Fonte: Marcello Veneziani

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01/11/2017

 

La sorpresa della morte

di Marcello Veneziani

 

Dopo la notte di Halloween, vorrei lanciare un promemoria diverso sul rapporto con la morte che non c’entra nulla col cazzeggio mortuario di zucche e scherzetti.

Parto da un’esperienza frequente e rimossa. Verranno a prelevarti i tuoi cari quando sarà l’ora di morire.

Quando la vita sta per abbandonarci, il più caro tra i nostri cari scomparsi viene a prenderci per il passaggio all’altra riva, come succedeva da bambini quando uscivamo da scuola.

Ci aspetta sulla soglia, nella grande luce, invitante nello sguardo, a volte tende la mano e il morente lo chiama stupito ad alta voce, desidera aderire all’invito, qualcosa lo trattiene al di qua della soglia, fino a che si libera e procede nell’azzurro verso il suo accompagnatore definitivo.

Tanti lo raccontano, attraverso l’esperienza indiretta dei loro cari, e varie testimonianze lo confermano, ma raramente questa strana incursione finale viene affrontata.

Il pudore che avevamo sul sesso si è trasferito sulla morte, abbiamo vergogna di svelare le esperienze del dolore; abbiamo vergogna della morte. E temiamo di passare per superstiziosi primitivi, in cerca di consolazioni puerili; piccole stregonerie kitsch che non si addicono alla ragione civile e moderna.

Eppure è un pensiero dolce e assai confortante che promette un ritorno, un riunirsi nella luce.

La solitudine del morente è solo apparente e riguarda il mondo dei viventi. Le rare esperienze di passaggio a cui ho assistito e le altre che mi sono state riferite confermano questo percorso: quando il morente è alla fine, la persona più cara che ha perso – solitamente il padre, la madre, il/la consorte – gli riappare e lo conduce oltre.

Anche persone che ignoravano la ricorrenza di questa visione finale la riferiscono puntualmente ma spesso con disattenzione, come un marginale dettaglio. E invece quella testimonianza è decisiva, dice una cosa straordinaria: non si muore soli, al buio, nella cecità estrema della vita, ma si va via in compagnia verso una fonte di luce.

Quell’esperienza elementare, così diffusa e così verace perché non si ha voglia di fingere in punto di morte, racconta il destino della nostra vita più delle teorie mediche o psicofisiche.

La spiegazione scientifica di quella visione è che il pathos delirante dell’agonia porta all’allucinazione; la concentrazione sulla vita che se ne va evoca il trauma di quando morì la persona più cara e risveglia il suo ricordo in uno stato di semi-lucidità che ha le sembianze della veggenza.

Ma è una spiegazione che nulla spiega, o comunque spiega in modo insufficiente i moti dell’anima, le visioni della mente e la meticolosa ricorrenza di questi incontri finali. Rivela la curvatura del tempo, ovvero la riemersione del passato insieme al futuro.

Il tempo si curva e ciò che fu, ritorna; la sequenza lineare del tempo profano si sfalda nella pienezza assoluta di un istante cruciale, ove tutto è presente e arde d’addio. Al morente è data in extremis questa veggenza profetica della vita e questa visione sferica e psichica del tempo, preludio di uno stato ultraterreno; il tempo svanisce al momento del congedo.

La morte trasforma, trasloca, non annienta.

Chi è scomparso non è inghiottito nel nulla e nel buco senza fondo del tempo passato ma vive come un’idea; è presente alla vita dei suoi cari ed è vicino nei loro passaggi cruciali.

Qualcosa sopravvive alla vita, non solo il fumo e la cenere dopo il fuoco; chi ama porta dentro di sé la presenza dell’amato. L’amore è il suo respiro, amare è come dire tu vivi anche se non sei più qui, nel corpo e sulla terra.

La trasmissione di padre in figlio, che è poi il seme della tradizione, non è un’ideologia o un’illusione, ma è un evento reale e simbolico al tempo stesso, naturale e soprannaturale. C’è un passaggio di consegne, una catena che si rinnova, un procedere mano nella mano oltre la vita e tramite il corso delle generazioni.

L’amore non è un modo di dire che accompagna alcuni momenti della vita, ma è il filo conduttore tenace e sommerso che guida la vita e ne evita la dispersione. Dovremmo invertire i saluti, e dirci non addio ma arrivederci quando ci allontaniamo definitivamente in punto di morte.

Di più non sappiamo dire; però davanti alla disperata euforia dei nostri giorni, dove l’essere sparisce nel nulla e si gode la vita al consumo, una strana allegria ti prende nel sapere che la morte restituisce i remoti attraverso l’amore.

Come l’estate di san Martino, c’è pure l’estrema allegria della morte. La morte non separa ma ricongiunge.

 

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