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01 Febbraio 2017

Riflettendo sui resoconti della conferenza sul comunismo di Roma (C17)
di Ennio Abate

Ma che ce ne facciamo « oggi, a distanza di 100 anni» di un comunismo ridotto a fantasma sia pur «piccolo» che, abbracciando «falce e martello» volerebbe «in avanti verso il futuro» (un po’ come l’Angelo di W. Benjamin)? No, no. C’è troppa autoconsolazione in questo discorso di Pietro Bianchi (su Doppiozero), troppa accondiscendenza a parlare *inter nos* (tra poeti, artisti, filosofi). Alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Esc Atelier di Roma ci saranno stati anche « ricercatori e attivisti di mezza Europa e non solo» e «pensatori» (da ascoltare comunque con attenzione) e non incalliti «nostalgici» , ma come quaglieranno «pluralità» e «differenze»? Ricordare che in questi anni anche «la parola capitalismo» è «drammaticamente in crisi» o che «il capitalismo… si sia negli ultimi tempi inceppato» ( ma non si inceppa ogni poco?) o che « il fronte social-democratico e quello cristiano-democratico o conservatore» convergono tra loro che passi avanti fa fare al «discorso dell’inattualità del comunismo»? Non è che si rimane a livello delle parole e delle ideologie? E che neppure venga sfiorata la «devastante crisi economica che ha peggiorato le condizioni dei lavoratori di mezzo mondo con un meccanismo di ripartizione della ricchezza che è sempre più diseguale»? Che soddisfazione si può provare per il fatto che« tutte queste riflessioni siano avvenute proprio mentre Trump si stava insediando alla Casa Bianca» e ci si trova di fronte – secondo Bianchi – ad « una sempre più preoccupante fascistizzazione dell’attuale fase politica globale» e all’ «ascesa dei nazionalismi europei»? Tutto ciò darebbe attualità al comunismo e renderebbe «più possibile» la «trasformazione radicale dell’esistente»? E poi porre soprattutto domande « in particolare su che cosa voglia dire un “partito” all’altezza del capitalismo del XXI secolo, consci dei limiti che questa forma politica ha avuto nel Novecento» e senza abbozzare una qualche risposta, a che serve? Obiezioni simili e niente affatto «maligne» farei a Raparelli che parla davvero retoricamente di «successo straordinario, destinato a lasciare il segno». «Tre quarti dei partecipanti erano giovani o giovanissimi (e almeno tre generazioni si sono incontrate); di questi tre quarti, almeno la metà era costituita da attivisti provenienti da tutto il mondo». Sì, ma per fare che? «Comunismo significa ricordare che la «città è divisa», sempre, anche quando i rapporti di forza sono sfavorevoli e la resistenza dei poveri viene sconfitta»? Ma c’è bisogno di ricordare quel che è evidente o sforzarsi di indicare un “che fare”? Al « mantra «there is no alternative»» basta contrapporre «la parola comunismo»? Il fatto che « il capitale ha vinto ovunque» e «continua a menare senza sosta» e « comanda senza ostacolo alcuno» sarebbe la prova di una sua debolezza? E per quale miracolo una conferenza che ha svelato «un terreno eterogeneo, spesso dissonante, sicuramente polifonico » questo terreno lo fa o lo farà diventare «comune»? Solo perché ci sarebbe il « desiderio di pensare in grande, senza arrendersi alle sirene del populismo»? O perché «dopo C17, così deciso dall’assemblea, ci sarà C18 e poi ancora gli anni a venire»? Apprezzo Bifo stavolta perché critica la voglia di rimozione di questa Conferenza e ribadisce il limite “volontaristico” e l’aspetto “miracolistico” del pensiero di Negri e della sua convinzione che « il lavoro cognitivo può agire con relativa autonomia e può farsi macchina dentro e contro lo sfruttamento» e che è già in atto «l’indipendenza del cervello dalle condizioni tecniche e materiali in cui agisce».

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