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19 novembre 2017

 

Cattivi maestri, buoni consigli.

 

Preambolo

 

Passata la sbornia del centenario dell'Ottobre (fine delle trasmissioni) ci sono (ri)capitati tra le mani due libretti a loro modo importanti. Su Lenin. Ancora. Un libro del '24 del giovane Lukács (1) e le lezioni di Negri del 1972/73 a Padova (2). La lettura è un esercizio speciale: è una ricerca e allo stesso tempo un'esplorazione guidata. Abbiamo orientato un cammino in queste letture scoprendo ancora, come misura del nostro passo, quel movimento di riduzione fondamentale del leninismo: fare della traccia marxiana un sentiero per la lotta di classe. Una banalità? Mai del tutto. Abusando di ogni correttezza filologica, sia nei confronti dei due libri in questione sia, soprattutto, nei confronti di Lenin, ci siamo permessi di affrontare, saccheggiando qua e là alcuni frammenti di pensiero, alcuni temi per noi ineludibili dell'ambizione a riunirsi, incontrarsi, a battersi e progettare assieme per altri fini. No, non ci sono certezze che vengono restaurate; siamo pur sempre nella traiettoria di una crisi. Quella che segue è la giusta premessa a riguardo.

 

Il manifesto del partito comunista racconta di uno spettro; “si aggira per l'Europa...”. I fantasmi ci ossessionano. In un certo senso, in questo anno di ricorrenze ingombranti (2017, 1977...), si presentano le occasioni per tornare sulle tracce di ciò che, pur presente, si nasconde. Il rapporto latente, immanente a una dinamica storica di sviluppo: lo sfruttamento e la resistenza (spettrale) a questo. Marx stesso parlava di un carattere di feticcio della merce e del suo arcano.


Quale arcano cerchiamo cent'anni dopo l'Ottobre?

È questa la prima domanda fondamentale, di quelle che rievocano un qualche spettro. Ci torneremo, ma intanto bandiamo alcuni equivoci possibili: restiamo allergici alle celebrazioni... bandiere rosse al vento e quelle cose lì. Siamo i figli di nessuno, di nessuno nella tradizione ufficiale del movimento operaio, quelli che hanno continuato a intestarsi un'eresia contro le versioni ufficiali del dogma comunista proclamate da un autoproclamatosi movimento storico della classe e contro i suoi rappresentanti. Di nuovo, a noi ha sempre interessato di più il fantasma dietro le forme organizzate, manifeste ed esplicite del nostro movimento.

 

Non c'è una presenza dietro la “sottigliezza metafisica” della merce. Un essere vero occultato dalle forme di un ente corrotto e mistificato. Si dispone sempre di un'ontologia certo: nel linguaggio, in ciò che in esso vi è sedimentato, nell'esperienza e nel suo vissuto storico. Marx si calò in un mondo di spettri ma siamo poco interessati a perderci nel loro doppio, nei tanti post- che vorrebbero condannarci ai simulacri, alla ricerca di una presenza intangibile che è apparenza o apparizione. Una metafisica della presenza è per noi inservibile. Lo spettro del comunismo al contrario pone la questione del rapporto che presiede alla produzione di realtà come relazione conflittuale che la infesta e la minaccia nella sua forma attuale. Un buon indagatore dell'incubo all'inizio degli anni '90 spese parole preziose a riguardo (3).

 

Quale arcano cerchiamo allora cent'anni dopo? Non il dogma, non la dottrina, non l'ideologia, ma i passaggi, i salti, le discontinuità di un pensiero proletario dell'autonegazione nello scontro di classe.

 

Il fantasma dietro la storia non è altro che la determinazione concreta del soggetto proletario organizzato nel movimento che tende alla sovversione e al rovesciamento dei rapporti che lo definiscono in quanto tale. C'è nella forma in cui non è ancora e per quella in cui non sarà più. Spettralità.


Non i dogmi, non la dottrina, non l'ideologia:

“il marxismo è la continuità reale di un soggetto che propone istanza sovversiva con continuità del suo essere: solo a queste condizioni la teoria diviene potenza materiale. Di qui la continuità del marxismo in quanto negazione dell'ideologia: mai continuità semplicemente teorica, mai filiazione, ma sempre rottura e rinnovamento delle ipotesi politiche a confronto delle necessità, delle esigenze, delle nuove qualificazioni che il soggetto rivoluzionario presenta”(4)

 

Fare emergere una forza storica, organizzarcisi come soggetto. Non c'è pensiero rivoluzionario senza pensiero del soggetto rivoluzionario, senza soggetto proletario. Un punto fermo e un'altra domanda. 


Un primo elemento guadagnato: l'arcano lo cerchiamo nella tensione alla classe come referente del nostro pensiero e del nostro agire, la tensione alla determinazione concreta del soggetto proletario dentro lo sviluppo di una dialettica antagonista tra capitale e sfruttamento del lavoro vivo.

 

Un'altra domanda: perché rivolgerci a Lenin? 

Nella tradizione marxiana il contributo del pensiero leninista applica la scienza marxista su una determinazione specifica e storica del soggetto proletario, “rende la scienza espressione del soggetto operaio”(5). Questa è la “riduzione fondamentale che Lenin opera e impone alla scienza marxista a lui contemporanea: vincere questa battaglia è stato appunto costruire il partito bolscevico e determinare la rivoluzione d'Ottobre”(6).

Quindi, più che della memoria e della celebrazione del mito, siamo alla ricerca di un pensiero in grado di fornire strumenti per la determinazione concreta degli ambiti proletari dell'oggi, per quanto questi siano crudi, per quanto si rinnovi oggi ancor più intricata la trama che nasconde l'arcano di questi ambiti. Ciò che di Lenin ci serve è per l'appunto questo lavoro di riduzione il quale sempre smentisce il bolscevismo come modello assoluto di per sé trasferibile (cambia la determinazione storica degli ambiti proletari, il loro grado e intensità di sussunzione al capitale) e sempre lo conferma come metodo dell'attualità della rivoluzione, della contemporaneità del suo problema. Ciò che cerchiamo è qualcosa di utile per noi, come militanti del nostro tempo, di questo qui e ora.

Cento anni dopo ci rapportiamo al tema dell'attualità della rivoluzione proletaria nel tempo dell'apparente scomparsa del soggetto della rivoluzione. Storia di spettri e ricerca di un arcano, si diceva. Non un paradosso. Manca il movimento, nella sua forma autonoma di movimento organizzato della classe con fini autonomi, ma non manca un pensiero della soggettività materialisticamente fondato.

