Originale: The Guardian

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14 dicembre  2017

 

Non possiamo continuare a mangiare in questo modo

di George Monbiot

Traduzione di Maria Chiara Starace

 

La Brexit, l’annientamento della democrazia da parte dei miliardari; il successivo crollo finanziario, un presidente canaglia negli Stati Uniti: nulla di tutto questo mi tiene sveglio di notte, e non perché non mi importi; mi importa moltissimo. E’ soltanto perché ho una domanda più grossa in mente. Da dove arriverà il cibo?

 

A metà secolo ci saranno altri due o tre miliardi di persone sulla terra. Ognuno dei problemi che sto per elencare potrebbe contribuire ad accelerare l’inedia di massa. E questo prima di considerare come potrebbero interagire.

 

Il problema comincia dove comincia ogni cosa: con il suolo. La famosa proiezione dell’ONU che, con gli attuali tassi di perdita del suolo al mondo rimangono 60 anni di raccolti sembra che sia appoggiata da un nuovo insieme di cifre. In parte come conseguenza del degrado del suolo, i raccolti stanno già diminuendo sul 20% dei terreni coltivabili del mondo.

 

Consideriamo ora la perdita di acqua. In luoghi come la Pianura della Cina settentrionale, gli Stati Uniti centrali, la California e l’India nord-occidentale, che sono tra le regioni del mondo con maggiore criticità per le coltivazioni, i livelli dell’acqua freatica usata per irrigare le coltivazioni, stanno già raggiungendo un punto di crisi. L’acqua nella falda acquifera del Gange Superiore, per esempio, sta venendo ritirata 50 volte di più del suo tasso di ricaricamento. Però, per stare al passo con la richiesta di cibo, gli agricoltori nell’Asia Meridionale prevedono di usare tra una quantità di acqua maggiore, compresa  tra l’80% e il 200% entro il 2050. Da dove arriverà?

 

Il successivo limite  è la temperatura. Uno studio indica che, a parità di tutte gli altri fattori, con ogni grado Celsius di riscaldamento, il raccolto globale di riso diminuisce del 3%, quello del grano del 6% e del mais del 7%. Questa potrebbe essere una previsione ottimistica. Una ricerca pubblicata sulla rivista Agricultural & Environmental Letters ha scoperto che il 4° C nella zona di coltivazione dei cereali negli Stati Uniti, potrebbe ridurre i raccolti di granoturco dell’84%-100%.

 

Il motivo è che le alte temperature notturne disturbano il processo di impollinazione. Questo, però, descrive soltanto una componente della probabile crisi dell’impollinazione. Lo sterminio degli insetti, causato dall’utilizzo globale di pesticidi scarsamente testati, provocherà il resto. Ora, in alcune parti del mondo, i lavoratori stanno già impollinando a mano le piante. Questo è, però, fattibile, soltanto per le colture più costose.

 

Ci sono poi i fattori strutturali. Poiché i piccoli coltivatori tendono a usare più manodopera, a coltivare una più ampia gamma di colture  e a lavorare la terra con più cura, di solito coltivano più cibo per ettaro rispetto ai grossi agricoltori. Nelle regioni più povere del mondo, le persone che hanno meno di 5 ettari, possiedono il 30% del terreno agricolo, ma producono il 70% del cibo. Fin dal 2000, un’area di terreno fertile grosso modo grande grosso modo il doppio del Regno Unito, è stata presa dagli accaparratori di terre, e trasformata in grandi aziende agricole che in generale producono raccolti per l’esportazione invece che il cibo di cui hanno bisogno i poveri.

 

Mentre accadono questi molteplici disastri sulla terra, i mari vengono setacciati di tutto, tranne che della plastica. Malgrado un massiccio aumento di sforzi (imbarcazioni più grandi, motori più grandi, più attrezzature), la pesca in tutto il mondo sta diminuendo più o meno dell’1% all’anno, mentre le popolazioni si riducono. L’accaparramento globale della terra si rispecchia in un accaparramento del mare: piccoli pescatori sono soppiantati dalle grosse aziende che esportano il pesce per coloro che ne hanno meno bisogno, ma che pagano di più. Circa 3 miliardi di persone dipendono in gran parte dal pesce e dalle proteine dei crostacei. Da dove arriverà?

