Capitolo 1
Fantasia di pan di zenzero

La città di pan di zenzero 

di Jennifer Steil

Piemme, 2012

 

http://arabpress.eu/

18 gennaio 2017

 

“La città di pan di zenzero” di Jennifer Steil

di Beatrice Tauro

 

Ai nostri piedi si stendeva la fantasia di pan di zenzero che è la Città Vecchia di San’a: un agglomerato di case color biscotto, decorate con quella che ha l’aspetto di glassa bianca, circondato da mura spesse e alte. Non avevo mai visto una città così bella.

 

Queste poche righe sono sufficienti a immergerci nella misteriosa e affascinante atmosfera di questo splendido romanzo, scritto dalla giornalista americana Jennifer Steil, un’opera autobiografica nella quale racconta la propria avventura nel paese della penisola arabica dove oggi vive insieme al compagno e dove ha costruito la sua famiglia.

Nel libro la Steil narra la propria storia, quando giovane giornalista americana, viene inviata in Yemen per tenervi un corso di giornalismo. Deve restarci solo tre settimane e invece ci resterà per sempre.

Le minuziose descrizioni della città di San’a, con i suoi vicoli tortuosi che si snodano come labirinti nel centro storico, a fare da divisori agli alti palazzi color di biscotto, il dettaglio delle atmosfere misteriose e proibite della Città Vecchia, portano il lettore a immaginare a occhi aperti questo mondo vicino eppure tanto distante dalla nostra realtà di occidentali.

Una realtà che riesce a conquistare Jennifer che dapprima si scherma dietro le proprie certezze di giovane e single donna occidentale, che in qualche misura snobba le donne yemenite costrette a sottomettersi ad una cultura e a una società che non le valorizza come esseri umani. Ben presto però i muri difensivi di Jennifer cadranno e sarà proprio il contatto con queste donne, conoscendo a fondo la loro realtà, che le permetterà di stringere una rete di solidarietà femminile di cui anche lei avrà modo di usufruire.

A suo modo Jennifer condurrà una personale battaglia, partendo dall’ambiente professionale del giornale nel quale lavora, lo Yemen Observer, contribuendo a piccoli ma significativi cambiamenti soprattutto sul solco di un maggiore rispetto per le colleghe di sesso femminile. Ma i muri cadranno anche intorno al suo cuore di single, che rifiuta l’amore e che invece ne verrà conquistata per la vita.

Lo stile fluido e coinvolgente con il quale è scritto questo romanzo autobiografico ce lo fa amare, ci fa immedesimare nelle ambientazioni, ci fa battere il cuore per le atmosfere romantiche e ci fa arrabbiare per le storie di soprusi e ingiustizie che le donne yemenite sono costrette a vivere.

Ma ci insegna anche il valore della solidarietà, e di quella femminile in particolare, che riesce a declinarsi in qualsiasi latitudine e in qualsiasi contesto sociale.

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La città di pan di zenzero
di Jennifer Steil
Piemme, 2012

http://www.criticaletteraria.org/
30.8.13

"La città di pan di zenzero" di Jennifer Steil
di Mariangela Lando

Jennifer Steil è una donna americana che in questo libro racconta la propria intensa esperienza come capo redattrice al giornale Yemen Observer. Apprezzata giornalista a New York, un giorno Jennifer decide di fare un’esperienza lavorativa nuova approdando in un paese straniero, lo Yemen, tuttora complesso da un punto di vista sociale, culturale e politico. La donna è fermamente convinta di poter diffondere il proprio «vangelo giornalistico» all’interno di una cultura professionale lavorativa assai differente da quella americana.
La situazione che trova alla redazione del giornale rispecchia paradossalmente la realtà esterna: la redazione è apparentemente eterogenea, composta da uomini e donne, ma i maschi godono di una libertà d’azione assoluta rispetto alle redattrici; sono coloro che arrivano tardi al giornale, hanno una pausa pranzo che può durare alcune ore, masticano in continuazione il qat (un’erba che dà gli stessi effetti di una droga ed è legalizzata nello Yemen), privilegi incomprensibili per qualsiasi paese occidentale e che danno una resa sul piano giornalistico disastrosa: la cronaca, infatti, risulta essere assolutamente fuorviante e lontana dai reali accadimenti quotidiani. Corruzione e copiatura sembrano essere i due elementi che più infastidiscono la giornalista. Non solo.
C’è qualcos’altro, infatti, che turba inizialmente Jennifer: ben presto la giornalista si rende conto di come sia difficile l’ambientamento nello Yemen: le donne vengono importunate di continuo e la donna è costretta, per poter vivere apparentemente in modo tranquillo, a mentire sul suo status familiare: racconta infatti di essere sposata e di non aver avuto (per il momento) dei figli.
Al giornale Jennifer inizia a insegnare ai ragazzi nuove tecniche di scrittura e a spiegare esattamente quale possa essere, anche in un paese come lo Yemen, il corretto ruolo del giornalista. Non sarà un compito semplice il suo: inizialmente dovrà farsi accettare sia dalla redazione e cercare di essere compresa all’interno di una società in cui le donne girano ancora con l’hijab, il caratteristico telo che avvolge ogni donna yemenita.