 

Non siamo orfani del movimento operaio storico, siamo determinati a consegnare al nostro tempo una storia sua propria. Rievocare il fantasma, farne carne. Tra lo spettro e lo Spirito. Una vecchia questione che non solleveremo; siamo diffidenti verso la trappola metafisica, l'abbiamo detto, ma non basta liquidarla con qualche battuta. Diciamo che ci resta solo questo consiglio che ci consegna l'Ottobre, perché i fantasmi non si possono ammazzare: è possibile essere (ancora) minaccia.

 

Allo stesso tempo non ci basta seguire il filo fenomenico delle insorgenze planetarie per inferire questa possibilità. Ci sembra questo un vezzo recente di un certo milieu militante in cerca di conforto perché disabituato all'esercizio materialista. Cerchiamo, al contrario, nelle pieghe e nei contrasti dello stesso rapporto che produce la realtà la nostra regola, un modo di stare al mondo per trasformarlo sul progetto della negazione dei suoi fini attuali.

 

***

 

Siamo tornati allora su alcune questioni costituive di un metodo militante e della natura profonda di ciò che orienta quanto facciamo come militanti politici di base. Abbiamo isolato alcuni caratteri-temi cari alle nostre ambizioni, o che tornano per noi. Ancora ossessioni.

 

Per riscriverci:

I attualità della rivoluzione

II autonomia proletaria 

III l'organizzazione nella classe

IV irriducibilità dell'antagonismo

V liquidazione dell'utopismo.

 

È un itinerario di riconoscimento e di approfondimento di un ipotesi di metodo militante, che serve per guardarci allo specchio e per affinare una traiettoria di sviluppo di quello che siamo ora, di quello non siamo ancora, alla ricerca di quello che non saremo più. Anche noi, altri spettri.

 

In questo preambolo abbiamo parlato a braccio spaziando su tre dimensioni, per fissarle come coordinate di partenza. 


Un piano dell'essere. Contro ogni chimera metafisica non abbiamo che questo mondo e ci muoviamo all'altezza dei rapporti conflittuali che lo producono. 
Un piano del soggetto. Dentro l'antagonismo che informa la realtà guadagnare fini propri è condizione per un pensiero rivoluzionario. 


Un piano della scienza o meglio del metodo. Cerchiamo sempre una regola contro questa realtà.

 

Siamo vaghi e approssimativi, ce ne rendiamo conto. Ma vogliamo pur iniziare.

Ogni settimana aggiorneremo il percorso di un passo. Per un cammino aperto: I, II, III...

 

Note

1 G. Lukács, Lenin, Teoria e prassi nella personalità di un rivoluzionario, Einaudi, Torino, 1970.

2 A. Negri, Trentatre lezioni su Lenin, Manifesto libri, Roma, 2004.

3 J. Derrida, Spectres de Marx, Galilée, Paris, 1993.

4 A. Negri, op. Cit., pp. 18-19.

5 Ivi, p. 59.

6 Ivi, p. 19.


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26 novembre 2017 

 

Attualità della rivoluzione

 

L'attualità della rivoluzione è l'idea fondamentale di Lenin, dice Lukács (1) . In che senso è possibile sostenere ancora questa idea e appropriarcene in un contesto di apparente assenza di movimento rivoluzionario della classe? 


Bisogna penetrare in profondità il senso di questa idea in Lenin.

Sostiene Lukács nel 1924 che certe interpretazioni, per non tacere della grandezza di Lenin, tendono a ridurlo a grande uomo politico. Si tratta di letture sono riduttive e opportuniste dice il pensatore ungherese (2). Lenin al contrario, sostiene Lukács, è il più grande pensatore che il movimento operaio abbia avuto da Marx in poi non (solo) perché fu guida del proletariato russo, ma innanzitutto perché fu il massimo interprete del materialismo storico che è la teoria della rivoluzione proletaria.

 

Un primo accorgimento su cosa non è il materialismo storico in quanto teoria della rivoluzione. Esso non è una teoria della generalizzazione. In altre parole i problemi e le soluzioni fornite da Lenin in riferimento alla realtà russa non valgono e non devono valere su un piano universale. Egli individua però dei compiti immediati per una realtà determinata e in riferimento a dei fini ultimi. È per questo un rivoluzionario, un materialista e un comunista. Ma questi compiti di chi sono? Su cosa agiscono? E inoltre, a chi appartengono questi compiti e perché vengono assunti? Osservando quale fine ultimo? 

Il discorso va situato. Lenin parla sempre dei compiti di una minoranza di proletari rivoluzionari vincolandoli, in qualità di militanti rivoluzionari, a un modo di stare nella propria realtà quotidiana per trasformarla in vista di fini ultimi che diremo comunisti. È una regola di militanza come approccio all'esistente per la rivoluzione. C'è una pagina di Romano Alquati che, pur non riferendosi direttamente a Lenin, ben specifica la natura e il posizionamento di un discorso indirizzato alle condizioni materialistiche di un'organizzazione comunista (o ipercomunista, secondo le esigenze dell'oggi).

 

“Ma stiamo attenti: ripeto ancora, non confondiamo la quasi-utopia finale e globale, essa pure mobile, della società alternativa che vogliamo costruire, ed andiamo costituendo, e dell'iperproletariato in generale, con il discorso (...) dell'organizzazione ipercomunista che vuole svilupparne la costituzione (...). Sono due livelli e momenti distinti. Io qui mi riferisco a questa organizzazione che vuole promuovere un nuovo comunismo non ad agenti proletari qualsiasi. E nemmeno a certi comunisti cnella loro anima bella ma refrattari ad organizzarsi per realizzare questo neo (od iper-) comunismo medesimo. Quindi mi riferisco ad una minoranza.


