Original in english below 

Fonte: Asia Times

http://znetitaly.altervista.org/

26 dicembre 2017

 

Rileggere sartre

di Pepe Escobar  

traduzione di Giuseppe Volpe

 

Scettico sulla ragione e pessimista sulla capacità degli esseri umani di essere altro che stupidi e crudeli, la sua capacità di pensare "contro se stesso" e la sua intelligenza morale illuminano ancora i nostri tempi.

 

Mentre la scacchiera geopolitica continua a essere battuta da venti avversi, un occidente esausto sguazza nella palude dei propri fallimenti e il pianeta affronta una montante crisi esistenziale, potremmo far di peggio che fermarci a riflettere su come una delle grandi menti di una generazione precedente potrebbe aiutarci a dare un senso a questi tempi problematici.

 

Jean-Paul Sartre è stato uno degli ultimi eminenti giganti di un panteon rinascimentale interessato all’intero spettro dell’esistenza umana. Menti acute e indipendenti hanno sempre apprezzato l’aura sartriana che permea la cultura occidentale (o almeno quelle parti di essa non fossilizzata dall’accademia).

 

Sartre, attraverso la sua filosofia della “protesta”, è stato indiscutibilmente la voce morale e l’intelligenza preminente della seconda metà del ventesimo secolo, con la “protesta” che ha il significato di cui è stata pervasa da Martin Lutero. Così come nel caso di Lutero, l’esistenzialismo di Sartre ha una formula fulminante: “L’esistenza precede l’essenza”. Prima di “essere”, l’Uomo esiste. In altri termini nessun Dio lo ha concepito; ergo non esiste alcun Dio. E se non c’è alcun Dio l’Uomo è condannato a essere libero. Dunque non esiste alcun bene o male intrinseco. ‘La nausea’ – un romanzo capace di cambiarti la vita se lo leggi da adolescente – è parecchio diretto, lungi dalla filosofia astrusa. I valori e la società intellettuale borghese europea esplosero irrevocabilmente tra il 1014 e il 1919. Il nazifascismo fu una sorta di reincarnazione alla Frankenstein di questi concetti. L’alternativa era lo stalinismo, la morte dell’anima.

 

‘La nausea’ ha rappresentato la convinzione che l’Uomo deve costruire sé stesso e creare la propria esistenza. Sartre – un famoso procrastinatore – non finì il suo capolavoro, ‘Essere e nulla’. E un promesso volume sull’etica non si concretizzò mai. L’etica avrebbe conferito un valore aggiunto alla sua nuova filosofia. Ma a parte l’essere un procrastinatore, egli era un nevrotico. La tetralogia di Sartre, ‘Vie di fuga’, in realtà è costituita da solo tre [straordinari] romanzi. La sua analisi freudiana di Flaubert manca analogamente del volume finale.

 

Sartre non poté mai abbandonare la sua passione creativa, pure essendo allo stesso tempo del tutto consapevole che quella passione era irrilevante di fronte al nostro mondo in frammentazione, in rapido degrado. Di qui la sua passione – non contraccambiata – per la classe lavoratrice o, meglio ancora (da francese egli era più in sintonia con Saint-Just che con Marx) per i malheureux, i dannati che costituiscono il sale della terra.

 

Sartre, come ogni intellettuale progressista del ventesimo secolo, dovette affrontare la più tragica delle domande: poteva il potere liberatorio dell’analisi di Marx essere resuscitato in mezzo all’orrore sovietico? In quei giorni della guerra fredda l’alternativa era un mondo trasformato in una grande Singapore. O peggio (per anime romantiche come Sartre) nel tedio omogeneizzato della socialdemocrazia, così comodo perché le parti dell’occidente che lo adottavano sfruttavano interamente quello che Arnold Toynbee descrisse come il “proletariato esterno”, cioè le nazioni del Terzo Mondo.

 

Così Sartre preferì non parlare alle classi lavoratrici francesi dei campi di concentramento stalinisti. Non voleva infrangere le speranze di quei lavoratori.  Camus può essere rimasto inorridito da quello che succedeva nell’Unione Sovietica, ma Camus in ogni caso aveva una tendenza a essere scandalizzato selettivamente, ritenendo non ci fossero differenze tra il terrorismo degli oppressi e il terrorismo degli oppressori (specialmente in relazione all’Algeria).

