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06 novembre 2015

 

Tre domande sullo storytelling

Mirko Pallera intervista Alessandro Baricco

 

"Senza storytelling un fatto non è reale. Il digitale ci ha dato innumerevoli canali e una fluidità tale che però non sappiamo assolutamente gestire"

 

Il 3 e il 4 novembre siamo stati al World Business Forum, uno degli eventi più attesi dell’anno. In questa occasione abbiamo avuto l’opportunità di incontrare lo scrittore Alessandro Baricco, tra i più noti esponenti della narrativa italiana contemporanea e maestro nell’arte del raccontare, e porgli qualche domanda sullo storytelling, tema del suo speech sul palco del Mi.Co.

 

I concetti di “tensione psico-culturale” e di “catarsi” attraverso le emozioni sono gli elementi che determinano la diffusione virale di una storia. Ma come scegliere le giuste “tensioni” per massimizzare l’effetto dello storytelling?

Intanto bisogna capire se uno lo vuole fare. Mario Draghi, ad esempio, non lo vuole fare e fa bene. L’indicazione generale è che non puoi pensare di limitarti a raccontare delle storie perché lo storytelling è fatto di tantissime cose. Se io ti racconto una storia, il tono di voce che uso è metà dello storytelling. Bisogna semplicemente stare attenti, ricordarsi che è un tipo di gesto molto più articolato e sofisticato di quanto si pensi.

 

Qual è il peggior luogo comune che hai sentito sullo storytelling?

Che lo storytelling siano le storie che aggiungiamo alla realtà per renderla migliore. La gente non capisce che invece lo storytelling è una parte della realtà. Farsi la domanda su cosa ci sia di vero, su quali siano i fatti e quali lo storytelling, è infantile.

Per molti, lo storytelling è ancora una componente negativa “è tutto uno storytelling!”, si sente dire in giro. Anche la Grecia classica, quella di Pericle, era una realtà in cui lo storytelling era una parte davvero molto importante. Questa gente a scuola studia i Greci come modello di cultura e poi, quando si parla di Eataly, è tutto storytelling.

 

Come è cambiato il modo di raccontare con la rivoluzione digitale?

Come dicevo durante il mio intervento, una volta ci si doveva accontentare di costruire monumenti, avere poeti che cantassero le gesta e coniare monete. Il digitale ci ha dato innumerevoli canali e una fluidità tale che però non sappiamo assolutamente gestire per adesso. Ci sono quelli più bravi, come ad esempio quelli di Obama, ma siamo molto lontani dalla perfezione.

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