Pertanto ora anticipo il tema qui centrale dicendo che mentre iperproletari qualsiasi, singolari o collettivi (la gente qualsiasi quindi), io qui non li voglio vincolare proprio a nulla e li considero liberissimi; invece io dico che coloro che si dichiarano in qualsiasi maniera membri di una qualsiasi organizzazione che racconti in giro di promuovere ed attuare il misterioso e demodé “comunismo”, anche nuovo o rinnovarlo, così sono vincolati. Questi membri sono vincolati, ossia essi limitano la loro libertà attuale , ossia rinunciano a una parte di questa in vista di una maggiore e migliore libertà futura... non solo, ma rinunciano a una parte della libertà odierna anche allo scopo di dare maggiore potenza e riccchezza già fin da ora alla libertà attuale ed ambivalente (anche sistemica) che loro rimane, libertò loro personale in quella collettiva. No? L'accettazione di questo vincolo è implicità nell'adesione all'una o all'altra organizzazione per un qualsiasi comunismo.”(3)

 

Questi compiti, per questa minoranza, devono essere rintracciati entro una realtà concreta e determinata. È il materialismo come metodo che non è né un processo di astrazione che estende “particolari aspetti di un fenomeno temporalmente e localmente determinato, assunti come «leggi generali» e utilizzati come tali”(4), né una forma di idealismo corretto da una volontà storicamente situata e al servizio dell'agire politico. Per questo, su delle premesse materialiste, attualità della rivoluzione non può significare l'eventualità della rivoluzione ogni qualvolta la si scelga.

 

“Né Lenin né Marx avevano presentato l'attualità della rivoluzione proletaria e dei suoi scopi ultimi come se la si potesse realizzare a piacere in qualsiasi momento” ma come il fatto che “ogni singolo problema attuale deve essere considerato in rapporto alla totalità storico-sociale, e che deve essere visto come un momento dell'emancipazione del proletariato”.(5)

 

Attualità della rivoluzione è la possibilità sempre attuale di guadagnare entro (e contro) delle relazioni storico-sociali determinate un momento di inversione del processo che ordina il verso di quei rapporti. Sotto questo riguardo uno sguardo materialista si serve come lenti di due categorie fondamentali: quella di composizione e quella di tendenza. Meglio, il concetto di composizione tecnica e politica di classe, ovvero l'organizzazione della forza lavoro nel suo rapporto con il lavoro morto e il processo di autonomizzazione di questa come soggetto collettivo irriducibile in questo stesso rapporto, è lo sviluppo dialettico di un'altra categoria, quella di formazione sociale determinata.

 

Prestissimo, nel 1894, un Lenin imbevuto ancora di un certo positivismo, in “Che cosa sono «gli amici del popolo»?”scagliandosi contro la sociologia populista di Michaijlovskij, scrive che in riferimento a questa “non si può neanche parlare di un sviluppo, ma soltanto delle diverse deviazioni da ciò che è «desiderabile», dei «difetti» che si sono prodotti nella storia in seguito... in seguito al fatto che gli uomini non erano intelligenti, non sapevano capire bene che cosa esiga la natura umana, non sapevano trovare le condizioni per la realizzazione di tali ordinamenti razionali. È chiaro che l'idea fondamentale di Marx, l'idea di un processo sotorico naturale di sviluppo delle fomrzioni economico-sociali scalza dalle radici questa morale puerile che pretende chiamarsi sociologia”.(6) Di contro, avanzando il punto di vista materialista, aggiunge “soltanto riducendo i rapporti sociali a rapporti di produzione, e questi ultimi a livello delle forze produttive, si è ottenuta una base salda per rappresentare l'evoluzione delle formazioni sociali come un processo storico naturale”.(7) Lenin in riferimento al materialismo storico ha l'esigenza di mettere in luce una dialettica di sviluppo.

 

Commenta Negri:

“La scienza della formazione e dello sviluppo capitalistico deve essere sempre riportata alla determinatezza dei rapporti di forza tra le classi così come questi si pongono al suo interno. Non esiste possibilità di sviluppo del capitale che non sia di per sé registrazione, in qualsiasi senso sia questa determinata, di un rapporto di forza nella lotta nella lotta tra le classi. Tutti i rapporti sociali debbono essere riportati alla lotta, al conflitto che si dà tra le forze produttive, dentro i rapporti della produzione sociale”(8).

 

La dialettica è l'arma metodologica che permette di invertire i fini dello sviluppo rispetto alla totalità data. Letendenze dello sviluppo sono forze ambivalenti perché prese nel conflitto interno ai rapporti della produzione sociale. Il concetto dell'astrazione determinata permette “la compensione della dialettica rivoluzionaria nel quadro della tendenza, la comprensione del particolare insubordinato alla prospettiva della totalità”(9). Il circolo marxiano concreto-astratto-concreto dell'astrazione determinata specifica negli antagonismi concreti del rapporto sociale le tendenze che informano lo sviluppo di capitale e delle forme formazioni sociali nello sviluppo di capitale, dunque i rapporti sociali e la loro forma determinata come rapporti antagonisti di sfruttamento.(10)

 

Guadagnare la concretezza delle formazioni sociali determinate a partire dall'intenderle come un prodotto del rapporto conflittuale tra forze produttive consente di riferirsi alla totalità del processo capitalistico non a partire dall'oggettività dei suoi fini attuali già dati, ma a partire dallo sviluppo attuale e sempre possibile delle sue tendenze interne come forze antagoniste e sovversive dei fini che definiscono i fini attuali entro i quali si inscrivono. Lukács a proposito di Marx scrive: “proprio il fatto di aver avuto sempre presenta la totalità del processo capitalistico gli ha consentito di scorgere in ciascuna delle sue manifestazioni il suo senso complessivo, e di coglierne nella struttura anche il movimento”(11).

 

Attualità della rivoluzione significa quindi critica dell'irriformabilità delle condizioni oggettive della realtà che ne decretano la sua non trasformabilità. Critica di un penisero che non contempla il conflitto come motore della realtà. Al contrario il pensiero rivoluzionario vede la possibilità della trasformazione ben prima che questa si dia: la sua attualità.

 

“Per l'uomo comune la rivoluzione proletaria diviene un fatto percepibile solo quando le masse operaie stanno già lottando sulle barricate, e neppure a questo punto, se l'uomo comune ha assimilato soltanto le nozioni di un marxismo volgare. Per i marxisti volgari infatti le basi della società borghese sono così inamovibili che anche quando essa vacilla più gravemente egli si augura soltanto il ritorno del suo stato «normale», e vede nelle sue crisi soltanto degli episodi passeggeri, sicché considera la stessa lotta che vi si sviluppa com un'irragionevole ribellione di gente sconsiderata contro un capitalismo pur sempre invincibile”. (12)

 

Non solo ottimismo rivoluzionario contro il triste pessimismo di chi fa propria la rassegnazione. Certo, anche quello. Ma soprattutto la metodica ricerca di punti di rottura e di inversione e la certezza della loro esistenza perché questa realtà si struttura per contrasti. Lo sviluppo sempre possibile di tendenze antagoniste è l'attualità della sovversione della totalità data. È lo sviluppo dunque di queste tendenze per altri fini, alternativi e contrari.

