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17 maggio 2018 

 

Sulla quarta teoria politica

di Gabriele Sabetta

 

Un'analisi dell'opera di Aleksandr Dugin, recentemente ripubblicata da NovaEuropa edizioni, per una nuova teoria capace di trascendere le categorie politiche del ventesimo secolo.

           

Le ideologie incarnano antiche e profonde tendenze di civiltà, rimescolate con nuovi elementi tratti dallo spirito dei tempi, nella forma di postulati indiscutibili alla maniera dei radicalismi religiosi. In campo politico, le ideologie raggiunsero il culmine della loro diffusione e influenza nel ventesimo secolo e furono il risultato degli sconvolgimenti politici, religiosi e culturali che produssero l’Evo Moderno. Il professor Aleksandr Dugin, già docente presso l’Università statale di Mosca, esponente del movimento eurasiatico internazionale, è autore de La Quarta Teoria Politica, la sua prima opera ad apparire in lingua inglese, protagoniste della quale sono le maggiori ideologie politiche che hanno generato le tragedie del ventesimo secolo. Lo scorso anno è uscita nelle librerie italiane una seconda edizione arricchita, per NovaEuropa, con traduzione di Camilla Scarpa e prefazione di Luca Siniscalco.

 

Il volume racchiude un’agile sintesi delle argomentazioni del politologo russo, che sta influenzando attivamente la direzione della strategia geopolitica russa e mira allo sviluppo di una nuova teoria che trascenda le categorie politiche del ventesimo secolo – liberalismo, marxismo e fascismo. È l’introduzione ad una dottrina che potrebbe modellare il corso del futuro politico del mondo. Forse, oltre all’offerta di una valida alternativa all’attuale vuoto politico stagnante – questa fine della storia in cui siamo imprigionati – ciò che più alletta è una critica completa al liberismo economico dominante, da una prospettiva che non si allinea completamente alle tradizionali posizioni di resistenza. A tal proposito, è da chiarire che nel saggio viene utilizzato il termine liberalismo con l’evidente riferimento al liberismo economico, deviazione ideologica del primo, nella pretesa di sottomettere all’economia ogni aspetto ed esigenza dell’essere umano.

 

Lo scopo principale del lavoro del professor Dugin, del resto, non consiste semplicemente nel decostruire teorie politiche fallite, ma soprattutto nel fornire elementi per l’edificazione di una nuova teoria, utilizzando anche materiale di recupero proveniente dalle esperienze politiche passate – piuttosto che respingerle in blocco sulla base di sciocchi pregiudizi. L’autore è consapevole della necessità di portare in scena qualcosa di nuovo, rifiutando i feticci delle vecchie ideologie – la classe, lo Stato, la razza, l’individuo – a favore dell’essenziale concetto heideggeriano del dasein (l’essere-nel-mondo), da considerare come fulcro della rinascita. Tuttavia, coloro che sperano in uno schema completo di una via per la salvezza, resteranno delusi.

 

Il ventesimo secolo si è concluso, ma da poco abbiamo iniziato a rendercene conto. Se nei secoli precedenti le religioni, le dinastie, le aristocrazie e gli stati-nazione giocarono un ruolo fondamentale nella vita dei popoli, nel ‘900 la lotta politica si redistribuì in un agone strettamente ideologico, rimodellando la mappa del mondo, i gruppi etnici e le civiltà secondo le nuove coordinate. Tre ideologie (o teorie) politiche fondamentali combatterono tra loro nel ventesimo secolo. La prima è il liberalismo, apparsa nel secolo dei Lumi. Essa mostrò fin da subito una deriva economicista nei confronti di un liberalismo che riaffermava il diritto della personalità umana contro gli abusi del potere, rivelandosi col tempo la più stabile e riuscita ideologia, la più conforme all’epoca moderna, sconfiggendo sul campo i suoi avversari. Il comunismo(insieme al socialismo in tutte le sue varianti) è la seconda teoria politica. Apparve come reazione critica all’istituzione del sistema borghese-capitalista.

 

Infine il fascismo, terza teoria politica. Avendo la pretesa di interpretare l’anima della modernità nella maniera più originale, come sintesi tra vecchio e nuovo, si associò anche a idee e simboli delle società tradizionali. L’alleanza tra la prima e la seconda teoria politica, e i calcoli geopolitici suicidi di Hitler, sconfissero la terza nel momento del decollo. Essendo scomparso, il fascismo liberò lo spazio per la lotta tra le prima e la seconda teoria politica. Ciò avvenne sotto forma di guerra fredda, disegnando la geometria strategica del mondo bipolare, che durò quasi mezzo secolo. Nel 1991 il liberalismo sconfisse la seconda teoria politica, avendo a quel punto il campo libero per potersi dispiegare in tutta la sua crudeltà come liberismo economico. E così, alla fine del ventesimo secolo, delle tre teorie politiche in grado di mobilitare le masse in tutte le aree del pianeta, ne rimaneva solo una; ma quando fu lasciata sola, tutti, all’unisono, gridarono alla fine dell’ideologia. Ma la vittoria del liberismo economico coincise davvero con il suo epilogo?

