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25/06/2016

 

“Del mondo non si sa nulla. Vince chi racconta meglio”

 

Lo scrittore presenta lo spettacolo “Palamede, la storia”, ispirato alla Grecia Antica

 

Dal 4 al 9 luglio, nello Stadio di Domiziano al Palatino eccezionalmente aperto al pubblico dalla Soprintendenza per l’area archeologica centrale di Roma, Alessandro Baricco presenta una nuova versione del suo Palamede, la storia con Valeria Solarino. È l’anteprima estiva del Romaeuropa Festival che fino al 3 dicembre animerà le scene della capitale. 

 

Cosa è questo spettacolo?  

«Un testo nato per un teatro particolare, piccolo, l’Olimpico di Vicenza, che ora va nel suo esatto contrario, uno stadio lungo 180 metri e largo 70. E cambia. Oggi i testi devono poter vivere su piattaforme diverse, essere elastici, trasformarsi. Ciò che sta fermo muore. Quel che facciamo deve continuare a rotolare». 

 

Ma chi è Palamede?  

«Era un eroe greco, come Agamennone, Menelao, Odisseo. Ma nell’Iliade non c’è un solo verso che lo cita. Perché? Molti testi parlano di lui, Omero lo cancella». 

 

Già, perché?  

«Palamede era intelligentissimo: gli si attribuisce l’invenzione di molte macchine belliche, degli scacchi, addirittura della scrittura. Fu probabilmente vittima di un complotto ordito da Odisseo. E Omero è il poeta di Odisseo». 

 

Si può dire che l’intelligenza viene sconfitta dall’astuzia?  

«Ai nostri occhi Palamede ha un’intelligenza più pulita, più luminosa. E anche agli occhi dei greci, che non amavano il torvo, triste, astuto Odisseo. Per cui sì, si potrebbe dire. Ma c’è di più. Se Palamede è figlio di un’intelligenza laica, Odisseo appartiene a un élite legata alla religione, alla tradizione, al sapere antico. La lotta tra di loro è il paradigma di tanti scontri culturali di oggi, è una guerra fusa in una guerra di potere, dietro di loro ci sono Agamennone, Achille…». 

 

Intellettuali e potere: tema sempre attuale...  

«Chi vive di prodotti culturali, e ha la fortuna di trovarsi in un punto visibile, sa bene che la rivalità fra intelligenze può essere sanguinaria, molto violenta. Ai miei allievi alla Scuola Holden spiego che questo mestiere si fa in cima alla torre, dove tira il vento. Puoi farti coinvolgere di più o di meno, ma alle volte anche senza volerlo sei in mezzo alla battaglia. A me piace: so bene che bisogna battere il rigore davanti a 80 mila persone nello stadio e 30 milioni alla televisione, con il collega che spera che tu lo sbagli e un portiere di fronte che magari ti sta simpatico e che devi fregare. Se il rigore lo tiri nel cortiletto di casa forse sei più felice, ma non stai facendo il tuo mestiere».  

 

A proposito di Holden, quest’anno a scuola avete ragionato sull’Europa: con quali conclusioni?  

«Ogni anno scegliamo un tema sul quale - come narratori - vogliamo sapere di più. Prima ancora della Brexit, era chiaro che l'Europa avesse un problema di storytelling. Con tutti gli esperti che abbiamo, nessuno sapeva cosa sarebbe successo se la Grecia fosse uscita dall’euro. Neppure Draghi. Non sappiamo niente. E allora decidono le storie, vincono quelle con raccontatori migliori». 

 

Non è confortante...  

«In questo momento non c’è una narrazione dominante. Il campo è aperto, Palamede e Odisseo si scontrano e basta pochissimo, un 2%, per far vincere l’uno o l’altro. C’è molta irrazionalità, ci sono pochi dati e scarse conoscenze, e diventa molto importante il lato narrativo della faccenda». 

 

Sembra che la narrazione disgregante sia vincente.  

«Molti oggi hanno un problema di identità. Quasi tutti, anch’io. Chiesa, patria, nazione, famiglia: queste istituzioni le abbiamo - giustamente - indebolite, oggi l’identità più forte viene dai prodotti di consumo. E non basta. In mancanza di sicurezza - non sicurezza dai ladri, parlo di identità - prevale il panico e quindi l’egoismo e quindi la mossa a chiudere. Perfino gli Stati Uniti stanno dando una chance vera a Donald Trump». 

 

È interessante l’uso che si fa oggi del termine «sicurezza».  

«Si parla di sicurezza pensando ai campi rom o alla polizia, ma la vera sicurezza è identità, è essere padre, sapere chi sei davvero. Mio nonno è andato in guerra per difendere la nazione, cioè i suoi figli, chi lo farebbe oggi?».  

 

I nostri avi erano come Odisseo, noi come Palamede?  

«Arrivano i lupi nell’accampamento, attaccano gli uomini e divorano le bestie. Per Odisseo è un flagello, prende alcuni uomini e va a combattere i lupi. Palamede dice: no, i lupi sono un avvertimento di dio, annunciano la peste, lasciate che mangino i più deboli. E impone all’esercito di non nutrirsi di carne e di stare in mare il più possibile. Risultato: la peste si prende tutta la legione, loro scampano. Se vogliamo fare paragoni: scendono i lupi, c’è chi ha una reazione istintiva e automatica e chi cerca di capire i segni del tempo, e interpretarli». 

 

A cosa sta lavorando ora?  

«Ho preparato tre nuove “Lectures”, che farò a Mantova a settembre e poi registrerò a Roma. Sulla felicità, sulla verità, sulla narrazione. Spiego perché mi attraggono fatti e persone diverse: in una tengo insieme Kant, Leopardi e Beethoven partendo dalla mappa della metropolitana di Londra». 

 

E i romanzi?  

«Ho scritto molto, ultimamente, fino alla Sposa giovane. Ora aspetto che la polvere scenda, per rivederci chiaro». 

 

La televisione?  

«Farò qualcosa ma sarà un evento unico, tra il 2016 e il 2017. Fare tv in maniera costante, ogni giorno, ogni settimana, ora non mi va. Faccio tante cose che mi piacciono, la tv ti assorbe completamente e dà un tipo di popolarità che non mi aiuta». 

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