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Giu 22, 2018

 

Quarta teoria politica e comunitarismo

Luciano Lago intervista lo scrittore e saggista Paolo Borgognone

 

Caro Paolo grazie di aver accettato questa nuova intervista per il nostro sito. Nella precedente intervista, abbiamo accennato alla dicotomia tra i valori della Quarta Teoria Politica di Alexander Dugin e la società liquida per usare un’espressione del sociologo Bauman. Questo aspetto è come ben sai centrale nel nostro laboratorio politico che si impegna nella promozione di un concetto di comunità secondo la lezione di Aristotele e Tonnies elaborando nuove sintesi che è un elemento condiviso dalla cosiddetta generazione nero-verde. Tu che sei esperto di Quarta Teoria Politica alla quale hai in progetto di dedicare in futuro un libro, quali pensatori italiani del passato o del presente ritieni possano essere affini a questo pensiero?

 

B. In Italia la Quarta Teoria Politica (4TP), o rivoluzione/conservatrice declinata nel contesto nazionale specifico del nostro Paese, ha certamente potuto vantare pensatori e intellettuali, perfino soggetti politici organizzati, che ne hanno rappresentato in un certo qual senso antesignani plausibili e credibili. In Italia, il pensiero politico in qualche modo riconducibile alla convergenza delle “estreme” in nome di una filosofia e di una prassi del riscatto dei ceti oppressi nacque nell’immediato dopoguerra nell’ambito di alcune correnti della sinistra missina che, col tempo, all’incirca nella seconda metà degli anni ’50 del XX secolo, si costituirono come movimenti politici autonomi il cui obiettivo consisteva nel collocarsi oltre la consolidata segnaletica politica dicotomica destra/sinistra. In realtà, le correnti politiche di cui sopra originarono precedentemente nel campo ideologico determinato del “fascismo di sinistra” o “fascismo rivoluzionario” e, ancor prima, nel novero delle sintesi politico-filosofiche strutturali di quella che possiamo definire, in buona sostanza, la “tradizione italiana”.

 

Chi volesse ripercorrere il percorso storico-filosofico alle radici di una sostanziale rivoluzione/conservatrice in Italia e fosse interessato alla genesi delle culture e perfino dei movimenti politici che animarono tale corrente di pensiero centrale nella ridefinizione critica e nell’inquadramento antropologico, storico e politico di quella che fu e che è la “tradizione italiana” o “sintesi nazionale” può leggere, tra gli altri: R. Sideri, Fascisti prima di Mussolini. Il fascismo tra storia e rivoluzione, Settimo Sigillo, 2018; L. L. Rimbotti, Fascismo rivoluzionario. Il fascismo di sinistra dal sansepolcrismo alla Repubblica Sociale, Passaggio al Bosco, 2018; N. Mollicone, L’Aquila e la Fiamma. Storia dell’anima nazional-popolare del MSI, Pagine I Libri de Il Borghese, 2017; A. Villano, Da Evola a Mao. La destra radicale dal neofascismo ai “nazimaoisti”, Luni Editrice, 2017; M. Veneziani, La Rivoluzione Conservatrice in Italia. Genesi e sviluppo della «ideologia italiana» fino ai nostri giorni, SugarCO, 1994; M. Veneziani, Di padre in figlio. Elogio della Tradizione, Laterza, 2002.

 

In Italia le correnti politiche che ripensarono la società in termini “organici” furono quelle a vario titolo contigue alla destra rivoluzionaria. Gli studi filosofici di Julius Evola, il “filosofo della Tradizione”, ripresi e tradotti in teoria politica da pensatori come Franco Freda (La disintegrazione del sistema, Edizioni di Ar, 1963) e Pino Rauti (Le idee che mossero il mondo, Controcorrente, edizione 2006, ma il libro fu pubblicato originariamente nel 1965) costituirono, in prima battuta, la metafisica radicale italiana antesignana, in qualche modo, delle successive elaborazioni concettuali alla radice del pensiero conservatore/rivoluzionario russo postmoderno, o neoeurasiatismo. Il neoeurasiatismo è infatti, paradossalmente, una categoria politica antimoderna nella teoria e (post)moderna nella prassi. Un contributo fondamentale, in Italia, alla metafisica del nazional-bolscevismo, o Quarta Teoria Politica, provenne, negli anni Ottanta e Novanta del XX secolo, dal laboratorio metapolitico animatore delle riviste Orion e Origini.