 

Tutto questo sarebbe sufficientemente duro, ma mentre crescono i redditi della gente, la loro dieta tende a spostarsi dalle proteine vegetali a quelle animali. La produzione mondiale di carne si è quadruplicata in 50 anni, ma il consumo medio mondiale è ancora soltanto la metà di quello del Regno Unito – dove ogni anno mangiamo grosso modo l’equivalente del nostro peso corporeo in carne  – e soltanto un poco più di in terzo del livello degli Stati Uniti. A causa del modo in cui mangiamo, il footprint del   del terreno coltivato del Regno Unito (cioè la terra necessaria a soddisfare la nostra richiesta ) è 2,4 volte le dimensioni della sua area agricola. Se tutti aspirano a questa dieta, come la soddisfiamo?

 

Lo sperpero nell’allevamento di bestiame è sorprendente. Già il 36% delle calorie che contenute nel grano e nei legumi, e il 53% delle proteine, vengono usate per alimentare gli animali da fattoria. Due terzi di questo cibo vanno perduti nella trasformazione da pianta ad animale. Un grafico elaborato dal sito web Our World in Data (Il nostro mondo in dati) indica che, in media, si ha bisogno di 0,01mq di terreno per produrre un grammo di proteine da fagioli o da piselli, ma 1m2 per produrre un grammo dai bovini o dalle pecore: una differenza di 100 volte.

 

E’ vero che gran parte della terra adibita a pascolo, occupata da bovini e pecore, non può essere usata per produrre i raccolti. Avrebbe peraltro dato sostentamento alla fauna selvatica e mantenuto gli ecosistemi. Invece le paludi vengono prosciugate, gli alberi vengono abbattuti e le piantine che restano vengono brucate, i predatori sono sterminati, gli erbivori selvaggi vengono messi nei recinti e altre forme di vita sono gradualmente cancellate quando si intensificano i sistemi di pascoli. Luoghi stupefacenti, come le foreste pluviali del Madagascar e del Brasile, sono devastate per fare spazio a un numero ancora maggiore di bovini.

 

Dato che non c’è abbastanza terra per soddisfare sia la necessità che la golosità, una transizione globale al consumo di carne animale significa strappare il cibo  dalla bocca dei poveri. Significa anche l’uccisione ecologica di quasi ogni angolo del pianeta.

 

Il cambiamento delle diete sarebbe impossibile da sostenere anche se non ci fosse l’aumento della popolazione umana. Però, maggiore è il numero delle persone, maggiore fame di carne verrà causata. In base a una linea guida del 2010, l’ONU ipotizza che il consumo di carne aumenterà del 70% entro il 2030 (è tre volte il tasso di crescita della popolazione umana. In parte come conseguenza, la richiesta globale di raccolti dovrebbe raddoppiare (da uno standard del 2005) entro il 2050. La terra necessaria per coltivarli, non esiste.

 

Quando dico che questo mi tiene sveglio di notte, lo dico sul serio. Sono tormentato da visioni di persone che patiscono la fame  che cercano di scappare da grigi deserti  e che vengono respinte dalla polizia armata. Vedo gli ultimi ricchi ecosistemi uccisi e l’ultima  grade fauna globale – leoni, elefanti, balene e tonni che svanisce. E quando mi sveglio, non riesco a convincermi che era soltanto un incubo.

 

Altre persone hanno sogni diversi: la fantasia di una frenesia alimentare che non deve mai finire, la favola di conciliare la continua crescita economica con un mondo che vive. Se il genere umano si muove a spirale verso un crollo della società, questi sogni ne saranno la causa.

 

Non ci sono risposte facili, ma il cambiamento fondamentale è lo spostamento da una dieta animale a una dieta basata su prodotti vegetali. Lasciando tutto il resto uguale, smettendo sia la produzione di carne che l’uso delle coltivazioni da cui ricavare i biocarburanti, si potrebbero fornire calorie sufficienti per altri 4 miliardi di persone e raddoppiare le proteine disponibili per il consumo da parte delle persone. La carne artificiale può essere utile: una ricerca  suggerisce che questa riduce l’uso dell’acqua almeno dell’82% e quello della terra del 99%.

 

La prossima Rivoluzione Verde non sarà come quella passata. Non conterà sul malmenare la terra fino a ucciderla, ma sul riconsiderare il modo in cui la usiamo e il perché. Possiamo farlo, oppure noi – la gente più ricca che sta consumando il pianeta vivente – troveremo la morte di massa più facile da considerare che  invece  cambiare la nostra dieta?

 


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/we-cant-keep-eating-like-this

 

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