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20/06/2017

 

Papa: don Mazzolari, un parroco convinto che i destini del mondo si maturano in periferia

 

Francesco si è recato a Bozzolo, non lontano da Mantova, legato alla  memoria del “parroco d’Italia”, prete scomodo del quale Paolo VI disse: «Camminava avanti con un passo troppo lungo e spesso noi non gli si poteva tener dietro! E così ha sofferto lui e abbiamo sofferto anche noi. E’ il destino dei profeti».

Un sacerdote, definito “il parroco d’Italia”, che “ha cercato di cambiare la Chiesa e il mondo attraverso l’amore appassionato e la dedizione incondizionata”. Così papa Francesco ha definito oggi don Primo Mazzolari (1890 – 1959), sacerdote scomodo, anticipatore di principi affermatisi nel Concilio Vaticano II, come la Chiesa dei poveri e il dialogo con i lontani. Di lui Paolo VI disse: «Camminava avanti con un passo troppo lungo e spesso noi non gli si poteva tener dietro! E così ha sofferto lui e abbiamo sofferto anche noi. E’ il destino dei profeti».

L’ha ricordato Francesco a Bozzolo, paese non lontano da Mantova, nel nord d’Italia, dove si è recato oggi proprio per rendere omaggio a don Mazzolari, che qui è sepolto. Da qui, più tardi, il Papa si recherà a Barbiana, vicino Firenze, legata alla memoria di un altro sacerdote scomodo, don Lorenzo Milani. “Oggi – ha detto al suo arrivo - sono pellegrino qui a Bozzolo e poi a Barbiana, sulle orme di due parroci che hanno lasciato una traccia luminosa, per quanto ‘scomoda’, nel loro servizio al Signore e al popolo di Dio. Ho detto più volte che i parroci sono la forza della Chiesa in Italia. Quando sono i volti di un clero non clericale, essi danno vita ad un vero e proprio ‘magistero dei parroci’, che fa tanto bene a tutti”.

Di don Mazzolari il Papa ha in particolare sottolineato proprio il suo essere parroco, lavorare cioè nel “luogo dove ogni uomo si sente atteso, un «focolare che non conosce assenze». Don Mazzolari è stato un parroco convinto che «i destini del mondo si maturano in periferia», e ha fatto della propria umanità uno strumento della misericordia di Dio, alla maniera del padre della parabola evangelica”.

“Nel suo scritto La parrocchia, egli propone un esame di coscienza sui metodi dell’apostolato, convinto che le mancanze della parrocchia del suo tempo fossero dovute a un difetto di incarnazione. Ci sono tre strade che non conducono nella direzione evangelica:

La strada del ‘lasciar fare’: è quella di chi sta alla finestra a guardare senza sporcarsi le mani. Ci si accontenta di criticare, di «descrivere con compiacimento amaro e altezzoso gli errori» del mondo intorno. Questo atteggiamento mette la coscienza a posto, ma non ha nulla di cristiano perché porta a tirarsi fuori, con spirito di giudizio, talvolta aspro. Manca una capacità propositiva, un approccio costruttivo alla soluzione dei problemi.

Il secondo metodo sbagliato è quello dell’’attivismo separatista’. Ci si impegna a creare istituzioni cattoliche (banche, cooperative, circoli, sindacati, scuole...). Così la fede si fa più operosa, ma – avvertiva Mazzolari – può generare una comunità cristiana elitaria. Si favoriscono interessi e clientele con un’etichetta cattolica. E, senza volerlo, si costruiscono barriere che rischiano di diventare insormontabili all’emergere della domanda di fede. Si tende ad affermare ciò che divide rispetto a quello che unisce. E’ un metodo che non facilita l’evangelizzazione, chiude porte e genera diffidenza.

Il terzo errore è il ‘soprannaturalismo disumanizzante’. Ci si rifugia nel religioso per aggirare le difficoltà e le delusioni che si incontrano. Ci si estranea dal mondo, vero campo dell’apostolato, per preferire devozioni. E’ la tentazione dello spiritualismo. Ne deriva un apostolato fiacco, senza amore. «I lontani non si possono interessare con una preghiera che non diviene carità, con una processione che non aiuta a portare le croci dell’ora». Il dramma si consuma in questa distanza tra la fede e la vita, tra la contemplazione e l’azione”.

“Tante volte – ha detto più avanti - ho detto che il pastore deve essere capace di mettersi davanti al popolo per indicare la strada, in mezzo come segno di vicinanza o dietro per incoraggiare chi è rimasto dietro (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 31). E don Primo scriveva: «Dove vedo che il popolo slitta verso discese pericolose, mi metto dietro; dove occorre salire, m’attacco davanti. Molti non capiscono che è la stessa carità che mi muove nell’uno e nell’altro caso e che nessuno la può far meglio di un prete». Con questo spirito di comunione fraterna, con voi e con tutti i preti della Chiesa in Italia, voglio concludere con una preghiera di don Primo, parroco innamorato di Gesù e del suo desiderio che tutti gli uomini abbiano la salvezza:

«Sei venuto per tutti:
per coloro che credono
e per coloro che dicono di non credere.
Gli uni e gli altri,
a volte questi più di quelli,
lavorano, soffrono, sperano
perché il mondo vada un po’ meglio.
O Cristo, sei nato ‘fuori della casa’
e sei morto ‘fuori della città’,
per essere in modo ancor più visibile
il crocevia e il punto d’incontro.
Nessuno è fuori della salvezza, o Signore,
perché nessuno è fuori del tuo amore,
che non si sgomenta né si raccorcia
per le nostre opposizioni o i nostri rifiuti».

 

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