 

I principali contributori di Orion furono il geopolitico Carlo Terracciano, forse il principale interprete, in Italia, del paradigma filosofico riconducibile alla Quarta Teoria Politica, il filologo Claudio Mutti e il saggista ed editore Maurizio Murelli. Orion è stata definita dallo studioso Matteo Luca Andriola, «la palestra colta della destra radicale italiana, caratterizzata da una linea nazional-rivoluzionaria con forti richiami alla nuova destra di Alain de Benoist […]. Negli anni Ottanta Orion era “vicina alle posizioni tradizionaliste-rivoluzionarie di Franco ‘Giorgio’ Freda”, esposte ne La disintegrazione del sistema». Orion, continua Andriola, «ha sviluppato una profonda attenzione per i temi del regionalismo etnico – flirtando col primo leghismo» e finanche con «certi ambienti della sinistra radicale italiana». Chi volesse approfondire le tematiche connesse all’interpretazione della Quarta Teoria Politica propria del gruppo di Orion, può leggere il testo, assai pregevole e interessante, di C. Terracciano, E. Müller, A. Dugin, M. Murelli, Nazionalcomunismo. Eurasia: prospettive per un blocco continentale, Società Editrice Barbarossa, 1996. Sul piano strettamente politico e attuale, la Lega è, in questa fase, il partito che, in Italia, più si avvicina ai presupposti culturali propri della Quarta Teoria Politica, pur non essendo un soggetto politico schierato ipso facto sulla Quarta Posizione.

 

In Italia, comunque, vi sono principalmente un paio di partiti che hanno optato, nel loro approccio culturale, per un avvicinamento o un interesse alla Quarta Teoria Politica, ovvero la Lega (non da oggi, bensì, sebbene in maniera piuttosto contraddittoria e non sempre lineare, dall’inizio degli anni 90 del secolo scorso) e CasaPound. Quest’ultimo movimento politico si caratterizzò, nel 2014, per uno sbandamento in chiave filo-ucraina di alcuni suoi militanti e simpatizzanti ma, a tutt’oggi, la questione della collocazione internazionale di CasaPound sembra essersi risolta e il partito della “tartaruga frecciata” ha addirittura invitato Aleksandr Dugin a tenere una serie di conferenze, a Milano e a Roma, in cui il principale ideologo del neoeurasiatismo avrebbe presentato il suo nuovo e importante libro, Putin contro Putin (AGA Editrice). Personalmente, ho accolto con favore la ricollocazione di CasaPound sull’asse geopolitico eurasiatista e continentale e l’attenzione dimostrata da questo partito, con la sua rivista teorica, Il Primato Nazionale, per Dugin e per il nazional-bolscevismo, ne costituisce un fattore di indubbia maturazione. In altri termini, la questione relativa all’iniziale sbandamento filo-ucraino di alcuni militanti di CasaPound sembra essere risolta da tempo, tant’è vero che la maggioranza dei militanti e dei simpatizzanti di questo partito esprime posizioni di politica estera prettamente “filo-russe”. D’altronde, la linea di politica estera di CasaPound fu, già nei primi anni, marcatamente “filo-russa” e lo sbandamento pro-ucraino di alcuni suoi militanti e simpatizzanti era da imputarsi al fatto che costoro, sbagliando, travisarono il golpe nazi-atlantista di Kiev del febbraio 2014 per una sorta di “rivoluzione nazionale” volta a restituire all’Ucraina una, invero mai esistita poiché l’Ucraina più che un’entità statuale propriamente detta è una marca di confine caratterizzata da un profondo ancoraggio storico, linguistico, culturale e politico alla Russia (la Russia, infatti, nacque a Kiev), “indipendenza perduta”.