 

Per inciso Sartre vinse la disputa intellettuale contro Camus. Alla borghesia, come egli indicò, era sempre consentito di mentire a volontà, alimentando le masse di “intrattenimento” (come soleva dire Marcuse) per mantenerle in eterna schiavitù.

 

Pensando contro sé stesso

Sartre, come Walt Whitman, conteneva moltitudini in sé stesso. Egli considerava l’Uomo come un continuo lavoro in corso che crea costantemente sé stesso attraverso l’azione. Questa è la condizione umana: “Io sono la mia libertà”. Dunque inevitabilmente egli dovette continuare sempre a pensare “contro sé stesso”.

 

Egli era enormemente leale con gli amici intimi che ammirava, come l’apollineo Merleau-Ponty e il grande scrittore Paul Nizan. Paul Nizan fu ucciso a soli trentacinque anni, all’inizio della seconda guerra mondiale, doppiamente angosciato per il ginepraio francese e per la coltellata al cuore del patto Hitler-Stalin. Quegli eventi sono alla base della conversione di Sartre al marxismo e della sua turbolenta coesistenza con il comunismo.

Lo sguardo intellettuale di Sartre seguiva in un certo senso la massima surrealista secondo la quale le nostre teste sono rotonde per consentire al pensiero di cambiare direzione. Sartre può aver collaborato con il Partito Comunista francese nel denunciare la guerra di Corea, mentre alcune fazioni di Washington avevano il prurito di passare al nucleare. Ma al tempo stesso egli scrisse l’analisi più devastante della corruzione del marxismo nel suo libro ‘Il fantasma di Stalin’ dopo l’invasione sovietica dell’Ungheria.

 

Fu benedetto oltre ogni immaginazione dal condividere la sua vita – e la sua passione intellettuale – con una donna straordinaria. Immaginate Simone de Beauvoir nella Francia occupata, che si reca ogni pomeriggio alla biblioteca della Sorbona a leggere attentamente la ‘Fenomenologia dello spirito’ di Hegel mischiata con un po’ di Kierkegaard ed emergere con due fonti che avrebbero soffuso la sua scrittura e anche l’esistenzialismo: Kierkegaard come un’icona della libertà e Hegel con sua serena visione della storia che si evolve su una tela epica.

 

La De Beauvoir non sapeva allora se Sartre fosse vivo. Era stato incarcerato nel campo per prigionieri di guerra Stalag 12D in Renania, a leggere Heidegger e a progettare un “trattato” che sarebbe diventato ‘Essere e nulla’. Alla fine ottenne la libertà grazie alla sua miopia. Il resto è, beh, storia.

 

Nell’ultimo tratto della sua vita Sartre parve aver perso ogni fede nelle soluzioni politiche. La sua ultima grande passione fu per l’anarchia creativa del 1968, il cui mezzo secolo sarà festeggiato l’anno prossimo. All’epoca egli osservò: “Se uno rilegge tutti i miei libri si renderà conto che non sono cambiato profondamente e che sono sempre rimasto un anarchico”.

 

E’ il 20 maggio 1968. Immaginate Sartre che parla ad almeno 7.000 studenti che occupano il magnifico auditorio pieno di statue della Sorbona (“c’erano studenti seduti tra le braccia di Descartes e altri sulle spalle di Richelieu”, scrisse memorabilmente Simone de Beauvoir). Sartre, sessantatreenne a quel punto, parla ai suoi virtuali nipoti, dando senso alla storia, collegandoli alla sua stessa generazione di studenti arrabbiati dei tardi anni ’20 e giù lungo una dinastia di ribelli filosofici al servizio di una causa, da Nietzsche a Kierkegaard.

 

E tuttavia cercare le origini dell’esistenzialismo di Sartre in Husserl, Heidegger e persino Kierkegaard è fuori luogo. E’ una creazione assolutamente originale dettata dal contesto specifico della decadenza della società europea, dell’imperialismo e del colonialismo (mi sono sempre chiesto se Sartre avesse letto Conrad, da ‘Cuore di tenebra’ e ‘Nostromo’).

