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venerdì 27 febbraio 2015

 

Il mistero

di Lara Pavanetto

Considerazioni a margine del mio libro "Streghe o vittime?"

 

Di tutti i gruppi sociali che formavano le società del passato, i bambini, sono quello più misterioso. Raramente si vedono nei documenti, mai si sentono. Un misterioso silenzio circonda la moltitudine dei neonati, bambini e adolescenti che pure hanno vissuto. I resti fossili dei popoli antichi e medievali appartengono quasi totalmente ad adulti, i bambini sembrano non aver lasciato traccia alcuna. E’ difficile sapere qualcosa sulla vita dei bambini, ancora più difficile è conoscerne qualcosa riguardo la morte. Ma spesso morte e vita erano due facce della stessa medaglia, intimamente legate, soprattutto la morte dei bambini, fino ad oggi, è e rimane, un tabù che nasconde molto. Anticamente la pratica dell’abbandono era assai frequente, e spesso finiva per significare la morte del bambino, tuttavia questa naturale prospettiva non è mai citata né dalle fonti letterarie né da quelle storiche. E soltanto una volta, nel corpus di testi giuridici che si occupano dell’abbandono, si allude alla morte degli esposti. Nelle fonti letterarie questi bambini non muoiono mai, nessuno storico cita la morte di esposti e mostra preoccupazione per la loro salvezza. Nessuna fonte menziona cadaverini da seppellire. Soltanto i moralisti e gli oratori sollevano qualche dubbio sulla loro fine.

 

Nella Bibbia cristiana, il sacrificio dei bambini agli dèi in generale o a Moloch e a Baal è proibito, condannato o menzionato con disprezzo in molti passi, ma non si capisce bene se questo sacrificio comportava l’uccisione del bambino. Moloch in 1 Re 11,7 è associato con un dio pagano che chiede il sacrificio di bambini, come in Geremia 32,35 3 e forse nel Levitico 18,21 e 20,2-5. Nelle sacre scritture si parla anche di sacrifici di bambini con il fuoco, nel libro dei Re 2 [4] 23,10. Il profeta Geremia (19,5) condanna il sacrificio di bambini con il fuoco al dio Baal. I bambini erano un dono prezioso per gli déi, non abbastanza per i genitori evidentemente. I Gentili sono condannati per tale pratica, agli Ebrei è interdetta. Il re Moab sacrifica il primogenito sulle mura della città come segno di lutto in 2 [4] Re (3,27), e in Giudici (11, 30-40) Iefte uccide la sua unica figlia per adempiere un voto fatto al Signore. Sarà poi dio stesso a richiedere ad Abramo (Genesi 22), il sacrificio estremo del figlio, e Abramo è pronto a farlo, sarà solo dio a fermarlo.

Ma, nelle sacre scritture, si parla anche di genitori che mangiano i loro figli, un topos non isolato, che ricorre anche nella letteratura antica. Abbiamo il tentativo del Faraone di uccidere tutti i figli maschi degli Ebrei in Esodo 1,22.  Poi si aggiungono alcuni passi davvero eloquenti che parlano di forme di infanticidio più generali, nel libro dei Re 2 [4] 8,12 «Sfracellerai i loro lattanti e squarcerai le loro donne incinte». Nei Salmi 137,9: «Beato chi prenderà i tuoi pargoli e li sbatterà contro la pietra».

Filone, filosofo ebreo di lingua greca, vissuto ad Alessandria nel primo secolo, poneva sullo stesso piano l’infanticidio e l’abbandono, descrivendo anche i metodi abitualmente usati per sopprimere un bambino: soffocamento o annegamento.

In epoca medievale sia gli eretici che gli stranieri sono accusati nelle fonti contemporanee di rapire, uccidere, violentare e addirittura mangiare i bambini: Anna Comnena affermava che i Normanni erano soliti arrostire i bambini sugli spiedi.

