Rinnovabili.it

Malmo, 22 settembre 2014

 

In Artico è allarme “neve nera”

 

Si sta riducendo progressivamente l’effetto albedo. Una vasta parte dei ghiacci della Groenlandia è ricoperta da una polvere scura derivante da deserti e incendi.

 

L’Artico sta cambiando colore. O più precisamente lo sta facendo il ghiaccio che copre l’enorme distesa della Groenlandia. A rivelarlo è Jason Box, un professore glaciologia del Geological Survey of Denmark and Greenland, che proprio in questi giorni ha terminato la sua spedizione scientifica nel Circolo Polare Artico. L’obiettivo della missione era quello di documentare lo stato di salute dei ghiacci, ma quello che ha scoperto lo ha lasciato quasi senza parole. “Quando ho scattato le foto sono rimasto impressionato nel vedere quanto territorio avesse un aspetto così buio”, ha affermato il dottor Box, spiegando di essersi imbattuto in una grande area completamente ricoperta da neve nera. Non si tratta certo di un fenomeno sconosciuto, ma lo stesso ricercatore si è detto stupito di quanto la situazione fosse peggiorata in un solo anno. Non è insolito infatti le nevi artiche inglobino parte dell’inquinamento proveniente dalle aree più industrializzate del Mondo, ma la situazione rinvenuta dal team di ricercatori guidati da Box, va oltre ad un po’ di ghiaccio sporco. 

 

Nell’area esaminata, a 67 gradi latitudine nord e a 1.010 m sul livello del mare, lo strato di ghiaccio è oggi il 5.6 per cento più scuro rispetto allo scorso anno. Il motivo? Secondo il ricercatore è probabilmente dovuto ad una combinazione di tempeste di neve estive sempre più frequenti, con un incremento della polveretrasportata dal vento e della fuliggine. Il rischio più grande che si corre ora è che il trend possa dare inizio ad un ciclo di feedback a cascata legato al riscaldamento globale. Lo strato scuro infatti riduce sensibilmente l‘effetto albedo, ovvero la capacità di riflettere le radiazioni solari. Di conseguenza viene accelerato il processo di scioglimento del ghiaccio.

http://dorsogna.blogspot.it/

Fonte: Comune-info

https://www.ariannaeditrice.it/articoli/

26/11/2017

 

La plastica nelle viscere dell’Artico

di Maria Rita D’Orsogna

Fisico e docente all’Università statale della California, cura diversi blog

 

“Our data demonstrate that the marine plastic pollution has reached a global scale after only a few decades using plastic materials. It is a clear evidence of the human capacity to change our planet. This plastic accumulation is likely to grow further.” 

Andrés Cózar Cabañas, Universita’ di Cádiz, biologo

 

Se uno pensa all’Artico, pensa a una distesa di bianco, con magari il blu del mare, un orso polare che goffamente si incammina verso l’acqua, o qualche igloo. Nessuno pensa alla plastica. E invece, testimonianza ulteriore che l’inquinamento da plastica è ormai ovunque, si trovano pezzi di plastica galleggianti anche nei mari dell’oceano Artico, a meno di duemila chilometri dal polo nord, e in aree che fino a pochi anni fa non potevano essere raggiunte a causa degli enormi ghiacciai. Come ci è arrivata questa monnezza in Artico?

Facile: i nostri fiumi, più o meno inquinati, riversano plastica a mare. Questa plastica pian piano si diffonde in tutti i nostri mari e negli oceani di tutto il mondo. E arriva anche in Artico. Ma qui, una volta arrivata, la plastica si “congela” nei ghiacci della zona e può restarci per decenni. Finché non arrivano i cambiamenti climatici a sciogliere parti delle nevi perenni e a rimettere in circolazione la plastica magari di tanti anni fa. E cosi l’Artico diventa un accumulatore di rifiuti.

 

È la prima volta che interi pezzi di plastica sono visibili in Artico. E questo perché prima era tutto ghiacciato, coperto dalle nevi, e la navigazione difficile. E adesso che questi ghiacciai iniziano a sciogliersi, ecco che dall’Artico arrivano pezzi di polistirolo e monnezza di vario di genere in bella vista. A testimoniare il tutto è un articolo pubblicato da Science Advances in cui si dice chiaramente che l’Artico è una sorta di dead-end della plastica.

 

Una volta arrivata qui la plastica, non se ne va più. Nessuno sa esattamente quanta plastica ci sia, ma si calcola che potrebbero esserci 300 miliardi di pezzi, e che l’Artico potrebbe essere un concentrato ancora peggiore del Great Pacific Garbage Patch scoperto qualche anno fa.

 

Come sempre, è tutto non-biodegradabile e chissà da quanti anni questa roba era li, nascosta nel ghiaccio, chissà quanta altra ce n’è, e chissà fino a quando resteranno queste traccie della nostra “civilizzazione” in Artico. Come sempre, questi pezzi di plastica non riguardano solo l’Artico, i suoi orsi polari, le sue foche, le sue balene, ma noi tutti, perché la microplastica che ne deriva viene mangiata dai pesci entrando cosi nella catena alimentare, prima localmente e poi in modo globale, ed in ultima analisi nei nostri corpi.

 

La cosa triste è che la situazione peggiorerà: con lo scioglersi dei ghiacciai, arriveranno i pescherecci, le navi, il petrolio, e infrastruttura pesante di vario genere. Il fatto che la neve rilasci la plastica che ci si era accumulata dentro ha altri risvolti negativi: gli animali che non sanno di meglio possono morire mangiandola, o rimanendone intrappolati dentro. Pezzi di plastica sono visibili anche da isole varie dell’Artico, per esempio le isole dell’arcipelago di Svalbard (Norvergia) e l’isola di Jan Mayen (Norvegia) hanno le spiagge con vari residui di plastica che arriva, molto probabilmente, dall’Europa e dal Nord America. I tempi di “navigazione” variano, ma per arrivare dal Regno Unito a queste isole si calcola che che ci vogliono circa due anni.

 

Le isole dell’arcipleago di Svalbarg sono state studiate a fondo negli scorsi mesi. Qui un gruppo di scienziati olandesi della Wageningen Economic Research  Institute hanno raccattato 876 pezzi di rifiuti lungo per un totale di cento metri di costa. Sull’isola di Jan Mayen ne hanno invece trovato 575. Questi quantitativi sono più che la media sulle spiagge europee più a sud, proprio a causa del congelamento della plastica nelle nevi e delle correnti che fanno si che queste sostanze una volta arrivate in Artico, in Artico restano, congelate o non congelate.

 

Non si sa esattamente da dove arrivi questa enorme quantità di rifiuti, anche se si pensa che possa essere di origine europea e/o nordamericana. Molta della plastica infatti era troppo consumata per capire da dove venisse. Una parte erano residui di materiale da pesca, come reti o scotch per fissare le scatole del pescato suo pescherecchi. Circa l’8 per cento erano tappi di bottiglie.

 

Quanta plastica viene riversata a mare? L’equivalente di un camion ogni santo minuto, ogni santo giorno per un totale di 12 milioni di tonnellate l’anno.

 

Come proteggere l’Artico? Come proteggerlo dalla monnezza e dall’inquinamento che l’uomo porterà con se? E tutta questa plastica nascosta nei ghiacci, una volta sciolti i ghiacci, chi li recupererà per toglierli dalla circolazione? Come proteggere l’uomo da se stesso?

top