Era più Rousseau che Voltaire. E per quanto riguardava l’Asia non è vero che Sartre divenne maoista. Egli considerò sempre il maoismo – la versione di Godard, immortalata in film come ‘La cinese’ – come molto stupido. Ma difese intellettuali maoisti e accettò un invito a essere il direttore (di facciata) del loro giornale, per proteggerli dalla repressione. Ecco Sartre in due parole: ogni volta che c’era oppressione egli era schierato con gli oppressi.

 

Il termometro dei Tempi Moderni

Sartre, prossimo alla morte nel 1980, era isolato (“viviamo come sogniamo, soli”, ha scritto Conrad) brillantemente arringando la crudeltà e la stupidità degli esseri umani, ma sempre pronto ad aiutarli contro l’oppressione. In miniatura, questo è il meglio cui tutti dovremmo mirare se decidiamo di vivere un’esistenza decente.

 

La sua opera è un tale alito d’aria fresca da rileggere oggi: Sartre come Sofocle che manifesta la sua furia contro le potenze imperiali mentre esplora l’agonia del Biafra; il sereno e malinconico Sartre che disseziona ciò che è stato fatto dei sogni di Lenin e di Trotzky in ‘Il fantasma di Stalin’; o la straordinaria premessa da lui scritta per l’immensamente influente libro di Frantz Fanon ‘I dannati della terra’, nella quale sottolinea l’idea che una rivoluzione antimperialista deve essere violenta perché aiuta i colonizzati a scuotersi di dosso la paralisi dell’oppressione.

 

Simone de Beauvoir fu totalmente sedotta dagli Stati Uniti quando vi si recò la prima volta alla fine degli anni ’40: “Abbondanza e orizzonti infiniti; era una folle lanterna magica di immagini leggendarie”. E tuttavia, insieme con Sartre e Camus, ella fu anche orripilata dalla disuguaglianza razziale del paese. Sartre in seguito scrisse degli “intoccabili” e “invisibili” neri che battevano le strade senza mai guardarvi negli occhi.

 

I figli di questo millennio possono non sapere che un tempo non leggere Les Temps Modernes, la rivista di Sartre, significava di fatto essere tagliati fuori dal pensiero progressista occidentale. Intere generazioni di intellettuali del Sud globale, favolosi avanguardisti del cinema degli anni ’60 e ’70 e una marea di intellettuali di sinistra emergenti dall’anestesia dello stalinismo furono tutti influenzati dagli insegnamenti della rivista di Sartre.

 

La ‘Critica della ragione dialettica’ rimane un doloroso tour de force e anche con suoi molti difetti (dei quali la sua ambizione è un’attenuante) è un testo che deve essere letto da tutti noi che ancora (ingenuamente) crediamo – contro ogni evidenza offerta dalla geopolitica – che la ragione possa essere una forza per il bene nel mondo.

 

Sartre e Bertrand Russell non andarono molto d’accordo. E tuttavia l’iper-razionalista Russell scese in strada e divenne un agitatore popolare mentre Sartre vendeva giornali in strada affermando il diritto intellettuale alla libera espressione. Il loro esempio rimane.

Dunque, caro lettore, dal mio tavolo al “suo” Café de Flore, oggi inondato da turisti asiatici in cerca di un autoscatto esistenziale, un brindisi all’ultimo umanista, all’ultimo uomo rinascimentale di un’era passata. La sua generosità e la sua saggezza continuano a brillare più che mai nella nostra era di Uomini Vuoti.

 


Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/re-reading-sartre/

 


http://www.atimes.com/

december 23, 2017

 

In an age of Hollow Men and existential angst, re-read Sartre

By Pepe Escobar

 

Skeptical of reason and pessimistic about humans' ability to be other than stupid and cruel, his capacity to think "against himself" and his moral intelligence still illuminate our times.

 

As the geopolitical chessboard continues to be tossed around by ill winds, an exhausted West wallows in the mire of its own failings, and the planet faces a mounting existential crisis, we might do worse than to pause and reflect on how one of the great minds of a previous generation might help us make sense of these times of trouble.

Jean-Paul Sartre was one of the last towering giants of a Renaissance pantheon concerned with the whole spectrum of human existence. Sharp, independent minds have always enjoyed the Sartrean glow that permeates Western culture (or at least those particles of it not fossilized by academia).