 

La somiglianza

 In diverse parti della Grecia, in epoca micenea o minoica, e in epoche ancora posteriori, in Egina, Attica, Argolide, Melos e Creta, si usava seppellire i morti in casa, in vasi di terracotta interrati nel pavimento. Sembra che specialmente i fanciulli fossero interrati nel pavimento. Forse per tenere gli amati resti più vicini a sé, o forse sperando che l’anima si reincarnasse ancora. In alcune parti dell’India tale pratica riguardava soprattutto i bambini nati morti, che erano seppelliti, sotto la soglia di casa, sperando appunto che il fanciullo rinascesse in famiglia, nuovamente. Tutte queste usanze, nascono proprio dalla credenza che i morti rinascano nei fanciulli: i Taolnla, indiani, quando nasce un bambino cercano di accertare quale dei loro antenati ha fatto ritorno. Così, appena nasce un bambino, subito ci si affanna nel cercare qualche somiglianza: la mamma, il papà, lo zio, i nonni, i bisnonni. L’idea è che il bambino venga da un al di là sconosciuto e misterioso, e sia dunque portatore di qualcosa di antico e sconosciuto che in lui si rivela.

 

I morti bambini aiutano: nella caccia, nella guerra.

Quando il bambino nasce morto, la sua non presenza è ancora più misteriosa: gli Inuit credono che le anime dei bambini, specie di quelli nati morti, possano rendere grandi servigi ai cacciatori, sempre in pericolo di morte loro stessi. Per assicurarsi il loro aiuto spirituale gli Inuit non esitavano ad uccidere un bambino. Ma il delitto doveva rimanere segreto, facendo in modo di nascondere la vittima perché nessuno sapesse dell’infanticidio. Così, dopo aver messo al sicuro il cadaverino, lo si faceva seccare per poi metterlo in un sacchetto che il cacciatore portava con sé quando andava in mare con la sua canoa. Lo spirito del fanciullo, avendo la vista molto acuta, la vista dei morti, lo avrebbe aiutato a trovare la preda e dirigere la sua lancia per non fallire un colpo.

I morti bambini aiutano: nella caccia, nella guerra.

I Batak dell’isola di Sumatra hanno bisogno proprio degli spiriti dei fanciulli, perché li precedano nei combattimenti, spianando loro la strada dagli spiriti del nemico. Gli spiriti dei fanciulli sono i più potenti, se qualche fanciullo prima di morire avesse giurato solennemente di aiutarli in guerra, la sua anima sarebbe stata un potentissimo alleato contro il nemico. Allora si procuravano con l’acquisto o con la violenza un ragazzo dai dodici ai quindici anni, lo conducevano in un luogo distante dal villaggio, nella foresta, come gli orchi delle nostre fiabe, e là, nella foresta, lo seppellivano in piedi, con le mani lungo i fianchi lasciando fuori solamente la testa. Per quattro giorni lo nutrivano solo con riso condito con pepe e sale, per aumentarne la sete, mentre, gli chiedevano continuamente se voleva benedirli e aiutarli in guerra. Il quarto giorno gli uomini più importanti del villaggio si radunavano attorno a lui e cercavano di estorcergli la promessa di benedizione e aiuto. Un uomo dietro di lui era occupato a sciogliere del piombo, appena la vittima cedeva, promettendo che il suo spirito e la sua anima li avrebbe protetti, l’uomo che gli stava alle spalle gli rovesciava la testa all’indietro e gli versava il piombo fuso in bocca. Così il fanciullo non poteva più rimangiarsi la promessa fatta. In seguito ad una morte così tremenda, lo spirito del fanciullo diventava un demone maligno, che essendo legato alla promessa di non nuocere ai suoi assassini, avrebbe riversato la sua vendetta soltanto sul nemico. E perché la vedetta fosse ancora più efficace, estraevano dal corpo del fanciullo delle parti del cervello, di cuore e di fegato e con questi macabri ingredienti preparavano un unguento che poi introducevano in una bacchetta magica che era portata in battaglia alla testa delle truppe: così l’anima del fanciullo morto marciava alla loro testa contro il nemico.

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