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12 ottobre 2017 

 

Il Gruppo di Ur

di Luca Negri

 

Un sodalizio magico nella Roma degli anni Venti, sorto con l'intento d'influenzare e condizionare il fascismo: movimento che da slogan e cartapesta sarebbe dovuto divenire romano e pagano. 

 

Si favoleggiava, poco tempo fa in questa sede, di un Bolscevismo alternativo, perché cosmista. Ovvero più religioso e magico, come lo volevano Aleksandr Bogdanov e i costruttori di Dio. L’esistenza del Cosmismo permette infatti immaginazioni di un’altra Russia e di un conseguente altro Novecento. La storia (più o meno) occulta del secolo scorso offre retroscena stimolanti in quasi ogni nazione d’Europa, stimolanti appunto per esercizi di utopie o distopie. Non mancano arditi fantasiosi a casa nostra che pensano un fascismo alternativo e che lamentano l’occasione mancata. Son quasi tutti coloro che sanno del Gruppo di Ur.

 

Compie novant’anni quel sodalizio esoterico romano, nato nel 1927 e sciolto nel fatidico ‘29 ma ancor oggi vivo almeno nel rispetto degli studiosi di quella branca del sapere definita approssimativamente col termineesoterismo. Lo celebrano a Napoli il 14 ottobre in un simposio di studi ermetici presso il Palazzo delle Arti. E diciamo che fanno bene e che è ancora poco, se ben comprendiamo l’importanza per la cultura italiana degli uomini che si riunirono nell’esperimento di Ur, rivista omonima compresa.

Il nome, banalmente, era già il programma: prefisso della parola che indica l’originario, il primordiale in lingua germanica, ma prima ancora la radice sonora che esprime l’essenza del fuoco, il fuoco primigenio, città da dove parte Abramo. Si cerca una Tradizione antica, originaria, che risvegli il fuoco interiore e risponda alla domanda: che sono io? E a quella successiva che forse è la stessa: cosa devo fare, cosa voglio? Cercano queste risposte quelli di Ur nel ‘27, con idee già abbastanza chiare su teorie e pratiche, ma pronti a lavorare in gruppo, mischiarsi, condividere saperi arcani appresi da buone letture, strane esperienze, frequentazioni.

 

La missione è dunque mutare la propria natura più profonda, ricorderà Julius Evola, il loro duce, quantomeno sul piano organizzativo e redazionale. L’anima del gruppo, verrebbe da dire in senso anche esoterico, perché forse la più spregiudicata e meno dogmatica della combriccola, pronta ad imparare se c’è qualcosa di serio da insegnare. È al centro delle diverse correnti che s’incrociano e circondano, l’Evola trentenne.

Intorno ci sono quelli studiano e praticano l’antroposofia di Rudolf Steiner, forse un po’ troppo all’italiana nel parere di correligionari svizzeri e tedeschi. Ci sono i pitagorici che tentano di riportare la Massoneriaall’antica saggezza italica di Dante, Virgilio e appunto del Saggio di Samo. Altri di quella tendenza ma con altro spirito, meno ossessionato dalla romanità e più isiaci, sono i seguaci di Kremmerz, il Mago di Portici, anche lui istruito da originaria sapienza italica. Come lo fu Platone, nel meraviglioso romanzo di Vincenzo Cuoco, si ripetono tutti i pitagorici. E poi ci sono cattolici un poco eretici perché di vastissime vedute, illuminati dai Veda degli antichi indoeuropei oltre che dalla Bibbia.

Una cosa hanno in comune questi personaggi: sono tutti, bene o male, dei maghi. Per loro la Magia è scienza dell’Io, esperimento per trovare il centro, il Sé e poi l’Essere. Chi ci medita, chi si mette in posizioni yoga, chi recita antichi scongiuri, chi traccia pentagrammi in aria, chi si figura il sole a mezzanotte, chi fa tutto ciò ed altro. Gli antroposofi sono Giovanni Colazza, Giovanni Colonna di Cesarò e Arturo Onofri. Il primo è un medico, cura aristocratici ma anche borgatari gratis, lo ha istruito Rudolf Steiner in persona. Lo immaginiamo dotato di un certo carisma, se ci figuriamo Evola che prende appunti quando Colazza parla e poi ne ricava gli articoli della rivista firmati Leo (solo pseudonimi su quelle pagine, impersonalità attiva, nome d’anagrafe cancellato).

