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29 luglio 2017

 

L’avamposto russo del Caucaso

di Giovanbattista Varricchio

 

Fra pochi giorni sarà il nono anniversario del conflitto dell'Ossezia del Sud, scatenato dalla rappresaglia georgiana contro una regione da sempre considerata filorussa: ecco cosa rimane oggi, come eredità, di quel conflitto. 

 

La tensione nel Caucaso torna torna a salire in queste settimane. Teatro delle divergenze in una delle regioni perennemente “calde” sia da un punto di vista socio-economico che geopolitico, torna ad essere l’area contesa dell’Ossezia del Sud, stato indipendente riconosciuto solo dalla Russia e da pochi altri stati membri dell’ONU tra cui Nicaragua e Venezuela. Per il resto del mondo la porzione di territorio ricadente sotto il nome di Ossezia del Sud non è altro che una parte della Georgia, la quale ha dichiarato in maniera unilaterale la sua indipendenza nel 1990 ed è – dal punto di vista dei georgiani e dell’Occidente – sotto occupazione russa. L’indipendenza dell’Ossezia meridionale, acquisita dopo un conflitto armato terminato grazie all’intervento di un’operazione di peacekeeping russa, non è mai stata accettata dalla Georgia, la quale ha altresì perso il controllo sulla Abkhazia.

Effettivamente in pochi avranno dimenticato i giorni del conflitto russo-georgiano nel 2008, dopo che la Georgia aveva tentato di invadere e riconquistare la piccola entità separatista. In risposta l’esercito della Federazione Russa aveva invaso il territorio georgiano usando come motivazione ufficiale la difesa dei molti cittadini russi nel territorio in questione (circa l’80% degli osseti ha anche cittadinanza russa). Sebbene l’intervento militare russo abbia in pochi giorni ottenuto un cessate il fuoco definitivo, la crisi politica era appena iniziata: onde garantire la sicurezza dei suoi cittadini e chiudere definitivamente alla Georgia la possibilità di unirsi alla NATO, la Russia ha dal 2008 riconosciuto ufficialmente come stati sia la Repubblica di Abkhazia sia quella dell’Ossezia del Sud. Un passo gravissimo dal punto di vista del diritto internazionale, e con tutta probabilità una vendetta per lo smacco subito lo stesso anno, quando larga parte del blocco occidentale aveva riconosciuto il Kosovo – illegalmente secesso dalla Serbia.

 

Un momento degli scontri tra esercito russo e georgiano nell’agosto del 2008

video: https://youtu.be/zUXSZRp0xCc

 

Da allora la Georgia, doppiamente mutilata della sua integrità territoriale e impossibilitata de facto a procedere nell’integrazione con la NATO e l’Unione Europea, non ha smesso di ingaggiare la Russia sul piano politico-diplomatico, continuando a richiedere ufficialmente il ritorno sotto la propria sovranità dei territori secessionisti. Proprio in queste settimane prosegue una campagna mediatica georgiana volta a denunciare come le truppe russe e ossete stiano gradualmente spostando il confine all’interno del territorio georgiano, guadagnando centinaia di metri. Anche Jens Stoltenberg, Segretario Generale della NATO, si unisce al coro rimarcando come l’Alleanza Atlantica non riconoscerà mai i due stati di Abkhazia e Ossezia. Accuse rispedite prontamente al mittente dal Ministero degli Esteri russo il quale le ha bollate senza mezzi termini come menzogne e provocazioni in vista dei futuri colloqui tra le parti nel conflitto. Anche dal punto di vista strettamente militare, la tensione tende a rimanere alta: il Ministero della Difesa russo rimarca come sotto il profilo dell’efficacia, l’operazione di peacekeeping in Ossezia del Sud sia da considerarsi come tra quelle di maggior successo al mondo.

 

Nel frattempo un’esercitazione militare congiunta su larga scala delle truppe russe si sta svolgendo in questi giorni in Ossezia del Nord,  col dispiegamento di migliaia di uomini proprio a ridosso della piccola repubblica separatista. Scopo dichiarato dell’esercitazione? Verificare e migliorare la prontezza al combattimento in quella regione. Chi ha orecchie per intendere, intenda.

 

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