Originale: https://www.counterpunch.org

Fonte: Indypendent

http://znetitaly.altervista.org/

3 novembre 2017

 

La rivolta che ha scosso il mondo  

di Pete Dolack

Traduzione di Maria Chiara Starace

 

La storia non percorre una linea dritta. Non farò polemica perché questa espressione è un cliché. Tuttavia è ancora vera. Se non lo fosse, non discuteremmo ancora sul significato della Rivoluzione di Ottobre in occasione del suo centenario, e più di un quarto di secolo dopo la sua fine.

Né i Bolscevichi, né qualsiasi altro partito ha svolto un ruolo diretto nella rivoluzione di Febbraio che aveva fatto cadere lo Zar, dato che i capi di quelle organizzazioni erano in esilio all’estero o in Siberia, o erano in carcere. Cionondimeno, l’opera instancabile degli attivisti, aveva messo le fondamenta. I Bolscevichi erano, allora, una minoranza anche tra i lavoratori attivi delle città russe, ma verso la fine dell’anno i candidati guadagnavano costantemente la maggioranza in tutte le organizzazioni della classe operaia: comitati di fabbrica, sindacati e soviet. Lo slogan “pace, pane, terra” risuonava potentemente.

Era venuto il momento che la classe operaia prendesse il potere. Dovevano farlo davvero? Come poteva la Russia arretrata, con una vasta popolazione rurale, ancora in gran parte analfabeta fare un salto fino a una rivoluzione socialista? La risposta era in Occidente – i Bolscevichi erano convinti che le rivoluzioni socialiste si sarebbero presto diffuse in Europa, dopodiché i paesi industriali avanzati avrebbero dato loro una grossa mano. La Rivoluzione di Ottobre si appoggiava sulla rivoluzione europea, particolarmente in Germania.

Non possiamo ripetere il passato e le analisi controfattuali in generale sono esercitazioni sterili. La storia è quella che è. Sarebbe facile e troppo semplicistico considerare la rivoluzione europea come un sogno romantico, come molti storici vorrebbero che credessimo. La Germania era arrivata vicino a una rivoluzione vittoriosa e probabilmente l’avrebbe vinta con una leadership migliore e senza la slealtà dei Social Democratici che repressero i loro membri in alleanza con l’esercito tedesco profondamente antidemocratico. Questo soltanto avrebbe profondamente cambiato il 20° secolo e avrebbe  fornito la spinta alle insurrezioni che si innescavano in tutto il continente.

Considerate le parole del primo ministro britannico David Lloyd George nel 1919 quando discuteva delle sue paure con Georges Clemenceau, il primo ministro francese: “Tutta l’Europa è piena dello spirito della rivoluzione. C’è un profondo senso non soltanto di scontento, ma di rabbia e di rivolta tra i lavoratori contro le condizioni prebelliche. L’intero ordine esistente, nei suoi aspetti politici, sociali ed economici è messo in dubbio dalle masse di popolazione da una parte all’altra dell’Europa.”

 

Quale paese va  per primo? 

La Russia è stata l’anello debole nel capitalismo europeo e le tensioni della Prima Guerra mondiale si sono sommate alle condizioni per un rivoluzione. Non è stata una inevitabilità. L’analogia espressa da Leone Trotsky con un motore a vapore, rivive qui: “Senza un’organizzazione che faccia da guida, l’energia delle masse di dissiperebbe come vapore non racchiuso nella scatola del pistone. Cionondimeno, quello che muove le cose non è il pistone o la scatola, ma il vapore.”

