire la fine irreversibile del capitalismo ‘selvaggio’ e la sua sostituzione con il capitalismo dalla faccia umana.

Nel frattempo, dall’altra parte della Cortina di ferro, malgrado il terrore di Stalin, o precisamente a causa di quello, l’Unione Sovietica (URSS) dimostrava un prodigioso vigore industriale  che, nello spazio di pochi decenni, trasformò una delle regioni più arretrate d’Europa, in una potenza industriale che fu in grado di competere con il capitalismo occidentale, e, soprattutto, con gli Stati Uniti, il paese che era emerso dalla II Guerra mondiale come la nazione più potente del mondo. Questa competizione alla fine si trasformò nella Guerra Fredda, che dominò la politica internazionale nei decenni successivi. Determinò la cancellazione  di una buona parte degli enormi debiti che la Germania Orientale aveva contratto  durante le due guerre che il paese che aveva fatto contro l’Europa e che aveva perduto. Era necessario fornire al capitalismo della Germania Occidentale le condizioni per competere con lo sviluppo della Germania Orientale, che a quel tempo era momento la più sviluppata delle Repubbliche sovietiche. Le divisioni  tra i partiti che dichiaravano di difendere gli interessi dei lavoratori (i partiti socialisti o socialdemocratici e i partiti comunisti), erano una parte importante della Guerra Fredda, in cui i socialisti attaccavano i comunisti per il motivo che erano conniventi  nei crimini di Stalin e difendevano la dittatura sovietica, e i comunisti che attaccavano i socialisti per aver tradito la causa socialista e per essere partiti di destra spesso al servizio dell’imperialismo americano. A quell’epoca si immaginavano poco circa quanto avessero in comune.

Nel 1989, però, cadde il Muro di Berlino e l’URSS crollò poco dopo. Fu  la fine del socialismo, la fine di una chiara alternativa al capitalismo, incondizionatamente e incautamente   festeggiato   dai democratici in tutto il mondo. Tuttavia, cogliendo di sorpresa molta gente, il neoliberalismo, cioè la versione più anti-sociale del capitalismo del 20° secolo, stava sperimentando un consolidamento globale, articolato progressivamente (particolarmente dopo la presidenza di Bill Clinton), con la versione più rapace di accumulo capitalista: il capitale finanziario. Si intensificò la guerra contro la democrazia sociale che in Europa fu in seguito condotta dalla Commissione Europa con la dirigenza di Durão Barroso, e anche dalla Banca Centrale Europea.

Come hanno dimostrato anni recenti, con la caduta del Muro di Berlino, non soltanto il socialismo è crollato, ma anche la socialdemocrazia è finita. E’ diventato chiaro che le conquiste delle classi operaie nei decenni precedenti perché esistevano l’URSS e l’alternativa ala capitalismo. Rappresentarono un’importante minaccia al capitalismo che, mobilitando il suo istinto di sopravvivenza, aveva fatto le concessioni necessarie (tassazione, regolamentazione sociale) allo scopo di garantire la sua riproduzione. Quando l’alternativa crollò e non fu più una minaccia, il capitalismo cessò di fare paura ai suoi nemici e ritornò alla sua follia rapace di concentrare la ricchezza,    intrappolato nel suo desiderio di creare e distruggere, successivamente, la massiccia ricchezza, compresa la ricchezza umana. Fin dalla caduta del Muro di Berlino, ci sono state delle analogie con il periodo della Santa Alleanza che, dal 1815, e dopo la sconfitta di Napoleone, cercò di spazzare via dall’immaginazione degli europei tutte le conquiste della Rivoluzione francese. Non per caso, e malgrado le differenze (le conquiste delle classi operaie che non sono state ancora eliminate con mezzi democratici), l’accumulo capitalista è ora estremamente aggressivo e ricorda il periodo precedente alla RR. Tutto questo fa pensare che fino a quando non emerga una credibile alternativa al capitalismo, la situazione dei lavoratori, dei poveri, degli emigranti, dei pensionati, delle classi medie che sono sempre sull’orlo  di cadere bruscamente in povertà) non migliorerà in modo significativo. Ovviamente, l’alternativa non sarà il tipo di alternativa che fu creato dalla RR (e non sarebbe una buona alternativa se ci fosse), ma dovrà, però, essere un’alternativa chiara.  Aver dimostrato questo è stato il grande merito della Rivoluzione Russa.

 

Note:

1) Con Rivoluzione Russa intendo esclusivamente la Rivoluzione di Ottobre perché quella è stata la rivoluzione che   il mondo e che ha avuto un impatto sulla vita di un terzo della popolazione mondiale nei decenni successivi. E’ stata preceduta dalla Rivoluzione di febbraio nell’anno in cui lo Zar fu deposto, ed è durata fino al 26 ottobre (secondo il calendario giuliano che era usato in Russia in quell’epoca), quando i Bolscevichi, guidati da  Lenin and Trotsky, presero il potere con gli slogan: “Tutto il potere ai sovietici”, cioè ai lavoratori, ai contadini, e ai consigli formati dai soldati.

2) Pela Mão de Alice, pubblicato originariamente nel 1994. Vedere  la nona edizione ampliata e rivista, pubblicata nel 2013 dalle Edições Almedina, 2013, p.33-56.

 


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Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/994933

Originale: non indicato

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