“Il social-comunismo è in crisi da alcuni decenni perché, privo di fantasia strategica nonché di riferimento a desideri radicali della gente iper-proletaria, non sa prospettare ad essa gente niente di (fortemente) desiderabile, in alternativa a quello che il padrone collettivo dà e/o promette. Ed infatti la gente preferisce comunque il capitalismo. Riducendoci a una quasi-utopia. Io premetto, fra l'altro, la mia opzione ed ipotesi che i fini ultimi comunisti e/o iper-comunisti non debbano nemmeno limitarsi al liberare il valore dal capitale, ma siano di liberazione dell'umanità dalla forma-valore stessa, e quindi dalla stessa forma-merce; oltreché dal capitale e dalla forma-capitale. Questa è una discriminante strategica e metastrategica da attuare fin d'ora per l'ipercomunismo come a mio parere lo fu per il comunismo originario: attualissima!”(13)

Sì, crediamo, attualissima!

 

Note

1 G. Lukács, Lenin. Teoria e prassi nella personalità di un rivoluzionario, Einaudi, Torino, 1970, p. 13.

2 Ivi, p. 17.

3 R. Alquati, Camminando per realizzare un sogno comune, Velleità alternative, Torino, 1994, pp. 30-31.

4 G. Lukács, cit. p. 12.

5 Ivi, p. 15.

6 V.I. Lenin, Opere Complete, vol.1, Editori Riuniti, Roma, 1955, p. 132.

7 Ivi, p. 135.

8 A. Negri, Trentatre lezioni su Lenin, Manifesto libri, Roma, 2004, p. 28.

9 Ivi., p. 29.

10 Astrazione determinata è il lavoro non come lavoro in generale ma come lavoro nel modo di produzione capitalistico mediato dalla forma merce.

11 G. Lukács, cit. p. 13.

12 Ivi., p. 14; “La direzione operaia del movimento è lotta contro le condizioni obiettive”, in A. Negri, op. Cit. p. 72.

13 R. Alquati, op. Cit., p. 31.   


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3 dicembre 2017

 

Autonomia proletaria

 

Il tema dell'attualità della rivoluzione si basa sull'analisi della determinatezza del soggetto proletario come forza attiva (antagonista e potenzialmente contro) nella dialettica di sviluppo capitalistico. Esso apre dunque al tema dell'autonomia del soggetto proletario, al suo essere fattore determinante nelle trasformazioni del rapporto sociale capitalisticamente mediato. Prima le lotte poi lo sviluppo, recitava il vecchio adagio operaista. Ma non basta scoprire la determinatezza proletaria nella dialettica di sviluppo. Poiché l'autonomia non è (semplicemente) la costante resistenziale al processo di mercificazione questa dialettica deve essere riconosciuta come forza interna alla parte-classe proletaria e anzi come fattore della sua definizione in quanto soggetto che si scopre e si forma secondo fini suoi propri. Un'interpretazione meccanica e non dialettica dello sviluppo assolverebbe dai compiti dell'agire o collocherebbe questi fuori dalla classe portando all'accettazione della realtà di fatto della totalità capitalistica, ovvero dei suoi fini e alla negazione di fini alternativi. Contro questa opzione sorge la nozione e il riconoscimento dell'autonomia del proletariato e della sua funzione nello sviluppo capitalistico, contro e oltre questo, per la sua negazione, che è il movimento della rivoluzione.

Questo riconoscimento appare necessario “anche a tutti i marxisti «proletari» che concepiscono la loro dottrina in modo meccanico e non dialettico, a tutti quei marxisti che non comprendono – cosa che invece Marx aveva appreso da Hegel e aveva introdotto nella sua teoria liberandola da ogni mitologia ed idealismo – che il riconoscimento di un fatto o di una tendenza è ancora ben lungi dal significare che questa debba essere riconosciuta come realtà normativa del nostro agire” (1).

È la lotta che scopre la dialettica ed è solo nella lotta che si costituisce l'autonomia proletaria come attualità della rivoluzione. L'autonomia non è allora il fuori dal rapporto di capitale che resiste alla cattura. C'è anche questo aspetto, come carattere endogeno a una soggettività proletaria che si attiva contro, ma, più propriamente, l'autonomia sta nel processo di autonomizzazione dalla mercificazione del rapporto di capitale dentro un movimento che usa la stessa sintesi sociale capitalisticamente mediata, il livello di cooperazione capitalistica che combina l'umano alle macchine, per ricercare nello scontro e nella negazione altri fini contrapposti. Non ci attarderemo su un interrogativo lecito ma qui troppo impegnativo che cerca la risposta al quesito su cosa sia il comunismo nella connotazione specifica di questa cooperazione rivoluzionata. In questo senso parleremo di progetto comunista, come tensione organizzata a-.

“L'importante per il punto di vista comunista è dimostrare come l'incedere delle lotte semplifichi il terreno dello scontro e ne recuperi sempre di più la natura antagonista: l'analisi, adeguandosi alla pratica rivoluzionaria, conduce alla riduzione dialettica e dinamica della lotta di classe dentro quelli che sono i suoi termini essenziali”(2).

Lo sviluppo delle tendenze di sviluppo ha possibilità di essere un momento nel processo di emancipazione del proletariato se concepito nel contesto delle lotte e quindi come sviluppo antagonista. Ciò, all'atto stesso di concepire l'attualità della rivoluzione, fissa fini contrapposti e irriducibili tra il progetto capitalistico e il progetto comunista.

“È soltanto con questa concezione dialettica della necessità delle tendenze storiche che si costituisce lo spazio teorico atto all'intervento autonomo del proletariato nella lotta di classe. Giacché quando ci si limita semplicemente ad accettare la necessità dello sviluppo capitalistico, come fecero le avanguardie ideologiche della borghesia russa e più tardi i menscevichi, ne deriva innanzituttola conseguenza che la Russia deve portare a compimento il proprio sviluppo capitalistico” (3).