 

Nella fase attuale, pertanto, CasaPound sembra essersi ricollocata sul versante propriamente originario della sua direttrice di politica estera. Il giornalista Pietrangelo Buttafuoco ha definito, a mio avviso non a torto, CasaPound un partito che «non ha le banalità elettoralistiche di altre sigle. È una cosa raffinata e persino chic rispetto alle volgarità di altri tipi di destra occidentalista». Questa definizione corrisponde al vero laddove si declina CasaPound non tanto sotto il profilo ideologico bensì come uno tra i movimenti politici culturalmente più attivi e “impegnati” nel senso alto del termine, presenti oggi nel panorama politico italiano. A livello di elaborazione teorico-militante e intellettuale penso che il gruppo di pensatori riuniti dal 2005 attorno alla rivista di studi geopolitici Eurasia, diretta da Claudio Mutti, costituisca a tutt’oggi la principale fucina culturale rappresentante, in Italia, i più fattivi e interessanti presupposti interpretativi e metodologici riconducibili alla Quarta Teoria Politica. Infine, mi preme sottolineare come, oggi, il confronto tra l’intellighenzia italiana e la Quarta Teoria Politica coinvolga pensatori, giornalisti e intellettuali provenienti da sinistra, come Diego Fusaro e Giulietto Chiesa e come, già più di un decennio fa, personaggi quali Costanzo Preve, il grande filosofo marxista eterodosso scomparso nel 2013, e Massimo Fini, avessero, da pionieri e precursori “a sinistra”, inaugurato la stagione del dialogo socratico e dell’apertura nei confronti di Dugin e delle ragioni della 4TP. Tra l’altro, il coinvolgimento di pensatori provenienti da sinistra nel dialogo socratico con le ragioni della 4TP è, a mio parere, il più importante e significativo dei risultati per chi, proprio in nome di una nuova cultura politica che si propone di andare oltre la dicotomia novecentesca destra/sinistra, persegue l’idea rivoluzionaria di rimuovere quegli steccati ideologici tra fascisti e antifascisti, comunisti e anticomunisti, utili esclusivamente a chi, nelle oligarchie dominanti e nel mainstream ideologico liberale, intende preservare inalterato lo stato di cose presenti.

 

CONTROINF-  il nostro sito come ben sai è molto sensibile al recupero dei veri valori umani e fortemente critico dei pseudo-valori della Generazione Erasmus. Dal momento che come giustamente dici tu è importante il recupero di valori cavallereschi, del Sacro, e del patriottismo come base per una Quarta Teoria Politica, puoi illustrare per i nostri lettori la natura di questa fobia tipica della generazione erasmus nei confronti di questi valori comunitaristi e di una visione antropologica dell’Homo Religiosus ben illustrata negli studi di Mircea Eliade?

 

