A oriente sorge il sol dell’avvenire 

di Franco Bertolucci

Pisa, Bfs, 2017

 

http://popoffquotidiano.it/

24 ottobre 2017

 

La rivoluzione russa e gli anarchici italiani

di Diego Giachetti

 

Un libro di Franco Bertolucci , A oriente sorge il sol dell’avvenire (Pisa, Bfs, 2017), costringe i “celebranti” la rivoluzione Russa del 1917 a confrontarsi con gli anarchici.

 

La sua è una puntuale ricostruzione del dibattito e delle iniziative politiche intraprese dal movimento libertario italiano rispetto agli eventi russi negli anni dal 1917 al 1922. Nell’Italia del primo Novecento, gli anarchici erano una realtà viva e numericamente consistente all’interno del movimento operaio e sindacale. Malgrado la censura imposta dalla guerra in corso, avevano pubblicazioni con vari titoli di stampa che alimentavano un dibattito vivace. Coscienti del dramma in cui era precipitato il movimento dei lavoratori con lo scatenamento della guerra, accusavano la socialdemocrazia della Seconda internazionale di “tradimento” per aver ceduto alle istanze guerrafondaie dei rispettivi stati capitalisti. Auspicavano la ricostruzione di una nuova internazionale fondata da sinceri rivoluzionari contro il politicantismo dei socialisti. Per questo motivo alcuni guardarono con scetticismo alle riunioni dei socialisti internazionalisti che si tennero in Svizzera a Zimmerwald e Kiental. Tuttavia, nella pluralità di espressioni, che ha sempre caratterizzato il movimento anarchico, erano presenti posizioni più concilianti che non escludevano a priori accordi coi gruppi socialisti non interventisti e si lamentavano che agli incontri suddetti non fossero stati invitati gli anarchici.

 

La rivoluzione inizia a Oriente

Le notizie provenienti dalla Russia a partire dal febbraio 1917 furono accolte con favore ed entusiasmo. La rivoluzione disarticolava l’equilibrio europeo, dava l’esempio. Fare come la Russia diventò lo slogan dei giornali libertari e socialisti. Le giornate di febbraio a Pietrogrado raccontavano dei socialisti rivoluzionari e dei bolscevichi uniti contro il vecchio regime zarista. Nei fatti le differenze che avevano diviso gli anarchici dai socialisti marxisti sembravano scomparse, ma le diffidenze verso gli antichi avversari politici restavano. Certo, dicevano gli anarchici italiani, la rivoluzione Russa non è l’anarchia, ma essa può aprire le porte della rivoluzione, quindi occorre appoggiarla mobilitando il proletariato dei paesi occidentali. Gli sviluppi in Russia furono repentini. In Italia la repressione della rivolta del luglio 1917 nelle città russe fu letta dalla stampa socialista e libertaria, come reazione controrivoluzionaria borghese a danno del proletariato. Nelle manifestazioni che si tennero e alle quali gli anarchici parteciparono, si gridava tutti assieme “viva la rivoluzione dei Soviet, viva Lenin”. Non meravigli, scrive Bertolucci, questo atteggiamento da parte degli anarchici verso Lenin e il bolscevismo. In quel momento la stragrande maggioranza dei libertari provava una forte attrazione e simpatia per i bolscevichi, sulla base di quel poco che conoscevano di loro. D’altronde, sia nelle Tesi d’aprile che in Stato e rivoluzione, Lenin aveva espresso dei concetti condivisibili anche dagli anarchici. Aveva criticato le posizioni socialdemocratiche, dato importanza al “volontarismo” dell’azione rivoluzionaria, con l’abbandono delle teorie evoluzioniste tipiche del socialismo della Seconda internazionale, lanciato la parola d’ordine “tutto il potere ai Soviet”, che venne interpretata come il riconoscimento della costruzione della società socialista basata sull’idea federalista libertaria e senza Stato, meta da sempre ambita dagli anarchici. Lenin, anche se non dichiarava l’abolizione immediata di una qualsiasi forma di Stato, ne auspicava la graduale soppressione.

 

Mentre il Paese era sotto shock per la disfatta militare di Caporetto, la presa del potere dei bolscevichi fu accolta positivamente dalla stragrande maggioranza del movimento socialista e anarchico, anche se non mancarono voci che segnalavano il pericolo di una svolta autoritaria insita in quell’evento: “ora che Lenin non è più il cospiratore rivoluzionario, lo riteniamo perduto per la rivoluzione, come tutti i più o meno illustri esponenti delle dittature rivoluzionarie”, si leggeva su «L’avvenire anarchico» del 30 novembre 1917. Due esponenti di spicco dell’anarchismo italiano, Luigi Fabbri e Errico Malatesta, sollevarono dubbi. Malatesta metteva l’accento sulla “contraddizione insanabile fra i principi ideali del socialismo e la conquista del potere politico, fra i principi di libertà (senza di cui il socialismo sarebbe un non senso) e le necessità pratiche di un governo, anche rivoluzionario, per mantenersi al potere”. Dubbi e perplessità che crebbero quando si seppe delle misure prese dal governo bolscevico contro gli anarchici di Pietrogrado e Mosca, degli scontri con vittime da entrambe le parti e dell’arresto di centinaia di anarchici. Nonostante questo però il mito di Lenin e della rivoluzione persistette nel movimento operaio e in quelle componenti del movimento libertario che l’autore definisce anarco-bolsceviche.