Il dottore non scrive, parla, dà consigli tecnici, forgia aforismi, invita a un sentire cosmico e spiega come arrivarci partendo da quel che si ha: il corpo, il cervello. Evola mette in bella copia, mai apprezzerà pienamente le comunicazioni di Steiner ma sempre avrà rispetto per Colazza. Anche gli altri antroposofi sono soggetti preparati: Onofri è il miglior poeta metafisico d’Italia, forse d’Europa. Eugenio Montale è un appassionato di quest’unico e vero cantore ermetico che sta per morire e da tempo sembra già in altro mondo, migliore di questo, pieno d’angeli e luci. Uomo più pratico è Colonna di Cesarò: ministro di Poste e Telegrafi nel primo governo Mussolini, del vecchio Partito Radicale, di sinistra non marxista, ha rotto presto coi fascisti e ha guidato con Amendola l’Aventino. Addirittura è sospettato ed indagato per l’attentato al Duce dell’aprile ‘26, poiché la Violet Gibson che ha sparato frequentava i giri di steineriani a Roma e forse è stata ipnotizzata dal mago Colonna di Cesarò. Non si saprà mai. E mentre lo spiano riesce a scrivere un saggio sul mistero delle origini di Roma, un commento al Vangelo di Luca, articoli per la rivista e perfino traduce Lo spirituale nell’arte di Kandinsky.

I massoni pitagorici sono Arturo Reghini e Giulio Parise. Il primo in particolare ha molto da insegnare e già tanto si è dato da fare, non solo fondando riviste. Fiorentino attaccabrighe ha subito trovato alleati in Papini e Prezzolini e ha scritto su Leonardo. È stato interventista, protagonista dell’assalto a Montecitorio nel Maggio Radioso. In lui vivono l’agitatore mazziniano, il senatore antico romano e il professore di matematica. Da buon pitagorico, ci sa fare coi numeri, coi simboli in generale e conosce come si esce dal corpo fisico, per entrare in quello vero. Lui ha lanciato la formula magica Imperialismo Pagano, in un certo senso il programma politico del gruppo. Evola la farà sua con un libro omonimo che avrà come uniche conseguenze l’uscita di Reghini e Parise da Ur (la rivista nel ‘29 si chiamerà Krur) e un processo non molto dignitoso per due maghi di quella portata.

Il campione kremmerziano è Ercole Quadrelli, membro del Circolo Virgiliano di Roma. Dulcis in fundo i cattolici: il poeta Girolamo Comi che però non tralascia pratiche antroposofiche e Guido de Giorgio, uno che ha vissuto fra i Sufi in Nord Africa e frequentato René Guénon, una specie  di iniziato allo stato selvaggio e caotico lo definisce Evola nell’autobiografia Il Cammino del Cinabro. Interventi più sporadici fecero Aniceto Del Massa, futuro amico di Ezra Pound e curatore della pagina culturale del missino Secolo d’Italia, il pioniere della psicanalisi italiana Emilio Servadio, lo scalatore Domenico Rudatis e il poetaNicola Moscardelli.

È incoraggiante pensare che mentre il mondo era sulla soglia della crisi economica e del secondo atto ancor più disastroso della guerra mondiale c’erano a Roma quelli di Ur. Che traducevano e commentavano brani buddhisti, rituali mithraici, codici alchemici, versi aurei di Pitagora. E raccontavano le loro esperienze rare, fuori dal corpo o con corpi altri. Rituali solitari ma anche istruzioni per cose di gruppo, le catene magiche. Ed è ovvio, Evola lo ammette, che quei rituali potenziati dall’energia del gruppo avevano scopi ambiziosi di trasformare l’ambiente intorno.

E siamo giunti al punto, alla svolta della storia alternativa, perché quelli di Ur volevano influenzare il fascismo, dare a quel caos politico una forma romana e pagana, ghibellina. Possibilmente una platonicarepubblica di saggi. Il mistero è suggerito nell’articolo La Grande Orma pubblicato alla fine dell’esperienza: si parla di rituali per risvegliare forze della stirpe, fasci littori d’antichità etrusca e vestali che augurarono il Consolato a Mussolini alle origini del suo movimento. L’uomo della Provvidenza, però, non ha dato retta a quei maghi, è andato col Vaticano, ha fatto il Concordato. Krur non si pubblica più, Reghini si è ritirato dietro la cattedra in una scuola del nord, Evola comincia la lotta serrata contro il mondo moderno, gli antroposofi vanno per la loro strada nei meandri del Regime. L’ultimo a portare avanti la missione pareGuido de Giorgio che nel 1940 recapita a Mussolini l’opera La Tradizione di Roma e poi se ne va a vivere come un eremita sui monti del Piemonte. Probabilmente sa che il Duce non darà retta né a lui, né a Dante. La romanità riesumata dal fascismo è di cartapesta, tutta slogan e niente spirito, pronta a farsi fagocitare dalla bestia bionda teutonica. Altro che risorte virtù romane.

E dunque, per chiudere la fantasticheria, avrebbe funzionato un fascismo pagano, non conciliato col Vaticano, dunque sacrale ma non per forza cristiano? C’è da dubitarne, in un paese cresciuto con duemila anni di cattolicesimo, lascito dell’Urbe inestirpabile e ben più radicato nei compatrioti, finanche atei, di ogni rituale gentilizio al sommo Giove. Lo Steiner così caro a Colazza, Onofri e Colonna di Cesarò aveva avvertito che nella nostra epoca l’eredità politica dell’Impero Romano si manifesta in forma nefasta tra i gesuiti e le aristocrazie anglosassoni pronte a devastare di guerre l’Europa per poi pacificare, dividere e imperare.

 

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