E non la rivoluzione, aggiungeremmo. Ancora una volta, perché siano momenti di un processo di conquista di autonomia per il soggetto proletario le tendenze di sviluppo devono essere la posta in palio nella stessa lotta di classe. I processi di scomposizione e ricomposizione di classe nelle varie fasi di sviluppo capitalistico rappresentano pertanto, allo stesso tempo, un processo di conquista di autonomia da parte del proletariato che si fa classe-parte e soggetto rompendo con altre determinazioni e formazioni storico-sociali nelle quali veniva precedentemente assorbito, come quella di popolo. È il conflitto a dissolvere queste forme in quanto agire-contro: “ la necessità della dissoluzione di queste forme ha un senso determinato soltato come processo dissolutivo, dunque solo negativamente” (4).

Pertanto, dialetticamente, lo sviluppo positivo della tendenza, il suo verso, non è una necessità meccanica da accettare me sempre decisa solo e soltanto dalla lotta di classe. “Ma se entrambe le tendenze sono possibili e perfino- in un certo senso – entrambe progressive, cosa sarà a decidere quale delle due debba realizzarsi? La risposta di Lenin a questa questione, come ad ogni altra, è chiara e precisa: la lotta di classe” (5).

L'autonomia proletaria si forma dunque sulla capacità di essere parte attiva nel conflitto di classe. “Si vengono così delineando in forma più distinta e concreta i tratti di quel milieu in cui il proletariato è chiamato a inserirsi autonomamente, come lasse dirigente. Perché la forza decisiva in questa lotta di classe, può essere soltanto il proletariato”(6). Per garantire – come scrive Lenin in “Che fare” - “l'energia, la fermezza e la continuità”(7) si impone il tema dell'organizzazione a sostegno dell'autonomia proletaria.

 

Note

1 G. Lukács, Lenin. Teoria e prassi nella personalità di un rivoluzionario, Einaudi, Torino, 1970, p. 21.

2 A. Negri, Trentatre lezioni su Lenin, Manifesto libri, Roma, 2004, p. 74.

3 G. Lukács, op. Cit., pp. 22-23.

4 Ivi, p. 26.

5 Ivi, p. 26.

6 Ivi. p. 27.

7 V.I. Lenin, Opere Complete, vol.5, Editori Riuniti, Roma, 1958, p.412.


 

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10 dicembre 2017

 

L'organizzazione nella classe

 

Guadagnare l'unilateralità di fini indipendenti e antagonisti come classe autonoma proletaria nel conflitto sullo sviluppo del rapporto di capitale significa perseguire il progetto comunista. Questa traiettoria strategica passa per le dimensioni tattiche del conflitto di classe descrivendo la duplicità leninista “e in parte del pensiero marxiano: il passaggio dalla teoria dello sviluppo alla toeria della distruzione dello sviluppo”(1).

 

Ma cosa preserva la direzione strategica del progetto comunista nella lotta del proletriato, il suo essere movimento che abolisce lo stato di cose presenti, il movimento di distruzione dello sviluppo? È l'organizzazione, risponde Lenin. Da questo si può dedurre un primo elemento caratterizzante la forma partito storica bolscevica: l'organizzazione sorge su un'esigenza offensiva e ha una funzione offensiva. “La forma organizzativa leninista è inseparabilmente connessa con la previsione che la rivoluzione sia vicina. Perchè solo in tale situazione ogni deviazione dalla retta via della classe appare fatale e irrimediabile” (2)

Quindi l'autonomia proletaria impone l'esigenza dell'organizzazione per sostenere il conflitto di classe ma allo stesso tempo l'organizzazione preserva la direzione del progetto comunista che si sviluppa sull'autonomia di classe. “Se l'indipendenza del proletariato è condizione, e deve essere caratterististica dell'organizzazione, d'altra parte senza organizzazione non c'è e non può esserci neppure indipendenza del proletariato”(3). 

Quindi l'autonomia proletaria è da un lato il presupposto dell'organizzazione e dall'altro lo sviluppo dell'organizzazione come sviluppo dell'autonomia proletaria dentro il progetto comunista. La classe è un referente materiale che ha sempre priorità logica.

 

“Il fatto è che il referente materiale del movimento- la spontaneità scientificamente registrabile dalla scienza operaia del programma e della tattica - è più importante, viene logicamente prima del problema dell'organizzazione: questa è il completamento di quella e le questioni che la toccano possono balzare e - come avviene nel momento considerato dell'esperienza di Lenin- sono storicamente in primo piano.”(4)

 

La spontaneità dell'autonomia di classe è ciò che impone il passaggio all'organizzazione per non disperdere la stessa come forza attiva nella lotta di classe, per non farla riassorbire neutralizzandone l'unilateralità e l'indipendeza del proprio progetto, ma al contrario per farle risalire dei livelli nella stratificazione di classe, nelle sue alleanze per ricomporre una parte nello scontro.

 

“L'organizzazione è infatti la verifica della spontaneità (...). La realtà è dialettica, la spontaneità è la base dialettica del passaggio all'organizzazione. Quando questo passaggio non si dà, allora la spontaneità stessa si immeschinisce e si neutralizza. Spontaneità diventa in questo caso impotenza organizzativa. Il suo sviluppo si impedisce di configurarsi come totalità del processo rivoluzionario. L'organizzazione è la spontaneità che riflette su se stessa. Altrimenti è l'impotenza e la sconfitta che tentano di autogiustificarsi”.(5)

Cosa può significare risalire dei livelli? Significa sviluppare la dialettica dello scontro su interessi antagonisti, perchè l'incedere della lotta semplifica il carattere dello scontro. Dunque, proprio perchè lo sviluppo delle contraddizioni è dialettico e non meccanico, l'autonomia di fini antagonisti si guadagna non di per sè sulla spontaneità, ma sull'organizzaione che, come detto, è verifica della spontaneità, suo sviluppo e rafforzamento. Se così non fosse resterebbe una direzione ideologica e di principio sul ruolo direttivo del proletariato nel conflitto di classe a partire dalla sua posizione staticamente intesa nel rapporto di capitale, il quale è un rapporto oggettivamente antagonista. A questo oggettivismo Lenin oppone il punto di vista soggettivo della scelta dell'organizzazione per il conflitto:

“Sarebbe un uso meccanico del marxismo, e quindi anche un illusionismo antistorico, immaginarsi che la giusta coscienza di classe del proletariato, che lo abilita alla sua funzione direttiva, possa svilupparsi poco alla volta di per se stessa, senza attriti e senza intoppi; che il proletariato possa maturare spontaneamente sul piano ideologico alla sua vocazione di classe rivoluzionaria”.(6)

 

L'organizzazione è organizzazione per il conflitto di classe a partire dalla “collocazione che il soggetto rivoluzionario di classe assume entro i rapporti di forza complessivi con le altre classi e nei confronti delle strutture di potere esistenti”(7). Non è dunque un'organizzazione per la propaganda in cui soggetti già coscienti del progetto autonomo e indipendente del proletariato spiegano e “portano coscienza” al resto della classe. Lenin anzi contesta l'insufficienza dei soli strumenti dell'agitazione e della propaganda per promuovere il proletariato a classe dirigente nel conflitto di classe.

