Fonte: Journal-neo
https://www.controinformazione.info/

Nov 26, 2017

 

Perche’ i Rockefeller cercano di distruggere gli agricoltori?

di William Engdahl

Traduzione di Anacronista

 

Per gran parte del secolo scorso, la cultura pop occidentale ha sistematicamente denigrato e sminuito quella che dovrebbe essere la professione più onorevole di tutte. Chi lavora la terra giorno dopo giorno per produrre il cibo che mangiamo ha troppo spesso assunto lo stesso stato sociale della terra che dissoda. Nessuno si pone una semplice domanda: cosa faremo una volta che avremo fatto fuori tutti gli agricoltori? Alcuni ingenui cittadini diranno: “Ma abbiamo la produzione industrializzata; ormai non c’è più bisogno di lavoro agricolo manuale.”


E i numeri sono davvero notevoli. Prendiamo gli Stati Uniti. Nel 1950 la popolazione totale era di 151.132.000 persone, di cui 25.058.000 agricoltori: poco più del 12% della forza lavoro totale. C’erano 5.388.000 aziende agricole con una dimensione media di 87 ettari. Quarant’anni dopo, nel 1990, gli USA avevano una popolazione di 261.423.000, di cui meno di 3 milioni agricoltori: appena il 2,6% della forza lavoro. Il numero delle aziende si era ridotto a 2.143.150, ovvero una perdita del 60%, ma la dimensione media era diventata di 187 ettari.

 

La rivoluzione agricola dei Rockefeller

A chi fra noi si rapporta con la carne, i latticini e gli ortaggi solo al supermercato, viene detto che questo è un grande successo: la liberazione di quasi 23 milioni di lavoratori agricoli verso impieghi urbani e una vita migliore.


Ma non ci vengono raccontati i veri effetti sulla qualità del cibo, prodotti dalla meccanizzazione e dall’industrializzazione dell’agricoltura in America da quando la Harvard Business School, grazie a donazioni della Fondazione Rockefeller, dette inizio al cosiddetto agrobusiness: la conversione dell’agricoltura in un business a puro fine di lucro e verticalmente integrato, sul modello del cartello petrolifero Rockefeller.

 

Dopo gli anni ’50, negli USA l’allevamento di maiali, vacche, bovini e pollame diventò gradualmente industrializzato. I pulcini vennero confinati in spazi così minuscoli che potevano appena stare in piedi. Per farli crescere più in fretta vennero riempiti di antibiotici e nutriti di mais e soia OGM. Secondo il Consiglio per la Difesa delle Risorse Naturali, l’80% degli antibiotici venduti negli Stati Uniti viene usato negli allevamenti animali, non dagli esseri umani. Gli antibiotici vengono somministrati agli animali mescolati al cibo o all’acqua, per accelerare la crescita. Dopotutto, il tempo è denaro.

Gli agricoltori tradizionali, com’era stato mio nonno in Nord Dakota, vennero in gran parte fatti lasciare la terra dalle politiche del ministero per l’agricoltura, che hanno favorito l’industrializzazione senza curarsi della qualità del cibo risultante. I trattori diventarono macchine mastodontiche computerizzate, guidate dal GPS. Un trattore così poteva essere telecomandato e fare il lavoro di molti agricoltori.


Il risultato finanziario è stato favoloso… per gli industriali come ADM, Cargill, Monsanto e per i venditori come Kraft, Kelloggs, Nestle, Unilever, Toepfer e Maggi. Il modello americano di agrobusiness Rockefeller-Harvard venne globalizzato a partire dai negoziati del GATT tenutesi in Uruguay a fine anni ’80 per la liberalizzazione del commercio, nei quali l’Unione Europea abbandonò la tradizionale protezione degli agricoltori locali per favorire il libero commercio.

 

Mentre i negoziati del GATT stavano per dare ai giganti statunitensi dell’agrobusiness quello che volevano (ovvero la libertà di violentare l’UE e altri mercati agricoli con i loro prodotti industriali, e di distruggere milioni di agricoltori europei che avevano coltivato la terra con passione per generazioni) mi recai a Bruxelles per intervistare da giornalista un burocrate UE di alto livello, responsabile per l’agricoltura. Sembrava ben istruito, era multilingue, danese di nascita. Ebbene, questi argomentò in difesa del libero commercio, dichiarando: “Perché dovrei pagare tasse in Danimarca per permettere agli agricoltori bavaresi di restare sul mercato con i loro appezzamenti minuscoli?”

