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1 marzo 2017

 

Diego Fusaro e il coraggio di Pensare altrimenti

di Matteo Fais

 

La recensione dell’ultimo libro di Diego Fusaro è anche un’occasione per fare i conti con le tante riserve preconcette che in troppi nutrono nei suoi confronti. Un’apologia di uno dei pochissimi filosofi che, riflettendo fuori dal coro del pensiero unico dominante, cercano di svegliare le masse dal sonno del dissenso

 

Sarebbe bello potersi serenamente limitare a recensire il nuovo libro di Diego Fusaro, Pensare altrimenti, Einaudi 2017. Purtroppo invece, quando si parla del giovane filosofo, si deve prima di tutto scegliere se prenderne le difese, o condannarlo senza appello. Il suo personaggio, agli occhi della maggior parte della critica, offusca la possibilità di una lettura super partes e scevra da pregiudizi. Si dovrebbe adesso discutere del concetto di dissenso, il grande protagonista, come in un romanzo, della nuova avventura intellettuale raccontata in questo straordinario pamphlet, ma non è possibile, non in prima istanza almeno. Questo in ragione del fatto che, secondo alcuni – direi i soliti noti –, Fusaro non dovrebbe avere diritto di parola. Essendo vittima di ostracismo intellettuale e di una scellerata damnatio memoriae in vita, chi ne parla ha prima di tutto il dovere di affermare a chiare lettere che a questo filosofo deve essere permesso di esprimersi liberamente. La gran massa dei lettori e dei critici militanti ha già emesso la propria condanna come in passato accadde per Pasolini, salvo poi riesumarne il pensiero post mortem. “C’è chi viene al mondo postumo”, del resto, diceva Nietzsche in L’Anticristo. È il destino, a quanto pare, di ogni figura eterodossa e scomoda.

 

Contro Fusaro si è detto oramai di tutto. La pochezza intellettuale dei suoi detrattori tuttavia è tale che raramente gli si sono viste opporre delle controargomentazioni filosoficamente pregnanti. Essendo fondamentalmente il suo pensiero una fortezza a prova di bomba, la pletora di feroci leoni da tastiera e critici al soldo del pensiero unico dominante sono passati al contrattacco avvalendosi di ogni possibile colpo basso. Ingiurie, contumelie, spiacevoli insinuazioni sul suo conto. Dalla Nappi a salire – o scendere, se preferite – la canea di questo coro inurbano è stata assordante. Si tralascerà qui di confrontarsi con certe squallide posizioni che imputano il successo del nostro al fascino e alla mediaticità. A contrapporsi con chi adora sguazzare nel fango ci si lorderebbe inevitabilmente e ciò non è auspicabile.

Uno dei pareri più diffusi sul suo conto è quello secondo cui non sarebbe un serio e credibile intellettuale perché diffonde il suo pensiero sui social e, come in questo caso, a mezzo di agili pamphlet comprensibili anche a un pubblico di cultura medioalta. Questo popolo di stolti non ha evidentemente capito che Fusaro è un pensatore marxista e, per sillogistica conseguenza, un pensatore rivoluzionario. È nella natura di ogni vero uomo in rivolta, oltre che suo obbligo morale, trovare qualsiasi mezzo possa veicolare il proprio pensiero presso le masse. In tal senso, il Fusaro che posta video su YouTube e si avvale di ogni social media disponibile per diffondere idee gravide di sedizione è la quintessenza del vero intellettuale marxianamente inteso. Se il Comandante Che Guevara girava tra le capanne dei contadini analfabeti per convincerli della sua causa, il filosofo italiano utilizza giustamente, senza alcuna folle chiusura antimoderna, i nuovi strumenti a disposizione di chi voglia far sentire la propria voce. Si rassegnino i radical chic: vale più un Fusaro che getta nuova luce sugli oramai dimenticati Marx e Gramsci, con la sua divulgazione culturale, che un serissimo, anzi seriosissimo, studioso i cui testi rimarranno confinati entro una cerchia elitaria di cinquanta cultori della materia.

Sarà interessante pertanto, per recensire Pensare altrimenti, partire da una ferocissima stroncatura senza appello. Mi riferisco alla compiaciuta critica mossa da Michela Murgia, la scrittrice sarda, durante il suo consueto spazio nella trasmissione televisiva Quante Storie.