Lentamente la protagonista del racconto stringe amicizie salde sia con le donne che con i colleghi, ma mantiene sempre una posizione di netta difesa soprattutto con i maschi per ottenere da loro stima e condivisione. È un obiettivo arduo: gli uomini mantengono, per lungo tempo, le loro consuetudini quotidiane e non mancano, nel corso della narrazione, momenti di sconforto, liti ed esplosioni di rabbia verso i colleghi che non bastano a cambiare le radicate tradizioni culturali di cui continuano a “usufruire”. Si tratta di resistenze molto forti che appartengono ancora ad una cultura che non vuole accettare le regole della corretta vita sociale e culturale che stanno alla base della nostra società.
A Jennifer non resta che apprezzare i piccoli, ma significativi progressi, che tutti i redattori conseguono con il trascorrere del tempo: le lezioni al giornale iniziano pian piane a essere proficue: sebbene ancora infarciti di troppi errori, gli articoli appaiono più veritieri, personali e ogni redattore si sforza di attingere a più fonti, rielaborando lo scritto. Certo, l’ultima correzione spetta ancora a Jennifer, ma la donna si sente più gratificata: iniziano ad essere trattati argomenti delicati per la cultura yemenita, come l’AIDS (seppur con l’aiuto di tabelle statistiche e un orientamento più generalizzato che locale…) e il problema dell’enorme analfabetizzazione del paese in cui le donne occupano ancora una parte troppo rilevante.
Dopo aver terminato il contratto che la lega al giornale yemenita, Jennifer torna negli Stati Uniti, ma non ne rimarrà per lungo tempo. Il desiderio di ritornare nello Yemen per portare avanti l’opera appena iniziata la spingerà a ripartire. L’obiettivo che si prefigge Jennifer è quello di preparare un capo redattore che la possa sostituire al momento del definitivo addio.
In particolare i dissapori tra la protagonista e qualcuno dei redattori verranno in qualche modo, messi da parte, durante le concitanti fasi che attraverserà il giornale a causa di un processo ai danni di un redattore, reo di aver pubblicato una vignetta umoristica sull’Islam.
In una situazione estrema, Jennifer però troverà il tempo per l’amore, tanto forte da condizionare notevolmente le sue scelte future.

Una bellissima narrazione, assolutamente coinvolgente in cui ancora una volta una donna mette a disposizione tutta se stessa per offrire la propria esperienza professionale e umana al servizio degli altri. Un racconto denso di particolari emotivi e a tratti concitati in cui la protagonista, attraverso la propria testimonianza, desidera che l’indipendenza e l’autonomia possano diventare anche in un paese come lo Yemen, qualcosa di raggiungibile. Jennifer è ben consapevole che i valori saldi che rappresentano la base del lavoro in cui lei ha sempre creduto si scontrano con la realtà tuttora esistente nello Yemen: le donne sono ancora discriminate, occupano ruoli lavorativi secondari e purtroppo vengono spesso molestate.

Jennifer Steil ha imparato ad amare questo paese perché in fondo non esiste un luogo che non abbia conosciuto momenti di tensione, di conflitto sociale e politico. Un luogo, la «Città vecchia di San’a, un agglomerato di case quadrate color biscotto, dall’aspetto di glassa bianca, circondato da mura spesse e alte» che lei chiama pan di zenzero, perché ha imparato ad apprezzarne le differenti “sfumature” umane, è diventanto per lei vero e proprio “pane di vita:” dal “profumo di canfora e dal sapore pungente”, questo luogo, che ha bisogno ancora di nuove prospettive di sviluppo e di integrazione, è ora il suo nuovo ambiente di vita.

Mariangela Lando

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