 

Sartre, via his “protest” philosophy, was indisputably the preeminent moral voice and intelligence of the second half of the 20th century, with “protest” carrying the meaning it was imbued with by Martin Luther. And as with Luther, Sartre’s existentialism has a fulminating formula:

“Existence precedes essence.” Before “being,” Man exists. In other words, no God conceived him; ergo, there’s no God. And if there’s no God, Man is condemned to be free. So there is no intrinsic good or evil.

 

Nausea – a novel capable of changing your life when you read it as a teenager – is pretty straightforward, far from abstruse philosophy. European intellectual bourgeois values and society irrevocably exploded between 1914-1919. Nazism-fascism was a sort of Frankenstein reincarnation of these concepts. The alternative was Stalinism, the death of the soul.

 

Nausea represented the conviction that Man must build himself and create his own existence. Sartre – a notorious procrastinator – did not finish his masterpiece, Being and Nothingness. And a promised volume on ethics never materialized. Ethics would have conferred added value to his new philosophy. But besides being a procrastinator he was a neurotic. Sartre’s tetralogy, Roads of Freedom, actually features only three (extraordinary) novels. His Freudian analysis of Flaubert similarly lacks its final volume.

 

Sharp, independent minds have always enjoyed the Sartrean glow that permeates Western culture (or at least those particles of it not fossilized by academia)

 

Sartre could never relinquish his creative passion, while being at the same time fully aware that this passion was irrelevant in the face of our fast-degrading, fragmenting world. Hence his – non-reciprocated – passion for the working classes, or better yet (as a Frenchman, he was more in tune with Saint-Just than with Marx) for the malheureux, the wretched who constitute the salt of the earth.

 

Sartre, like every progressive intellectual in the 20th century, had to face the direst of questions: could the liberating power of Marx’s analysis be resurrected amid the Soviet horror? In those Cold War days, the alternative was a world turned into one big Singapore. Or worse (for romantic souls like Sartre), the homogenized tedium of social democracy, so convenient because the parts of the West which adopted it fully exploited what Arnold Toynbee described as the “external proletariat,” i.e. Third World nations.

 

So Sartre preferred not to tell the French working classes about Stalinist camps. He didn’t wish to dash those workers’ hopes. Camus may have been appalled by what was happening in the Soviet Union, but Camus in any case had a tendency to be selectively scandalized, believing there to be no difference between the terrorism of the oppressed and the terrorism of oppressors (especially in relation to Algeria).

 

By the way, Sartre won the intellectual argument against Camus. The bourgeoisie, as he pointed out, was always allowed to lie at will, feeding “entertainment” (as Marcuse used to say) to the masses to keep them in eternal servitude.

 

Thinking against himself

Sartre, like Walt Whitman, contained multitudes within himself. He saw Man as always a work in progress, creating himself constantly through action. This is the human condition: “I am my own freedom”. So, inevitably he had to always keep thinking “against himself.”

 

He was tremendously loyal to close friends he admired, like the Apollonian Merleau-Ponty and the great writer Paul Nizan. Nizan was killed at only 35, at the start of WWII, doubly anguished by France’s plight and the stab to the heart of the Hitler-Stalin pact. These events are at the root of Sartre’s conversion to Marxism and his turbulent coexistence with communism.

 

Sartre’s intellectual gaze in a sense followed the surrealist maxim according to which our heads are round in order to allow thought to change direction. Sartre may have collaborated with the French Communist Party in denouncing the Korean War – as some Washington factions itched to go nuclear. But at the same time, he wrote the most devastating analysis of the corruptions of Marxism in his book The Ghost of Stalin, after the Soviet invasion of Hungary.

 

He was blessed beyond belief to share his life – and intellectual passion – with an extraordinary woman. Picture Simone de Beauvoir in Occupied France, walking every afternoon to the library of the Sorbonne to pore over Hegel’s Phenomenology of Spirit, mixed in with some Kierkegaard, and emerge with two sources that would suffuse both her own writing and existentialism as well: Kierkegaard as an icon of freedom; Hegel with his serene vision of history playing out on an epic canvas.