 

Questo paradosso è soltanto apparente; il liberalismo, inizialmente, si era mostrato come un’ideologia a tutti gli effetti: non dogmatico quanto il marxismo, ma non meno filosofico, ben costruito e preciso, reclamante il diritto ad una determinazione monopolistica di una via al futuro, con una totalità di idee, opinioni e progetti peculiari di un determinato soggetto storico. Ognuna delle tre teorie politiche aveva il proprio soggetto storico: il comunismo aveva la classe, il fascismo lo stato etico o la razza (nel nazionalsocialismo hitleriano); nel liberismo economico il soggetto è l’individuo, cioè quel particolare modo di esistere dell’essere umano come atomo slegato da ogni forma di identità e appartenenza comunitaria, nazionale, familiare, religiosa, sessuale. Dunque, con la vittoria del liberismo, il soggetto normativo di tutta l’umanità divenne l’individuo. E presto apparve il fenomeno della globalizzazione, il modello di una società post-industriale, l’inizio della post-modernità, con la nuova religione obbligatoria dei diritti umani, schermo delle più orrende nefandezze. L’umanità-massa, composta di individui-atomi, è naturalmente attratta dall’universalismo, diventa naturalmente globale e integrata. Così, nacque il progetto di un governo mondiale.

 

In questa fase, a noi contemporanea, il liberismo smette di essere la prima teoria politica per diventare l’unica pratica politica consentita. Si giunge alla fine della storia, la politica è sostituita dall’economia sovrana, dal mercato globale; governi e nazioni si disperdono nel crogiolo della globalizzazione. Avendo trionfato, il liberismo scompare come ideologia: non è più una questione di libera scelta, ma diventa un particolare tipo di destino. Il mondo globale dovrà d’ora in poi operare piegandosi alle leggi economiche e alla moralità universale dei diritti dell’uomo. Tutte le decisioni politiche saranno sostituite da quelle tecnologiche, dalla governance degli esperti. In luogo di uomini politici che prendono decisioni a rilevanza storica, abbiamo ora i manager e i tecnici che ottimizzano la logistica della leadership amministrativa. Quindi, la realtà post-ideologica (più precisamente, la virtualità che allontana sempre più la realtà da se stessa) conduce direttamente all’abolizione della politica. Se la terza teoria politica criticava il capitalismo da destra e la seconda da sinistra, allora, nella nuova fase, questa vecchia topografia politica non esiste più: in relazione al post-liberismo è impossibile determinare dove si trova la sinistra e dove la destra. Ci sono solo due posizioni: adesione (centro) e dissenso (periferia). L’uno e l’altro sono globali.

 

All’alba della modernità, la tradizione (religione, gerarchia, famiglia) e i suoi valori furono rovesciati: a rigor di termini, tutte e tre le teorie politiche sono state pensate come costrutti artificiali che riflettono, in modi diversi, sulla morte di Dio (Nietzsche) e sul disincanto del mondo (Weber). Il cuore della modernità consisteva in ciò: al posto di Dio venne l’uomo; al posto della religione, la filosofia e la scienza; al posto della Rivelazione, i costrutti razionali e tecnologici. Ma se la modernità si esaurisce ora nella post-modernità, allora si conclude il periodo di teomachia. Per l’individuo post-moderno, infatti, la religione ha cessato di essere un nemico; è indifferente. L’epoca della persecuzione è terminata e questo, molto probabilmente, si tradurrà, perseguendo la logica stessa del post-liberismo, nella creazione di una nuova pseudo-religione mondiale, fondata su frammenti sconnessi di culti sincretici, su di un ecumenismo caotico e sfrenato e sulla tolleranza (di ciò che è conforme all’ordine globale). E se anche una tale svolta di eventi è in qualche modo più spaventosa dell’errato e semplice ateismo e materialismo dogmatico, l’indebolimento delle persecuzioni lascerà libera una possibilità per i portatori della quarta teoria politica, se saranno coerenti e intransigenti in difesa degli ideali e dei valori della Tradizione.

 

Per fondare la quarta teoria politica, si raccomanda di rivolgersi non alla teologia e alla mitologia, ma alla profondità dell’esperienza filosofica di un pensatore che realizzò un tentativo unico nella modernità di ricostruire un’ontologia fondamentale – l’insegnamento più sintetico, paradossale, profondo e penetrante dell’essere: Martin Heidegger, per l’appunto. La postmodernità si configura come ultimo stadio dell’oblio dell’essere, la “mezzanotte” dove il nulla inizia a trasudare da ogni fessura (nichilismo); ma la filosofia di Heidegger non è disperatamente pessimista: suppone che il nulla sia di per sé il lato opposto del puro essere, il che – in modo stravagante – ricorda all’umanità di se stessa. E se la logica dello sviluppo dell’essere è decifrata correttamente, allora pensiamo che l’umanità potrà salvarsi da sé, con una velocità fulminea, nel momento in cui, citando Holderlin, il rischio sarà massimo.

 

È difficile prevedere come si svilupperà il processo di elaborazione di questa nuova teoria. Solo una cosa è certa: questa non potrà essere una questione individuale – l’impegno di una cerchia ristretta di persone; dovrà manifestarsi come sforzo collettivo universale, nel quale dovranno unirsi tutti i popoli e le culture (europee e asiatiche) che percepiranno la tensione escatologica del momento presente e che muoveranno disperatamente verso una via di fuga dal vicolo cieco globale.

 

 

 

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