 

Meglio precisare fin da subito che la Murgia è una penna finissima, stilisticamente parlando. La lettura del suo Accabadora è ben più che consigliabile. In esso si ritrova una rara abilità nel mescolare profondissime conoscenze antropologiche a una forma avvincente e così vitale da far acquisire ai personaggi quasi un’esistenza al di fuori della dimensione cartacea. Per altro, se al suo collega Culicchia spetta il podio per aver dato vita letteraria all’esistenza del precario, lei è stata probabilmente la prima a raccontare con tragicomica ironia la dimensione infernale dei call center con il suo Il mondo dovrebbe sapere.

 

Sta di fatto che la giovane signora, quando ci si mette, dimostra nelle sue stroncature un sadismo compiaciuto stile ventennio, una vena censoria che non lesina fendenti e manganellate per il puro gusto di far gratuitamente del male. Questo se non altro il trattamento che ha riservato a Fusaro. Per giustificare la sua volontà di scontro, ha subito premesso che lei può permettersi di parlare delle storture dell’attuale sistema capitalistico per il fatto di provenire da una famiglia di modeste condizioni economiche e di aver vissuto sulla propria pelle il dramma di decine di lavori con contratti senza diritti. Non si capisce perché questo le darebbe maggior diritto rispetto a Fusaro, avendo vissuto anch’egli il precariato in prima persona. Non sussiste motivo, insomma, per cui la denuncia di ingiustizie e distorsioni debba essere di suo esclusivo appannaggio.

 

L’altro punto immensamente comico è che la Murgia accusi Fusaro di piegare la storia della filosofia a suo vantaggio, o se non altro di muoversi al suo interno con una certa libertà

Basterebbe leggere Aristotele, Hegel, Popper, Heidegger, ecc. Ogni grande pare avere questo vizio, o pregio che dir si voglia. Non si comprende perché solo a Fusaro non dovrebbe essere riconosciuta una tale franchigia, che è stata invece ampiamente tollerata nei secoli dei secoli. Non è per altro che tutti i filosofi da Platone a Gramsci gli diano ragione, cara Murgia. Egli critica Habermas, prende le distanze da Toni Negri, Bernard-Henri Lévy, Slavoj Žižek. Sono nomi eccellenti quelli con cui dichiara senza mezzi termini di non avere niente a che fare. Tra parentesi, poi, non è che siano loro a dargli ragione, casomai è il filosofo italiano a dar loro ragione. Si potrebbe pure scomodare il noto Carmelo Bene che dice: “Arrivati a un certo punto non si è più d’accordo con Baudelaire, si è Baudelaire”.

 

Non paga di queste furberie come colpi bassi di un lottatore sleale, la scrittrice sarda tira fuori il pugno di ferro. Eccola citare con orrore un passo sugli studi di genere e chiudere in bellezza attribuendo impunemente al nostro Diego niente di meno che l’essere “contro l’uguaglianza tra i generi e gli orientamenti sessuali”. Praticamente, alla fine di questi due, o tre minuti di accanimento persecutorio – come se si potesse seriamente decostruire un libro in due minuti – è riuscita a far figurare Pensare altrimenti come una sorta di Mein Kampf 2.0. Follia allo stato puro, o forse meglio sarebbe parlare di malafede da parte di una persona troppo intelligente per non essere consapevole del peso delle proprie parole. Fusaro descrive mirabilmente questa tendenza dell’intellighenzia di pseudo sinistra con l’espressione di reductio ad Hitlerum. Nella fattispecie, la strategia è quella di prendere una frase del libro, decontestualizzarla et voilà eccoti servito il nuovo idolo negativo. Esattamente quello che fa la Murgia che, con grande leggerezza, ci presenta un Fusaro “nemico dell’evoluzione dei diritti della società civile” conseguiti nel nostro paese in “questi ultimi anni”. Suppongo la scrittrice sarda si riferisca, per esempio, alla questione delle unioni civili. Vediamo dunque, giusto per stare alle parole messe nero su bianco, cosa scrive il filosofo incriminato in merito:

 

Lotte di per sé giuste come quella per le unioni civili omosessuali, quelle del femminismo e dell’animalismo radicale rivelano, in quanto completamente disgiunte dalla questione sociale e dall’opposizione al fanatismo economico, che una nuova cultura postborghese e postproletaria ha sostituito ai valori centrati sulla dignità del lavoro e dei diritti sociali e, con essi, la contestazione operativa del modo capitalistico della produzione […] Così, astrattamente, secondo la dinamica in atto, ciascuno si potrà sposare con chi vuole, ma, in concreto, pressoché nessuno potrà sposarsi, complici le condizioni precarie e flessibili del lavoro e, con esso, degli stili di vita.

