Originale: NACLA

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16 settembre  2017

 

Dopo l’uragano/i

di Kevin Edmonds

Traduzione di Maria Chiara Starace

 

La settimana scorsa, una “raffica”  di uragani ha colpito i Caraibi con una frequenza   insuperata nella storia moderna. L’uragano Irma è stato il più grosso e ha causato la maggior parte dei danni alle Isole Leeward e nelle Grandi Antille, particolarmente ad Antigua, Barbuda, Cuba, Haiti e le Isole Vergini.

 

Dopo l’uragano, i media, in modo deludente ma prevedibile, hanno creato titoli iperbolici, razzisti che descrivevano i turisti come le vere vittime degli uragani mentre  i locali venivano presentati come un secondo ostacolo di minaccia alla vita che doveva essere superato. Un giornale britannico ha riferito che “sulle isole le persone  locali,  affamate, avevano iniziato perfino ad azzuffarsi tra di loro per il cibo ed è stato riferito che degli sciacalli avevano fatto irruzione per profittare del disastro. I turisti sono scoppiati a piangere quando alla fine sono stati in grado di lasciare le isole devastate dall’uragano.” Vari servizi dei media hanno aumentato l’intensità, affermando che l’isola di St. Marin era “sull’orlo della guerra civile” dopo il passaggio dell’uragano. La realtà era che le persone stavano soltanto cercando di mettere le mani su ciò che era loro necessario per sopravvivere.

 

Proprio come ad Haiti dopo il terremoto del 2013, vediamo un disastro creato dall’uomo che si svolge in varie dimensioni. Mentre la copertura mediatica degli uragani ha finalmente spinto molte persone ad ammettere per la prima volta che il cambiamento di clima non esiste e che è il colpevole più visibile per spiegarli, i semi di questa distruzione sono stati coltivati negli scorso 30 anni.

 

Mentre non produce titoli di sicuro effetto, la realtà è che i Caraibi sono stati colpiti da uragani sempre più forti nei decenni recenti, mentre la capacità dello stato di reagire ai disastri naturali, è diminuita a causa dei livelli di debito aumentati, alle ridotte entrate   del governo e a minori aiuti allo sviluppo.  Questo ha portato a tassi  di  di precarietà alimentare che vanno alle stelle, di povertà e di disoccupazione. Da parte loro, i Caraibi non possono adattarsi abbastanza in fretta ad affrontare la distruzione inarrestabile  provocata  quando il cambiamento di clima viene aggiunto allo scenario.

Questa miriade di sfide sistemiche ha portato uno dei massimi intellettuali della regione, il defunto Norman Girvan, ad affermare nel 2010, che i Caraibi affrontano “minacce esistenziali” su molti fronti. Girvan ha continuato, affermando che “30 anni fa, ci si aspettava di avere a che fare con grossi disastri di questo tipo, diciamo, ogni 10 anni. Attualmente, la maggior parte delle isole se ne aspettano almeno uno e forse due o tre, ogni anno. In altre parole, questa situazione deve essere ora vista come una caratteristica permanente, ricorrente o fondamentale dello sviluppo dei Caraibi.”

 

L’aumento di disastri naturali sia per frequenza che per intensità è evidente ad Haiti, devastato dall’Uragano Matthew nel 2010 il quale causò oltre 1000 morti e 55.000 senzatetto e una distruzione di colture alimentari valutata dell’80%. La tempesta ha decimato le infrastrutture essenziali, lasciando Haiti senza alcuna altra scelta che precipitare sempre più nei debiti. Dopo che i politici e le ONG internazionali hanno raccolto e dirottato in maniera fraudolenta miliardi di dollari concessi per  iniziative umanitarie dal loro uso previsto, Haiti ha contratto prestiti con il Fondo Monetario Internazionale. Per peggiorare ulteriormente le cose, l’Uragano Matthew ha contaminato le fonti idriche in tutta l’isola, scatenando un’impennata dell’epidemia di colera che Haiti ha continuato a combattere fin dalla sua introduzione da parte delle truppe delle Nazioni Unite nel 2010.*

 

Oltre alla distruzione causata dagli uragani, la regione ha affrontato un misto apparentemente contradditorio sia di siccità che di uragani. Queste variazioni estreme del tempo hanno devastato tutta la regione che è diventata sempre più vulnerabile

alla scarsità di acqua, redendo quasi impossibile mantenere l’industria agricola e quella del turismo.

 

L’altro lato del Paradiso: un racconto intitolato “dalle ricchezze agli stracci”

Nel frattempo, il fatto che la regione sia dipendente da un modello insostenibile di turismo sta diventando sempre più visibile. Il turismo è ora diventato il principale motore economico della regione, dato che fornisce gli impieghi tanto necessari e le entrate del governo e  in molti casi, ma spesso a spese di una diversificazione molto necessaria in altri settori. Nel 2016, ad Antigua e Barbuda il turismo ha contribuito per il 60% al PIL. Dato che questo costituisce a un’industria incredibilmente vulnerabile, l’economia caraibica è stata ristrutturata al suo equilibrio sul filo del rasoio.

 

Negli scorsi 30 anni, i Caraibi si sono trasformati da produttori agricoli con economie interne relativamente sane, in un arcipelago di resort “tutto compreso” prevalentemente di proprietà straniera e di paradisi fiscali esteri, creando quella che è stata chiamato un racconto intitolato “dalle ricchezze agli stracci.” Decenni di liberalizzazione del commercio, di politiche di adeguamento strutturale, e la conseguente crisi economica hanno distrutto l’industria agricola che una volta era la ancora di salvezza di così tante isole. Insieme alla crescita bassa e stagnante in tutti i Caraibi, unita all’aumento dei prezzi del cibo, nel 2014, la regione ora ha una fattura di importazioni annuali di cibo di 4,5 miliardi di dollari.