CREATOR: gd-jpeg v1.0 (using IJG JPEG v62), quality = 82 Simone de Beauvoir, pictured on December 13, 1970. Photo: AFP / Jean Meunier

 

De Beauvoir did not know if Sartre was alive then. He was, jailed in POW camp Stalag 12D, in the Rhineland, reading Heidegger and plotting a “treatise” that would become Being and Nothingness. He finally gained his freedom on account of his poor eyesight. The rest is, well, history.

 

In the last stretch of his life, Sartre seemed to have lost any belief in political solutions. His last great passion was for the creative anarchy of 1968, the half-centenary of which will be celebrated in the coming year. At the time, he remarked: “If one rereads all my books, one will realize that I have not changed profoundly, and that I have always remained an anarchist.”

 

It’s May 20, 1968. Picture Sartre speaking to at least 7,000 students occupying the Sorbonne’s magnificent, statue-filled auditorium (“there were students sitting in the arms of Descartes and others on Richelieu’s shoulders,” Simone de Beauvoir memorably wrote). Sartre, almost 63 by now, is speaking to his virtual grandchildren, making sense of history, linking them to his own generation of angry students in the late 1920s and further down to a dynasty of philosophical rebels with a cause, from Nietzsche to Kierkegaard.

 

And yet to search the origins of Sartre’s existentialism in Husserl, Heidegger and even Kierkegaard is beside the point. It’s an absolutely original creation dictated by the specific context of European society’s decadence, imperialism and colonialism (I have always wondered whether Sartre had read Conrad, from Heart of Darkness to Nostromo).

 

He was more Rousseau than Voltaire. And as far as Asia was concerned, it’s not true that Sartre became a Maoist. He always regarded Maoism – the Godard version, immortalized in movies such as La Chinoise – as quite silly. But he defended Maoist intellectuals and accepted an invitation to be the (nominal) editor of their newspaper, to protect them from repression. Here’s Sartre in a nutshell: whenever there was oppression, he sided with the oppressed.

 

The thermometer of Modern Times

Sartre, near his death in 1980, was isolated (“we live as we dream, alone,” Conrad wrote), brilliantly haranguing the cruelty and stupidity of human beings, but always ready to help them against oppression. In miniature, this is the best we all should aim at if we decide to live a decent existence.

 

His work is such a breath of fresh air to re-read, today – Sartre as Sophocles displaying his fury against the imperial powers as he explores the agony of Biafra; the serene and melancholic Sartre dissecting what was made of the dreams of Lenin and Trotsky in The Ghost of Stalin; or the extraordinary foreword he wrote for Frantz Fanon’s immensely influential The Wretched of the Earth, in which he stresses the notion that an anti-imperialist revolution must be violent because it helps the colonized to shake off the paralysis of oppression.

 

Simone de Beauvoir was absolutely seduced by the US when she first visited in the late 1940s: “Abundance, and infinite horizons; it was a crazy magic lantern of legendary images”. And yet, along with Sartre and Camus, she was also horrified by the country’s racial inequality. Sartre later wrote about black “untouchables” and “unseeables” haunting the streets and never meeting your gaze.

 

Sartre, near his death in 1980, was isolated, brilliantly haranguing the cruelty and stupidity of human beings, but always ready to help them against oppression

 

Millenials may not be aware that once upon a time not to read Les Temps Modernes, Sartre’s magazine, was to be de facto cut off from progressive Western thought. Whole generations of Global South intellectuals, fabulous cinematic avant-gardists in the 1960s and 1970s, and a wave of leftist intellectuals emerging from Stalinism’s anesthesia, were all influenced by the teachings of Sartre’s magazine.

 

Critique of Dialectical Reason remains a stinging tour de force, and even with its many flaws (for which its ambition is a mitigating factor) is a must read for all of us who still (naively) believe – against all evidence offered by the intractability of geopolitics – that reason may be a force for good in the world.

 

Sartre and Bertrand Russell didn’t get along well. And yet uber- rationalist Russell hit the streets and became a popular agitator while Sartre sold newspapers in the streets affirming the intellectual right of free expression. Their example remains.

 

So, dear reader, from my table at “his” Café de Flore, now swamped by Asian tourists in search of an existential selfie, here’s to the last humanist, the last Renaissance man of a bygone era. His generosity and wisdom will keep shining more than ever in our age of Hollow Men.

 

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