 

La risposta, che allora tenni per me, è: semplicemente perché l’agricoltore familiare tradizionale è il solo adatto a fare da intermediario tra noi e la natura e a produrre cibo sano per gli uomini e gli animali. Nessuna macchina può sostituire la devozione e passione personale che ho visto ogni volta in tutti gli agricoltori che ho incontrato, i quali davvero si prendono cura del loro bestiame e raccolto.


Ora la stessa gente molto ricca e molto arida, quelli che io chiamo gli “oligarchi americani”, sta sistematicamente facendo tutto il possibile per distruggere la qualità del cibo. Chiaramente, secondo me, lo sta facendo con l’obiettivo di ridurre la popolazione. Non c’è altra ragione per cui la Fondazione Rockefeller spenderebbe centinaia di milioni di dollari (esentasse) per sviluppare tecniche OGM e supportare Monsanto e altri giganti della chimica come DuPont, ben sapendo di avvelenare lentamente la popolazione verso una morte prematura.

 

Pesticidi e depressione

Questo è stato dimostrato in test indipendenti sugli effetti tossici sugli animali e perfino sulle cellule umane di un embrione. Ora, indipendentemente dagli OGM, nuovi test dimostrano che i pesticidi chimici spruzzati sui raccolti provocano danni neurologici come depressione, Parkinson e perfino suicidio sugli agricoltori che li spargono. L’Istituto Nazionale Statunitense di Scienze della Salute Ambientale ha condotto un importante studio su 89.000 agricoltori e altri applicatori di pesticidi in Iowa e Nord Carolina. Il gigantesco studio ha concluso che “l’uso di due classi di pesticidi, (fumiganti e insetticidi organoclorurati) e di 7 pesticidi individuali […] era associato con i casi di depressione.

 

Vedi: http://dx.doi.org/10.1289/ehp.1307450

La ricerca ha collegato l’uso prolungato dei pesticidi a maggiore incidenza di depressioni e suicidi. Anche una dose notevole in un breve periodo raddoppia il rischio di depressione.

Dopo aver taciuto i sintomi neurologici per anni, gli agricoltori e le loro famiglie hanno cominciato a parlare. Lorann Stallones, epidemiologa e professoressa di psicologia alla Colorado State University, afferma: “C’è stato un cambiamento, in parte perché ci sono più persone che dicono di essere state mentalmente debilitate.” Vedi: Scientific American-High Rates of Suicide, Depression, Linked to Farmers.

 

L’epidemiologa Freya Kamel e i suoi colleghi hanno riportato che, tra 19.000 casi esaminati, quelli che avevano usato insetticidi organoclorurati avevano fino al 90% di probabilità in più di essere diagnosticati con depressione. Per i fumiganti il rischio era maggiore dell’80%.


In Francia, secondo uno studio pubblicato nel 2013, gli agricoltori che usano erbicidi hanno una probabilità quasi doppia di essere in trattamento per depressione rispetto a quelli che non li usano. Lo studio, condotto su 567 agricoltori francesi, ha trovato che il rischio è ancora maggiore dopo 19 anni di applicazione di erbicidi.


In breve, stiamo distruggendo il valore nutritivo del cibo che mangiamo e stiamo distruggendo anche gli agricoltori rimasti a coltivarlo. E’ una ricetta perfetta per l’estinzione della vita sul pianeta. E non è un’esagerazione.


Credo fermamente che gli agricoltori biologici onesti e consapevoli dovrebbero ricevere notevoli agevolazioni fiscali, per incoraggiare altri coltivatori a lasciarsi alle spalle il grottesco modello dell’agrobusiness e tornare a coltivare e allevare come facevano fino a pochi decenni fa. Al contempo si dovrebbe imporre un’elevata tassazione agli agricoltori che usano prodotti chimici dimostrati tossici, come il Roundup di Monsanto, o i neonicotinoidi come Confidor, Gaucho, Advocate e Poncho della Bayer, o Actara, Platinum e Cruiser della Syngenta, giusto per citarne alcuni tra i più venduti.

 

Al contrario, i nostri governanti nell’UE e negli USA fanno di tutto per scoraggiarlo: cosa in effetti molto stupida, a meno che, ovviamente, alcuni aridi oligarchi drogati dal potere, seduti sulla cima della loro montagna a guardare con disprezzo noi comuni mortali, abbiano deciso che è proprio quello che vogliono. In questo caso, è compito nostro smettere di rivolgerci alla montagna e guardare cosa noi stessi abbiamo accettato come normale, quello che sta lentamente uccidendo noi e gli agricoltori che ci nutrono. Forse è arrivato il momento di cambiare questa situazione malata.

 


F. William Engdahl è un consulente e docente di rischi strategici; laureato in politologia alla Princeton University e autore di best-seller sul petrolio e la geopolitica.

 

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