B. -La cultura di massa mainstream in Italia, pressoché integralmente anglofila e liberale di sinistra, ha peccato di presunzione diffamando, demonizzando e/o ridicolizzando, in passato e per molti aspetti anche nel presente, la destra politico-culturale di alternativa al sistema identificando questa corrente di pensiero quasi esclusivamente attraverso il ricorso alle categorie pretestuose della violenza e dell’ignoranza. Questo ricorso sistematico alla despecificazione politica della destra è stato attuato in ambito non soltanto politico ma, anche e soprattutto, culturale, ovvero nelle accademie umanistiche politically correct di impianto ideologico azionista, nella saggistica di impronta universitaria e con pretese persino scientifiche, nella letteratura, nella produzione cinematografica, in ogni aspetto della retorica ufficiale di Stato. La strategia della tensione, in Italia, negli anni Sessanta e Settanta del XX secolo, fu attuata dalle centrali atlantiche di intelligence, straniere (americane, anche inglesi) e interne, con il preciso obiettivo politico di contrastare una possibile svolta del Paese a sinistra come anche a destra. La strategia della tensione fu principalmente centrista, si articolò attraverso il principio della destabilizzazione dell’ordine pubblico per stabilizzare in senso moderato-conservatore o moderato-riformista (a seconda delle contingenze più immediate e degli interessi sistemici prevalenti in un determinato frangente storico) l’ordine politico. Gli americani, con l’“Operazione Chaos” varata dal generale William Westmoreland, crearono ex novo gruppi e gruppuscoli anarcoidi di estrema sinistra, infiltrarono e manipolarono i movimenti extraparlamentari di destra e di sinistra esistenti e attuarono una sistematica strategia del terrore, della strage e del depistaggio per inquinare e gettare nel più totale discredito ogni possibile esperienza o risorsa politica riconducibile in qualche modo a un’ipotesi antisistemica.

Il neofascismo rappresentò, dal punto di vista politico, in Italia, una corrente filo-atlantica che, come disse Vincenzo Vinciguerra, intendeva «fare la rivoluzione con il permesso del questore». La destra rivoluzionaria, in Italia, fu tale proprio perché riuscì a smarcarsi dal retaggio neofascista e dai pericoli rappresentati dall’infiltrazione. Questa “destra”, che in realtà non si sarebbe mai neppure definita facendo ricorso a siffatta segnaletica politica, fu rappresentata da coloro i quali, a livello collettivo piuttosto che individuale, a prescindere dai gruppi cui facevano a vario titolo riferimento, si ispiravano a ideali politici e di vita riconducibili ai valori cavallereschi e signorili di onore e fedeltà. I valori di cui sopra, non mercantili, sono chiaramente rifiutati dall’apparato propagandistico del mainstream, politico e intellettuale, che veicola univocamente l’apologia del denaro, della mobilità surmoderna, del “divertimento”, dello sradicamento, dell’auto-imprenditorialità e del business economico. I figli del globalismo sono individui standardizzati al ribasso, vivono unicamente nel nome della mobilità e hanno elevato questo presupposto cardine della modernità liberale e capitalistica a cifra della propria esistenza. Il dialogo con questi individui omologati e mediocri, laddove per mediocre intendo chi, nella massa, è propenso a “giocare il gioco” stabilito dalle classi dirigenti e dominanti senza porre in discussione le “regole” imposte dalla pressione sociale contingente e anzi facendosi addirittura interprete della narrativa politically correct veicolata dalla società dello spettacolo, è impossibile.

I figli del globalismo debbono essere oggetto, da parte dei loro avversari politici, di un sano e vigoroso odio di classe. La guerra di classe, infatti, esiste ed è guerra tra classi sociali e nelle classi sociali. O i ceti penalizzati dalla globalizzazione riprendono, nel proprio percorso, tra l’altro difficile, di assunzione di consapevolezza, identità e responsabilità collettiva, le categorie di neocolonialismo, imperialismo politico-culturale e lotta/odio di classe, o codesti ceti rimarranno, ancora per lungo tempo, moltitudini incoerenti e sradicate, sfruttati e proscritti del XXI secolo. I nemici dei popoli, ieri come oggi, sono le classi economiche dominanti e i loro manutengoli di ceto medio che perseguono un’esistenza commerciale improntata ai paradigmi neoliberali della mobilità, del “divertimento” e del presenzialismo.

 

Nota: Ringraziamo Paolo Borgognone per il suo prezioso apporto di idee e di concetti di filosofia e metapolitica che sono un importante contributo al dibattito culturale che svolgiamo anche attraverso questo sito.

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