La Rivoluzione di Ottobre non ci sarebbe stata senza un sacco di vapore; senza masse di gente in movimento che operano verso un obiettivo. La rivoluzione affrontò molti problemi, ipotizzando che avrebbe potuto resistere al contrattacco di un mondo capitalista determinato a distruggerla. La rivoluzione è stata un faro per milioni di persone in tutto il mondo quando scioperi e insurrezioni, ispirati dall’esempio dei Russi, si sono scatenati in tutta l’Europa e il Nord America. I portuali e i ferrovieri della Gran Bretagna, della Francia, dell’Italia e degli Stati Uniti, hanno dimostrato la loro solidarietà rifiutandosi di caricare le navi che destinate a essere inviate in appoggio dell’Armata Bianca controrivoluzionaria che faceva  massacri  senza pietà. Questi eserciti erano aiutati dai 14 paesi invasori che cercavano di annegare la rivoluzione nel sangue.

La rivoluzione è sopravvissuta, ma i rivoluzionari ereditarono un paese in rovina, sottoposto a embarghi che permettevano che si diffondessero carestie ed epidemie. Le città, erano svuotate della base della classe operaia del nuovo governo, il paese era circondato da governi capitalisti ostili. C’era una sola cosa su cui i Bolscevichi erano d’accordo: la Russia rivoluzionaria non poteva sopravvivere senza rivoluzioni almeno in alcuni paesi europei, sia per dare una mano che per creare un blocco socialiste grande abbastanza per sopravvivere. La Rivoluzione di Ottobre sarebbe fallita se fosse fallita la rivoluzione europea.

Tuttavia eccoli là. Che cosa fare? Senza un piano d’azione, con l’industria a pezzi, le città spopolate e le infrastrutture sistematicamente distrutte da tutti gli eserciti ostili alla rivoluzione – avendo sopportato sette anni di guerra mondiale e di guerra civile – i Bolscevichi non avevano alternativa se non ricorrere alle  risorse della Russia. Quelle risorse includevano gli operai e i contadini. Era in fatti da loro che il capitale aveva necessità di ricostruire il paese e poi di cominciare a costruire un’infrastruttura che poteva porre la Russia su un sentiero verso il vero socialismo, in opposizione a un obiettivo di aspirazione nel futuro, che sarebbe arrivato.

I dibattiti in  proposito, incentrati sul ritmo e su quanto gli standard di vita potevano essere imbrogliati per sviluppare l’industria, imperversarono durante tutti gli anni ’20. L’isolamento della Russia, la dispersione della classe operaia, l’incapacità di una nuova classe operaia di raccolta tra la classe contadina, di asserire i propri interessi e la centralizzazione necessaria per sopravvivere in un mondo ostile – tutti uniti da strette sempre più rigide sul potere politico da gruppi che si restringono e  che derivavano dall’isolamento del paese – sarebbero culminati nella dittatura di Stalin.

 

La privatizzazione mette fine alla possibilità di controllo democratico 

Un giorno Stalin se ne sarebbe andato e anche il terrore che usava per mantenere il potere, se ne sarebbe andato. Rimaneva, però, la sovrastruttura politica – il partito singolo che controllava la vita economica, politica e culturale, e il sistema economico ultra centralizzato che è diventato costantemente in vincolo più significativo per lo sviluppo. Il sistema sovietico era in ritardo per le riforme su larga scala, compreso il dare più voce ai lavoratori in nome dei quali il partito governava, circa il modo in cui le fabbriche (e il paese stesso) erano gestite. Una volta che l’Unione Sovietica crollò e che le imprese del paese vennero messe in mani private con minuscole frazioni del valore di quelle imprese, la possibilità di costruire una vera democrazia, svanì.

Una vera democrazia? Sì. Infatti senza una democrazia economica non ci può essere democrazia politica. Il mondo capitalista dove attualmente viviamo, lo testimonia. E se il popolo dell’Unione Sovietica avesse dimostrato per la propria causa? E se le imprese di quel vasto paese fossero diventate democratiche – una specie di combinazione di cooperative e di proprietà statale con un controllo democratico? Questo sarebbe potuto accadere perché l’economia era già in mai statali. Questo sarebbe potuto accadere perché una grande maggioranza del popolo sovietico voleva soltanto quello. Non il capitalismo.