Se “si sostiene che un'autoeducazione spontaneamente rivoluzionaria delle masse proletarie (mediante le attività di massa e le esperienze di massa) sostenuta da una corretta agitazione e propaganda teorica etc. del partito è sufficiente a garantire in modo efficace il corretto sviluppo si resta ancora fermi in qualche modo all'ideologia di una maturazione spontanea del proletariato alla propria missione rivoluzionaria”(8).

Non c'è né un progressivismo delle lotte né delle condizioni oggettive di sviluppo capitalistico che a un certo punto, per la sua posizione nel sistema produttivo, porterebbero automaticamente il proletariato a ribaltare il rapporto di sfruttamento e quindi alla vittoria. La concezione leninista dell'organizzazione rompe dunque imponendo un salto, con un certo fatalismo meccanicista: “sia con quello che considera la coscienza di classe del proletariato come il prodotto meccanico della sua situazione di classe; sia con quello che nello stesso processo rivoluzionario intravvede soltanto l'esplicarsi di forze economiche che prorompono fatalisticamente, forze che – quando le condizioni oggettivamente rivoluzionarie siano sufficientemente mature – portano, per così dire automaticamente, il proletariato alla vittoria”(9).

 

L'organizzazione è un salto nella continuità. Contro ogni primitivismo e antimodernismo, il punto di vista di internità alla classe alla ricerca delle sue determinazioni più complete, a partire dalle sue trasformazioni più avanzate, impone la continuità della lotta di classe seguendo la continuità della lotta per lo sviluppo del capitale. Ma per l'appunto Lenin è un pensatore dialettico, non un meccanicista; pur essendo la lotta economica lotta politica, non sarà dallo sviluppo progressivo delle sole lotte spontanee che la lotta politica si farà lotta economica, ovvero scontro rivoluzionario sulla sovversione del rapporto di capitale. Da dentro la concretezza del soggetto proletario preso in un rapporto antagonista si impone un salto qualitativo in cui lo stesso proletariato si supera nel superare la determinattezza del proprio rapporto di subordinazione rivelato dalla lotta e si ponga, in funzione direttiva di se stesso, proponendo un'intelligenza complessiva sul progetto autonomo e indipendente del proletariato intero. Qui sorge l'esigenza dell'organizzazione nella classe e al tempo stesso il concetto di organizzazione esterna della classe.

“La lotta politica non è solo lotta economica: se la lotta politica si mantiene su un livello fabbrichista, se l'organizzazione spontanea non riesce a trovare al suo interno la capacità di rompere il processo indefinito della lotta economica e a superarsi nella determinazione di un atto di volontà soggettiva, costituitasi all'esterno, in termini di totalità, - bene, se questo non avviene, il processo dell'organizzazione non si sposta all'altezza della formazione sociale determinata edella sua necessità”(10).

 

Dunque non basta la propaganda, l'organizzazione è organizzazione per il conflitto e pertanto interna ai processi di trasformazione sul conflitto ma, per preservare l'autonomia della classe e del suo progetto antagonista e farsi direzione della totalità di questo interesse senza disperderlo nella ciclicità delle lotte è necessario che la parte (il partito) sia anche organizzazione esterna della classe.

 

Ci sono dei rischi in questo salto? Ovviamente sì, in primo luogo l'autoreferenzialità del gruppo rivoluzionario, l'autonomia del politico che non tiene in conto dell'autonomia della classe:

“Il piano organizzativo bolscevico trasceglie così un gruppo di rivoluzionari coscienti pronti a ogni sacrificio, dalla massa più o meno caotica della classe. Ma con ciò non sorge il pericolo che questi rivoluzionari di professione finiscano per separarsi dalla vita reale della classe, trasformandosi in un gurppo di congiurati, in una setta?”(11).

 

La separatezza rispetto alla classe è costitutiva della stessa idea di organizzazione in quanto organizzazione esterna della classe. Allo stesso tempo questa separatezza deve essere sempre colmata poichè si è comunque organizzazione per il conflitto della classe. La militanza rivoluzionaria allora custodisce certo una direzione strategica, ma questa deve sempre essere adeguata alla vita della totalità per verificare, sviluppare e organizzare la stessa autonomia di classe come forza attiva nel conflitto. L'autonomia, come detto, viene logicamente prima dello stesso principio di organizzazione. Il militante rivoluzionario è sempre preso in questa tensione tra la vita della classe e la tensione strategica alla sua sovversione, lo spazio dell'attualità della rivoluzione è quello che intercorre tra questi due poli e nella loro circolarità: tra quello che c'è e quello che non è ancora, tra l'esclusività e l'universalità.

 

“L'idea leninista dell'organizzazione si concreta quindi tra due poli necessari: la più rigorosa scelta dei membri del partito sulla base della loro coscienza di classe proletaria e insieme la più piena solidarietà e appoggio a tutti gli oppressi e gli sfruttati della società capitalistica. Si congiungono quindi in essa dialetticamente l'universalità con l'esclusività consapevole dei propri fini, la direzione della rivoluzione in senso rigorosamente proletario con il carattere generalmente nazionale (ed internazionale) della rivoluione”(12).

 

Se “è chiaro che la situazione rivoluzionaria non può essere, in sé stessa, il prodotto dell'attività del partito”(13) allora, l'attualità della rivoluzione per i militanti rivoluzionari significa preparare la rivoluzione, ovvero “con la sua azione (con il suo influsso sull'azione del proletariato e anche degli altri ceti oppressi) deve cercare di agire come fattore di accelerazione sulla maturazione di queste tendenze rivoluzionarie. Deve anche però, d'altra parte, preparare da un punto di vista ideologico, materiale, tattico e organizzativo il proletariato alle azioni che nella situazione rivoluzionaria acuta si renderanno necessarie”(14).

