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20 febbraio 2017

 

Il ponte di fuoco tra Balcani e Medio Oriente

di Guido Dell'Omo

 

La Bosnia è uno degli hub principali per lo smistamento di armi in Medio Oriente; armi che ritroviamo nelle carneficine siriane e yemenite.

 

Un recente studio pubblicato dal BIRN (Balkan Investigative Reporting Network) avverte che dal 2012, anno dell’inasprimento delle “primavere arabe”, ad oggi, ai paesi dei Balcani sono state comprate armi per un valore di 1.2 miliardi di euro da Arabia Saudita, Giordania, Emirati Arabi Uniti e Turchia, molte delle quali smistate per poi essere usate nel conflitto siriano e in quello yemenita.

 

Secondo la Camera di commercio bosniaca per gli esteri, nel 2016 i produttori di armi nel paese hanno aumentato i loro profitti del 20% rispetto all’anno precedente. I dati della Camera mostrano che nel 2016 l’export di armi abbia raggiunto il valore di 87.4 milioni di euro, mentre nel 2015 l’introito complessivo ammontava a 70 milioni di euro. Le maggiori compagnie produttrici di armamenti hanno esportato i loro prodotti soprattutto in Egitto durante l’ultimo anno, ma subito dopo il più grande acquirente dell’equipaggiamento militare Made in Bosnia rimane l’Arabia Saudita, che si è guadagnata (comprata) di diritto il posto tra i migliori partner commerciali nel settore almeno dal 2014. Nel 2016 l’export militare della Bosnia ha raggiunto un valore che si aggira intorno ai 22.8 milioni di euro con l’Egitto, ai 17.2 milioni di euro con l’Arabia Saudita, mentre le esportazioni dirette verso gli Stati Uniti ammontano a 12.8 milioni di euro. Gli altri maggiori importatori di prodotti militari bosniaci – Serbia, Afghanistan, Turchia, Pakistan, Bulgaria, Svizzera e Malesia – hanno acquistato armi e munizioni per cifre che oscillano intorno ai 5 milioni di euro.

 

E’ il solito remare controcorrente tipico dell’atteggiamento quantomeno poco chiaro e contraddittorio della macchina europea.

 

Per la Bosnia il settore delle armi potrebbe rappresentare a tutti gli effetti uno dei pochissimi successi economici del paese degli ultimi anni. Muris Cicic, analista economico e professore alla School of Economics and Business di Sarajevo, ha riferito al BIRN che un progressivo aumento dell’export militare, continuando su questa strada, potrebbe aiutare anche le altre industrie del paese a crescere, divenendo in questo modo una vera e propria forza trainante della Bosnia. Va comunque detto che l’Arabia Saudita, tra i maggiori partner economici del paese balcanico, potrebbe diminuire, anche se relativamente, l’acquisto di armamenti a seguito dei flebili attacchi ricevuti dalla comunità internazionale per i crimini protratti nel conflitto in Yemen, ma difficilmente ci sarà un tracollo nel sempreverde settore della guerra e delle armi.

 

Sono stati rinvenuti molti dei prodotti provenienti dall’Est Europa e dall’Europa centrale nei territori di guerra tra Siria e Yemen e sono disponibili immagini che mostrano le armi assemblate nei paesi dei Balcani in mano a praticamente tutti gli schieramenti presenti sul territorio: ci sono prove che siano in mano all’Esercito di Liberazione Siriano dei cosiddetti “ribelli moderati” che tutt’altro che moderati si sono rivelati, al gruppo terroristico Ansar al-Sham, al ramo siriano di Al Qaeda, Jabhat al-Nusra, alle milizie dello Stato Islamico, alle fazioni pro-Assad che combattono per sostenere il legittimo presidente della Siria e alle milizie sunnite in Yemen. La frequenza dei voli cargo dall’aeroporto serbo Nikola Tesla verso le basi in Medio Oriente (ma soprattutto verso Gedda, seconda città dell’Arabia Saudita per estensione dopo la capitale Riyadh), sempre secondo le stime del BIRN, in numeri si traduce in 68 spedizioni aeree all’anno; gli aerei usati per il trasporto sono Ilyushin II-76 e possono trasportare 50 tonnellate di carico per viaggio. Per avere un’idea di cosa si stia parlando, il peso corrisponde a 16.000 Ak-47 o a tre milioni di munizioni. Non viene tralasciato neanche il trasporto via mare: secondo le medesime fonti infatti, dal 2015 navi militari statunitensi hanno trasportato, dal Mar Nero fino al Mar Rosso e particolarmente in Turchia, ben 4.700 tonnellate di armi e munizioni.

I leader europei hanno fatto di tutto negli ultimi anni per tentare di bloccare la strada percorsa dai migranti che tentavano e tentano tuttora di passare per i paesi balcanici sperando di mettere piede in qualche paese dell’Europa, settentrionale se possibile. Per riuscirci sono dovuti scendere a patti con Erdogan, il leader turco attualmente in preda ai suoi sogni neo-ottomani. Non si sono però preoccupati di mobilitarsi per fermare il commercio di armi che segue la medesima rotta balcanica che percorrono i migranti (con l’unica differenza che viene percorsa nella direzione opposta).

 

Il più grande acquirente dell’equipaggiamento militare Made in Bosnia rimane l’Arabia Saudita, che si è guadagnata (comprata) di diritto il posto tra i migliori partner commerciali nel settore almeno dal 2014.

 

E’ il solito remare controcorrente tipico dell’atteggiamento quantomeno poco chiaro e contraddittorio della macchina europea. Perché l’equazione è chiara: finché si esporteranno armi a sud, si importeranno migranti a nord. Oltretutto i leader dell’Unione dovrebbero essere a conoscenza dell’elevato numero di armi nei paesi balcanici. Come ricorda il sito sicurezzainternazionale.it il 19 gennaio del 2015 gli attentatori della redazione di Charlie Hebdo erano in possesso di “due pistole semi-automatiche di fabbricazione slovacca risalente al 1951-1964.” Mentre, durante gli attacchi del 13 novembre 2015, sempre a Parigi, sono stati usati “tre kalashnikov di assalto provenienti da Cina, Bulgaria e Serbia.” Forse è il caso di adottare qualche contromisura.

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