Sui media sociali, i turisti e i giornalisti che scrivono servizi sul dopo-uragano erano allarmati che la popolazione locale in tutte le isole colpite dall’uragano  entrasse negli alberghi a chiedere cibo e acqua per poter sopravvivere. Ma per le persone della zona, era un fatto di buon senso. Il razionamento dell’acqua è diventato usuale in tutti i Caraibi, dato che i bacini idrici hanno raggiunto un minimo storico: gli alberghi forniscono acqua in bottiglia ai turisti.

 

Alimentata da un insieme di cibo importato, di bevande e di manodopera a basso costo formata da locali che servono i turisti come una variante dei collaboratori domestici – autisti, cuochi, colf o guardie per la sicurezza – l’economia della regione è diventata troppo dipendente da un’industria che è largamente sconnessa dalla maggioranza della gente locale e che non porta un significativo sviluppo economico.

 

Secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP), i Caraibi sono al primo posto nel mondo per “fuga” di turismo; significa che si stima che un 80% del denaro speso dai turisti  finisce per lasciare la regione attraverso alberghi di proprietà

straniera, operatori turistici,  linee aeree, cibo e bevande importate e simili. La mancanza di regolamentazione scoraggia la creazione di collegamenti con l’economia locale, per esempio posti di lavoro per agricoltori, operatori nel settore della trasformazione alimentare,  artigiani.

 

Un’indagine del 2015 riguardo a quasi 2000 visitatori dei villaggi vacanze tutto-incluso, ha rivelato che meno del 20% ha lasciato il resort allo scopo di sostenere i ristoranti, bar, o attrazioni locali. Unito al fatto che le grosse aziende multinazionali costringono le isole a una reciproca concorrenza spietata che ha come risultato il fatto che i resort ricevono un esonero dalle imposte per 25 anni , i resort “tutto compreso” hanno avuto un impatto negativo sulle economie locali.

 

La pericolosa dipendenza dal turismo significa che le isole pesantemente danneggiate come Barbuda, riceveranno una doppio “batosta”. I resort verranno chiusi per durante il picco della stagione turistica, lasciando molte persone senza lavoro e non in grado di ricostruire le loro case. Dopo che i turisti saranno andati via e che le troupe televisive spariranno, i Caraibi saranno lasciati soli ancora una volta a riparare i danni prima che “la tempesta del secolo”, arrivi   di nuovo, fin troppo presto.

 

Un rapporto del 2008 dell’Università Tuft sul cambiamento del clima e i Caraibi, affermava che l’insieme di accresciuti danni dell’uragano, di perdita di entrate dal turismo i i danni alle infrastrutture costeranno alla regione 22 miliardi di dollari all’anno fino al 2050, cioè  il 10% della attuale economia caraibica  – e 46 miliardi di dollari fino al 2100, cioè il 22%  della attuale economia caraibica. A causa della ripetuta ricostruzione di resort,  potrebbe essere soltanto questione di tempo prima che i resort decidano che i Caraibi sono troppo instabili e non redditizi a causa di fenomeni atmosferici estremi, uccidendo, quindi la più grande industria dei Caraibi, per quanto problematica e facendola precipitare ulteriormente nella devastazione economica.

 

Vale la pena notare che i Caraibi (a parte Trinidad) contribuiscono a una parte  

sproporzionatamente bassa di emissioni di anidride carbonica, globalmente, e tuttavia

insiste sulle prime linee del cambiamento di clima in uno stato di paralisi. Come sempre, le persone più povere e più vulnerabili sono colpite nel modo più duro dalle azioni delle persone ricche. Come ha detto Norman Girvan: “I leader dei Caraibi devono portare la lotta a un livello più alto.”

 

Le Filippine hanno intentato causa contro le più grosse compagnie petrolifere del mondo per aver violato i diritti umani della gente locale: il cambiamento di clima basato sull’anidride carbonica è stato responsabile della tempesta del 2013 che ha ucciso migliaia di persone e che ha avuto come conseguenza miliardi di dollari di danni. La Comunità Caraibica (CARICOM) potrebbe seguire un tale esempio. Inoltre, gli stati che contribuiscono in misura maggiore alle emissioni di anidride carbonica, devono essere presi di mira e contestati in maniera analoga.

 

Una mossa del genere non è senza precedenti nella regione, dato che le 14 nazioni caraibiche hanno dato il via a una causa contro le potenze coloniali europee per il loro ruolo di occuparsi di asservimento e genocidio degli africani e degli indigeni. Senza dubbio questo avrà ripercussioni sfavorevoli in termini di ritorsioni economiche e politiche, ma, dato che la potenza e il persistere dei disastri ambientali aumentano nella regione, lo status quo sta uccidendo la popolazione dei Caraibi.

 

Nota

*https://www.internazionale.it/opinione/marina-forti/2017/01/05/onu-ban-ki-moon-haiti-colera

 


Kevin Edmonds è dottorando e istruttore all’Università di Toronto. Le sue ricerche esaminano il rapporto la liberalizzazione del commercio, il declino del commercio delle banane e l’aumento della coltivazione e del traffico della marijuana nelle isole caraibiche orientali di Santa Lucia e San Vincent. 

 


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/after-the-hurricanes

 

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