 

Per tornare al tema dell'adesione alla vita della totalità in riferimento al problema della separatezza costitutiva di ogni organizzazione della classe in quanto classe subalterna, Lenin impone, come compito dell'organizzazione, a partire dell'irriducibilità del punto di vista e dell'interesse proletario, uno sguardo all'intera complessità e stratificazione dei segmenti interni alla macroclasse subalterna. Secondo la sua linea strategica il proletariato allinea tatticamente questi interessi:

“Quanto più è profonda la crisi, quanti più strati della società coinvolge, tanto più vari sono i movimenti elementari che vi si incrociano, tanto più intricati e mutevoli divengono i rapporti di froza tra le due classi dalla cui lotta, in ultima istanza, dipende la sorte del tutto: borghesia e proletariato. Se il proletariato vuole uscire vincitore da questa lotta deve incoraggiare e sostenere ogni corrente che contribuisca alla discgregazione della società borghese, deve cercare di coordinare nel complessivo movimento rivoluzionario ogni movimento elementare, anche se ancora confuso, di tutti gli strati in qualche modo oppressi”(15).

 

Coordinare significa perseguire la traiettoria di un progetto il quale corrisponde all'irriducibilità antagonista dell'interesse proletario. Attualità della rivoluzione e compresenza di questo progetto (esterno perchè ancora non presente, come uno spettro) nei movimenti interni alla classe come parte di una totalità da sovvertire. Preparare la rivoluzione significa allora tanto accelerare questi movimenti nel verso del conflitto, quanto anticipare la parabola degli stessi, guardare più avanti, essere, in quanto organizzazione, un passo più avanti.

 

“Il partito dirigente del proletariato può realizzare la sua missione solo se si trova sempre un passo più avantirispetto alle masse in lotta, per poter indicare loro la strada. Ma esso è sempre più avanti di un solo passo, per poter continuare a restare alla guida della loro lotta. La sua chiarezza teorica ha dunque valore soltanto se essa non si ferma alla giustezza generale, meramente teorica, della dottrina, ma se fa sfociare continuamente la teoria nell'analisi concreta della concreta situazione, se la giustezza teorica esprime sempre soltanto il senso della situazione concreta”(16).

 

L'organizzazione allora parte dal movimento trasformativo della classe e suo compito è imparare dalle lotte e su queste trasformarsi, poichè lo stesso processo rivoluzionario nel suo movimento è un processo disgregativo e “ogni nuova forma della lotta, che comporta nuovi rischi e nuovi sacrifici, disorganizza inevitabilmente le organizzazioniche non sono preparate a questa forma di lotta”(17).

 

Quindi “non rientra assolutamente tra i compiti del partito quello di imporre alle masse alcun comportamento escogitato in astratto. Esso ha anzi sempre da imparare dalla lotta e dai metodi di lotta delle masse. Ma anche mentre impara deve essere attivo e preparare le successive azioni rivoluzionarie”(18).

 

Come vale per ogni militante rivoluzionario il partito “non si presenta come qualcosa di già definito nella sua vocazione di guida: anch'esso non è ma diviene”(19) nella continua ed elastica tensione tra l'emergere degli elementi nuovi in seno alle trasformazioni di classe prodotti dalle sue stesse spinte autonome nel conflitto e l'orizzonte strategico del progetto rivoluzionario. Questo posizionamento militante si situa nell'irriducibilità essenziale dell'antagonismo di classe.

 

Note

1 A. Negri, Trentatre lezioni su Lenin, Manifesto libri, Roma, 2004, p. 67.

2 G. Lukács, Lenin. Teoria e prassi nella personalità di un rivoluzionario, Einaudi, Torino, 1970, p.35.

3 A.Negri, op. Cit., p.65.

4 Ivi, pp. 42-43.

5 Ivi, p. 42.

6 G.Lukacs, op. Cit., p. 29.

7 A. Negri, op. Cit., p. 60.

8 G. Lukacs, op. Cit., p. 30.

9 Ivi, p. 37

10 A. Negri, op. Cit., p. 35.

11 G. Lukacs, op. Cit., p. 31.

12 Ivi, pp. 36-37.

13 Ivi, p. 39.

14 Ibid.

15 Ivi, pp. 35-36.

16 Ivi, p. 42.

17 V.I. Lenin, Opere Complete, vol.11, Editori Riuniti, Roma, 1962, p. 201.

18 G. Lukács, op. Cit., p. 43.

19 Ivi, pp. 45-46.


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17 dicembre 2017

Irriducibilità dell'antagonismo

 

Con il materialismo la teoria della rivoluzione guadagna la concretezza storico-sociale dell'esperienza proletaria. Con la dialettica il movimento trasformativo in cui queste determinazioni si configurano come rapporto antagonista. Qui emerge l'autonomia proletaria e la sua istanza di conflitto come motore di questa dialettica. Il comunismo e la militanza rivoluzionaria comunista rappresentano in primo luogo l'assunzione della conflittualità come base e motore della realtà a partire da un punto di vista interno a questa e quindi come soggetti storici attivamente interpreti del conflitto per la trasformazione della realtà.

 

Due dati allora vanno fissati: l'assunzione della consistenza reale, sempre presente come oggettiva latenza, dello scontro sociale e un'unilateralità di posizionamento in questo stesso scontro. Nel polemizzare con il revisionismo Lenin mette in luce esattamente questi due aspetti puntando il dito contro il movimento che assume il punto di vista di una società unita senza antagonismi e contro la riduzione dei soggetti antagonisti e dei loro contrasti che innervano la realtà sociale nel principio dell'unità della società, sostituendo alla loro iniziativa soggettiva una finalità loro esterna. Questo è il movimento del revisionismo che tradisce il princio della lotta di classe.

 

È un tradimento che è inganno e illusione perché sostituisce l'interesse sistemico all'interesse esclusivo di una parte integrandola nella riproduzione dei rapporti di dominio vigenti tra classi: “fino a quando gli uomini non avranno imparato a discernere , sotto qualunque frase, dichiarazione e promessa morale, religiosa, politica e sociale, gli interessi di queste o quelle classi, essi in politica sarannno sempre, come sono sempre stati, vittime ingenue degli inganni e delle illusioni”(1). La democrazia liberale è la forma mistificata di un compromesso sociale che occulta i rapporti tra classi e i loro interessi irriducibili. Essa sublima, fuori dallo sviluppo della dialettica tra le classi e anzi come iniziativa unilaterale di una classe sull'altra, l'antagonismo del rapporto sociale di capitale nell'universalità di un insieme di diritti fuori di cui sono portatori dei soggetti astratti(2). È questo il terreno di sviluppo dell'opportunismo e del revisionismo, bersagli di Lenin.