 

Difendere la rivoluzione non il governo bolscevico

Con lo scoppio della guerra civile in Russia la solidarietà di anarchici e socialisti fu un atto dovuto. Doveroso era difendere e sostenere la rivoluzione, indire e partecipare alle mobilitazioni pro-Russia, contro l’accerchiamento degli eserciti dell’Intesa, per il ritiro immediato delle truppe italiane. Terminata la guerra civile gli anarchici tornarono a riprendersi il diritto di critica al bolscevismo e al tipo di stato che stava affermandosi in quel paese: “noi siamo avversari del bolscevismo, vale a dire della concezione governativa, statale, dittatoriale della rivoluzione”, scrivevano sul quotidiano “Umanità Nova” del 24 novembre 1920. Osservarono con iniziale interesse la costituzione della Terza internazionale, sperando che essa risorgesse sulla base dei principi internazionalisti e bakuninisti che avevano animato la Prima. Avrebbero anche voluto inviare un loro delegato all’assise che la fondò nel 1919, ma non fu possibile e poco dopo scoprirono che non erano stati invitati. La modalità di costruzione della Terza internazionale rifletteva la vecchia impostazione autoritaria del socialismo marxista, mentre gli anarchici auspicavano la costituzione di una internazionale anarchica. Non tutti erano d’accordo. Una componente minoritaria rifiutava le pregiudiziali nei confronti della Terza internazionale e il segretario dell’USI (Unione Sindacale Italiana), Armando Borghi, era favorevole al dialogo. Borghi stesso si recò in Russia poiché l’USI fu invitata al secondo congresso della Terza internazionale del luglio del 1920. Nel sindacato rivoluzionario si aprì un confronto con quelli che volevano aderire non solo alla Terza internazionale, ma anche al novello Partito comunista d’Italia, fondato nel 1921. La nascita di quest’ultimo non contribuì però a migliorare i rapporti col movimento libertario. Amadeo Bordiga mosse intransigenti critiche politiche e teoriche all’anarchismo e agli anarchici, mentre Antonio Gramsci li descrisse in alcuni articoli con toni canzonatori.

 

Dittatura del proletariato e libertà

Sempre più rilevanti divennero le critiche degli anarchici rispetto al governo bolscevico e alla pratica della dittatura del proletariato. Luigi Fabbri, in Dittatura e rivoluzione, un testo scritto nel 1920 la definirà una nuova forma di governo statale, accentratrice, autoritaria e incontrollata, la dittatura di un partito, anzi della sua classe dirigente. Ma vi erano anche anarchici che difendevano la dittatura del proletariato in quanto, osservavano, prima di giungere ad un regime libertario, bisognerà passare per la dittatura socialista: “Essa è autoritaria? Sì, ma è contrapposta alla dittatura borghese, è la dittatura di classe”. Quando seppero della rivolta nella base navale di Kronstadt e della repressione messa in atto dal governo sovietico, gli anarchici denunciarono la repressione di massa e le fucilazioni indiscriminate rivendicando le ragioni dei rivoltosi: un atto necessario per realizzare la vera rivoluzione sociale tradita dalla dittatura bolscevica. Il congresso dell’Unione Anarchica Italiana del novembre 1921 adottò una mozione nella quale si riconfermava la solidarietà verso la rivoluzione russa, impegnandosi a difenderla dai tentativi controrivoluzionari a sua danno messi in atto da altri paesi ma, nel contempo, si dichiarava di non riconoscere affatto il governo russo cosiddetto comunista come il rappresentante della rivoluzione, poiché esso era diventato “il maggior nemico della rivoluzione stessa”, fin da quel 7 novembre 1917, giorno della vittoria dell’insurrezione guidata dal partito di Lenin. All’involuzione politica seguiva quella economica. La Nep favoriva la rinascita del capitalismo e del nazionalismo grande russo. Successivamente Stalin e lo stalinismo saranno, per gli anarchici, l’eredità conseguente del leninismo.

 

Quando Lenin morì Malatesta commentò il fatto chiedendosi se quello era un giorno di festa o di lutto per il proletariato. E rispose così: “noi che non potemmo amarlo da vivo, non possiamo piangerlo da morto. Lenin è morto. Viva la libertà” (“Pensiero e volontà”, 1° febbraio 1924). Due settimane dopo sulla stessa rivista comparve un più articolato giudizio di Luigi Fabbri. Lenin, scrisse, è stato agli occhi delle masse colui che, nel bene o nel male, ha rappresentato la rivoluzione russa. Il suo mito, nonostante tutto, è stato il frutto di circostanze straordinarie ma anche di una personalità con grandi doti politico-organizzative che, senza scordare il suo contributo all’involuzione autoritaria della stessa rivoluzione, ha dovuto sostenere per anni una lotta terribile con i governi più potenti del mondo. La rivoluzione russa resta, malgrado tutto, il fatto storico più grande e più promettente per l’avvenire dei prossimi decenni poiché essa “ha posto chiaro e netto il problema dell’emancipazione operaia, della fine dello sfruttamento e del privilegio di classe. Ha posto il problema, ma non l’ha risolto e si allontana sempre più la soluzione”.

 

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