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26 aprile 2017

 

Uccidere Godot, la globalizzazione come Nemico principale

di Alessio Mannino

 

Basta aspettare Godot, freghiamocene, uccidiamolo.

 

Qual è il nemico numero uno di chi ha a cuore la dignità, la libertà, la giustizia sociale, l’autodeterminazione? La globalizzazione, che è sinonimo di oligarchia finanziaria e omologazione culturale. Qual è lo Stato-guida ideologico e geopolitico suo epicentro e braccio armato? Gli Stati Uniti d’America. Cosa rappresenta l’Unione Europea? Il contrario dell’ideale di Europa umanistica e spirituale: un’organizzazione architettata per tutelare interessi economico-bancari in cui alcuni Paesi predominano su altri, nella logica di potenza propria della politica. Cosa significa “populismo”, fuori dal vocabolario criminalizzante del pensiero unico liberale e finto-democratico? La reazione del popolo di sudditi contro le élites che, al di là della maschera elettorale della decrepita e ingannevole commedia Destra-Sinistra, servono il Potere del denaro, unico vero dio dell’inciviltà moderna.

Se si è d’accordo su questi presupposti fondamentali, se ci si è accorti che è in atto una guerra fra alto e basso, fra schiavi salariati e global class di privilegiati, si deve fare esattamente come si fa in guerra: prima, abbattere il nemico principale. Senza auto-paralizzarsi in distinguo e pregiudizi, badando al sodo, guardando all’obiettivo. Quando si combatte, ci si trova ad agire in una situazione data, e l’intelligenza del combattente sta nel muoversi con spregiudicatezza, rimandando al dopo tutte le considerazioni che bloccano l’azione.

Nel nostro caso, in Francia al ballottaggio delle presidenziali c’è una Marine Le Pen che incarna parte delle istanze essenziali della lotta in corso. Fosse al suo posto Jean-Luc Mélenchon, assolverebbe al medesimo ruolo. Astenersi pilatescamente perchè il partito della Le Pen, il Front National, ha difetti e limiti anche gravi (è filo-Israele, l’anti-islamismo è rozzo ed estremista, ha un’idea, tutta francese, di Patria che fa a pugni con quella, secondo chi scrive più europea, di piccole patrie, nella sua base sobbolle un certo istinto nazionalista spesso sgradevole), senza avvedersi della sua funzione utile e necessaria di contrapposizione al globalismo, significherebbe, all’inverso, mettersi a fare gli schizzinosi con un Mélenchon perchè non anti-eurocratico o perchè si dice ancora de gauche. Certo, non sono uguali. Ma visti in un’ottica realista, calando le aspirazioni sul terreno concreto del momento, sono entrambi attori di una scena nuova. Dove il barrage républicain è invece il vecchio, mantiene lo status quo, è conservatore e pure reazionario (ci arriva anche un bambino, che convergere tutti su Macron è fare il gioco dell’establishment, gentaglia tipo Attali).

Attendere l’avvento della forza politica ideale, che soddisfi al 100% i propri sogni, significa rintanarsi nel cantuccio della Storia: ogni torre d’avorio è uno spreco di energie. Ogni occasione va sfruttata – anche turandosi il naso, se serve. Basta aspettare Godot, freghiamocene, uccidiamolo piuttosto: nell’attesa contribuiamo con tutti i mezzi ad aprire crepe, allargare contraddizioni, liberare varchi (in Spagna con Podemos, in Gran Bretagna con la Brexit, esponendosi a delusioni con Trump, accontentandosi di quel che passa il convento in Italia – e ciò, naturalmente, non rinunciando a lavorare in proprio, dal basso, autonomamente a livello intellettuale e locale). Ovunque, e con chiunque adempia al ruolo di contrastare il Nemico.

 

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