“Il revisionismo rifiuta la dialettica. La dialettica infatti non è altro che l'espressione concettuale del fatto che lo sviluppo della società si realizza nella realtà attraverso dei contrasti e che questi contrasti (i contrasti delle classi, la natura antagonista del loro essere economico ecc.) sono la base e l'essenza di ogni evento; e una «unità» della società in quanto riposi su una separazione di classi, può essere sempre e soltanto un concetto astratto, una risultante sempre transitoria dell'azione reciproca di quelle forze antagonistiche. Ma poiché la dialettica come metodo è soltanto la formulazione teorica di quel dato di fatto sociale per cui la società si sviluppa tra i contrasti, nel trapasso da una opposizione ad un'altra, quindi rivoluzionariamente, il rifiuto teorico della dialettica significa necessariamente una rottura di principio con ogni comportamento rivoluzionario”(3).

 

Il punto di vista rivoluzionario materialista e dialettico sviluppa il suo proprio interesse. Il revisionismo allora “consiste innanzitutto nel fatto di superare l'«unilateralità» del materialismo storico; unilateralità consistente nel fatto di considerare i fenomeni complessivi del processo storico-sociale esclusivamente dall'angolo visuale del proletariato. Il revisionismo si sceglie come punto di partenza e di vista quello degli interessi dell'«intera società»”(4). Ma un simile interesse in concreto non esiste se non reificato nell'astrazione concettuale della società e delle istituzioni che la rappresentano, quindi da un lato il revisionismo mistifica e dall'altro è sempre naturalmente votato al compromesso nel tentativo di ricomporre questa unità fittizia.

È solo su questa irriducibilità essenziale del punto di vista antagonista che ci può essere direzione dell'organizzazione della classe e che la sua traiettoria strategica può coincidere con un progetto rivoluzionario.

 

Note

1V.I. Lenin, Opere Complete, vol.19, Editori Riuniti, Roma, 1967, p.13.

2V.I. Lenin, Opere Complete, vol.15, Editori Riuniti, Roma, 1967, p. 30.

3G. Lukács, Lenin. Teoria e prassi nella personalità di un rivoluzionario, Einaudi, Torino, 1970, p. 67.

4Ivi, p. 66.


 

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24 dicembre 2017 

 

Liquidazione dell'utopismo

 

Lenin polemizza con il revisionismo e liquida definitivamente ogni forma di concezione utopistica dell'ideale socialista. In entrambe queste mosse è custodito il progetto rivoluzionario nella “realizzazione concreta del contenuto del programma di Marx: quello di produrre una teoria fattasi pratica, una teoria della prassi”(1).

Già la tematizzazione del problema dell'organizzazione come salto nella continuità aveva in Lenin evidenziato come la funzione direttiva del partito della classe non andasse confusa con l'ideologia di una maturazione spontanea e progressiva del proletariato alla propria missione rivoluzionaria, una via per la sua vittoria. Questa via semplicemente non c'è perché la dialettica del conflitto di classe che la parte proletaria deve sostenere in quanto parte del vincolo di capitale descrive sempre condizioni nuove. C'è un'ineliminabile dato di libertà a monte della decisione di costruirsi come parte. Questa variabile descrive tanto la costituzione soggettiva dell'iniziativa proletaria nel farsi classe quanto le sorti possibili del suo destino(2).

Per cosa si combatte dunque? Per quale destino? Come il partito anche il socialismo non è ma diviene sulla distruzione dei livelli di dominio che strutturano la subalternità di classe. Questa traiettoria negativa, come visto, preserva l'orizzonte strategico comunista contro i compromessi dell'opportunismo, mentre è grazie alla connessione tra costituzione soggettiva e suo sviluppo dialettico dentro il conflitto che si scopre il divenire rivoluzionario contro ogni utopismo che vorrebbe invece dedurre la realtà di una idea di socialismo. Sotto questo riguardo ogni presunta pre-formulazione concreta del socialismo è mistificatoria innanzitutto perché risulta essere un prodotto non dialettico. Si tratta di utopismo.

“Il socialismo utopistico non poteva indicare una effettiva via d'uscita. Non sapeva né spiegare l'essenza della schiavitù del salariato sotto il capitalismo, né scoprire le leggi del suo sviluppo, né trovare la forza sociale capace di divenire la creatirce di una nuova società. 
Intanto le rivoluzioni tempestose che, in tutta l'Europa e principalmente in Francia accompagnarono la caduta del feudalesimo e del servaggio, dimostravano in modo sempre più evidente che la base e la forza motrice di ogni sviluppo era la lotta di classe.(3)”

La forza sociale è l'ineliminabile residuo soggettivo, il carattere che coltiva una possibilità di autonomia, non ciò che rimane e già di per sè realizza l'alterità ma la condizione di sviluppo dell'alterità sul conflitto di classe. “La nozione concreta del socialismo - come il socialismo stesso – è un prodotto della lotta che per questo viene condotta: soltanto nella lotta per il socialismo e attraverso questa lotta è possibile elaborarla. Ed ogni tentativo di raggiungere una nozione concreta di socialismo per una via diversa da questo rapporto dialettico di reciprocità con i problemi quotidiani della lotta di classe, fa di tale nozione una metafisica, un'utopia, un'entità meramente contemplativa e non pratica”(4).

Note 

1 G. Lukács, Lenin. Teoria e prassi nella personalità di un rivoluzionario, Einaudi, Torino, 1970, p. 91.

2 È con Benjamin che nel moderno la coppia concettuale di destino e carattere viene prima separata in senso antideterministico contrastando l'idea secondo quale se il carattere di un uomo, e cioè anche il suo modo specifico di reagire, fosse noto in tutti i suoi particolari, e se pure l'accadere cosmico fosse noto in tutti gli aspetti in cui entra in relazione con quel carattere allora sarebbe noto anche il destino di quel carattere; successivamente questa coppia viene ricomposta su una nuova relazione, un ordinamento segnico, laddove il carattere non è più “il fantoccio dei deterministi ma la lucerna al cui raggio appare visibilmente la libertà dei suoi atti”. W. Benjamin,Destino e Carattere (1921) in Angelus Novus, Einaudi, Torino, 1962, pp. 31-38.

3 V.I. Lenin, Opere Complete, vol.19, Editori Riuniti, Roma, 1967, p.13.

4 G. Lukács, op. cit. p. 91

 

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