L’emancipazione intesa in forma non illusoria dovrebbe consistere non già nell’astratto riconoscimento giuridico della relazione sentimentale e del progetto di vita di due individui (omosessuali o eterosessuali che siano), bensì nel fatto che essi possano disporre di un lavoro garantito e di un salario, di diritti sociali e di tutele, di modo che la loro relazione, oltre a essere riconosciuta in astratto, possa anche esistere in concreto

 

Basterebbero questi pochi passaggi per dimostrare che i giudizi pronunciati su Fusaro sono del tutto infondati, surrettizi, e caratterizzati da criminosa disonestà intellettuale. Nessuna stigmatizzazione dei costumi sessuali di chicchessia, ma piuttosto un invito ad aprire gli occhi sul fatto che, da parte della classe politica, la concessione dei diritti civili viene elargita a detrimento di quelli sociali. Spiace per Michela Murgia, ma non esiste passo dove il giovane professore inviti allo sterminio degli omosessuali, o dica che questi sarebbero inferiori agli altri esseri umani. Preso atto con profondo disgusto di tanta pochezza e dell’acrimoniosa scorrettezza dimostrata, veniamo al testo.

 

Tra i grandi meriti di Fusaro, ve n’è uno di rado citato: la sua prosa è veramente incalzante. Non si trascina mai in modo stanco. È carica sul piano concettuale, ma incede con singolare leggiadria. Fa venire voglia di leggere, senza sosta. Pur essendo un testo filosofico, coinvolge come un romanzo. Proprio come si trattasse di un’avventura, viene raccontata al lettore la storia del Dissenso: un personaggio ideale e al contempo estremamente concreto, multiforme, e difficilmente circoscrivibile. Il filosofo ne traccia un ritratto all’interno della storia delle idee, ne descrive le molteplici declinazioni sul piano pratico, dal dissenso noto come riformismo, fino a quello che si concretizza nella figura del rivoluzionario. Incredibilmente illuminante è poi la descrizione del rapporto che la democrazia teoricamente dovrebbe intrattenere con questo:

 

Il governo che non solo accetta e non reprime il dissenso, ma che trova in esso la sua forza e non la sua debolezza

 

C’è tanto in questo libro e Fusaro dà prova come al solito, tra riferimenti filosofici, letterari, e finanche poetici, di avere una cultura sterminata. Chi lo conosce e lo segue vi ritroverà molti aspetti del suo pensiero già ascoltati nelle più disparate occasioni, con la differenza di trovarsi qui al cospetto di una trattazione coesa e sistematica.

Pensare altrimenti è un vero e proprio manuale di sopravvivenza per tutti coloro che cerchino una via di fuga attiva dalla logica asfittica del pensiero dominante. Adatto per chi ha già avuto un sussulto di coscienza, o sia sulla buona strada. Fusaro indica la via, chiarisce le idee, insegna a non cadere vittima di quel potere occulto che guida il consenso, determinando molte volte anche il dissenso. L’invito è a non cedere e mantenere sempre fermo uno sguardo lungimirante, qualunque battaglia si stia combattendo: ogni lotta, se non vuole ridursi alla sterilità, deve essere sussunta entro l’orizzonte ideale della guerra al nemico principale, il neoliberismo e le disparità di classe. Il tutto nella consapevolezza che “l’individuo isolato non può cambiare le geometrie dell’esistente”.

La soluzione è una sola. Ce l’aveva già fornita il poeta di Recanati.

 

… Il dissentire e l’ira gravida di buone ragioni restano oggi imprigionati negli antri della coscienza degli individui artatamente scissi dal tessuto comunitario, impossibilitati, nel tempo del legame infranto e dell’autismo generalizzato, a dare vita alla «social catena»

 

Dunque la soluzione è fare comunità, unirsi, riscoprire la coscienza di classe, verticalizzare nuovamente il conflitto. La cosa sembra semplice, di traslucida e cristallina elementarità direi. Se non l’avevate capito da soli, non sbraitate contro Fusaro che cerca di spiegarvelo. Piuttosto, prendetevela con voi stessi.

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