Non sono stati capaci di intervenire durante la perestroika, e non si sono resi conto di che cosa c’era in serbo per loro dopo che l’Unione Sovietica si era dissolta e Boris Yeltsin aveva potuto imporre la terapia shock che gettò nella povertà diecine di milioni di persone e che alla fine avrebbe causato una riduzione del 45% del PIL – molto più grave della contrazione negli Stati Uniti durante la Grande Depressione.

Una rivoluzione che iniziò con tre parole –pace, pane, terra, e un lotta per attuare quel programma, terminò con una “terapia dello shock”, un termine che denota la privatizzazione forzata e la distruzione delle reti di protezione sociale, e che fu coniato dal padrino neoliberale Milton Friedman quando fornì una assistenza al dittatore cileno Augusto Pinochet. In milioni hanno portato in vita quella rivoluzione; tre persone (i leader di Russia, Ucraina  e Bielorussia) vi hanno posto fine in un incontro privato. Con le armi finanziarie delle potenze capitaliste che si profilano sullo sfondo, pronte a piombare sopra.

Il modello sovietico non verrà ricreato. Questo non significa che non abbiamo nulla da imparare da questo. Una lezione importante delle rivoluzioni che promettevano il socialismo (come la Rivoluzione di Ottobre) e le rivoluzioni che promettevano una vita migliore tramite un’economia mista (come la Rivoluzione Sandinista), è che un’economia democratica e quindi una stabile democrazia politica deve poggiare sul controllo popolare dell’economia o, per usare il termine fuori moda, sui mezzi di produzione.

Lasciare la maggior parte dell’economia nelle mani dei capitalisti dà loro il potere di distruggere l’economia, come il Nicaragua ha scoperto negli anni ’80  e il Venezuela

sta scoprendo oggi. Mettere tutte le imprese nelle man di uno stato centralizzato e della burocrazia, riproduce l’alienazione da parte di coloro il cui lavoro lo fa funzionare. Mette anche in moto distorsioni e inefficienze perché nessun piccolo gruppo di persone, indipendentemente da quanto siano dedicate, può padroneggiare tutta la conoscenza necessaria a far funzionare senza problemi la vasta varietà  di decisioni  che la costituiscono.

Il mondo del 2017 è diverso dal mondo del 1917: per prima cosa, l’attuale crisi ambientale e del cambiamento climatico che incombe su di noi, ci dà un’ulteriore spinta a trascendere il sistema capitalista. Abbiamo necessità di produrre e di consumare meno, non di più, al contrario di chi viveva un secolo fa. Abbiamo bisogno della  partecipazione di tutti, non della burocrazia, di una pianificazione  dal basso con flessibilità, non di una pianificazione rigida imposta dall’alto. Dobbiamo, però, imparare anche dai molti progressi delle rivoluzioni del XX secolo – gli ideali della piena occupazione, della cultura accessibile a tutti, dell’edilizia popolare e sanità in quanto diritti umani, pensionamenti dignitosi, e il principio che sfruttare gli esseri umani e impedire lo sviluppo di altri esseri umani per averne un guadagno personale, è un affronto.

La marcia in avanti della storia umana non è un dono degli dei, né regali che ci vengono dati da governanti benevoli, da governi, istituzioni o mercati – è il prodotto collettivo della lotta umana collettiva sul campo. Se le rivoluzioni  non sono all’altezza  o falliscono, significa semplicemente che è di nuovo ora di tentare ancora e di farlo meglio la prossima volta.

 


Questo articolo originariamente è stato pubblicato sul quotidiano The Indypendent, di New York.


Pete Dolack cura il blog  The Systemic Disorder ed è stato attivista in  vari gruppi. Il suo libro, It’s Not Over: Learning From the Socialist Experiment [Non è finita: imparare dall’esperimento socialista] è disponible da Zero Books.


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Originale: https://www.counterpunch.org/2017/11/03/the-revolt-that-shook-the-world/

 

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