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22 dicembre 2017

 

Sharing economy a chi?

di Alessio Trabucco

 

L'economia digitale, cavallo di battaglia dei cantori liberisti, conduce al monopolio delle grandi multinazionali: solita e cristallina logica da laissez-faire.

 

Problemi nei fortini del progresso. Amazon e Uber stanno affrontando questioni di non poco conto che spiegano come sia possibile, in un mondo globalizzato iper-competitivo, battere la concorrenza a suon di prezzi vantaggiosi e offerte imperdibili. Peccato che alla fine ci si sveglia un giorno per scoprire che la legge bussa alla porta e dietro di lei chi vanta le ferite da cui è stato succhiato il sangue della competizione: i lavoratori. Amazon ha visto scioperi in Germania e in Italia, nello stabilimento di Piacenza. I lavoratori, attraverso i sindacati, chiedono migliori condizioni di lavoro e salari adeguati al poderoso aumento di ricavi registrato dal 2010. Niente da fare, i manager propongono premi natalizi, si schermano dietro sconti per prodotti Amazon, corsi di formazione gratuiti in seno all’azienda, tutto pur di non aumentare le paghe nonostante gli ottimi guadagni. Allora viene indetto lo sciopero durante il Black Friday, in dolby surround con i colleghi oltralpe. Richiesto un incontro in prefettura, i manager non si presentano a causa della “troppa pressione” e vedono per tutta risposta indire un ulteriore sciopero.

Vicenda ancor più interessante, per non dire emblematica, è quella di Uber. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha sentenziato che Uber è un servizio di trasporti e deve quindi adattarsi alle norme salariali, contrattuali, sindacali e di sicurezza dei paesi Ue, concordando con ciascuno di questi le condizioni per agire nel mercato. La sentenza ha fatto scalpore, Uber si difendeva sostenendo di essere solo una piattaforma digitale che mette in contatto chi possiede un’auto e chi cerca un passaggio, tanto più che le auto Uber non sono di Uber: come può un’azienda di trasporti non possedere mezzi di trasporto? Può benissimo. Mentre BlaBlaCar è sì una piattaforma e nulla più – i prezzi vengono decisi da ciascun offerente e il pagamento viene effettuato direttamente a questo – Uber decide i prezzi, incassa i pagamenti girandoli agli autisti e controlla tutto quanto accade sul territorio. Purché non si cada nell’equivoco della sharing economy, che con Uber non c’entra niente, si intravede anche un sottile avanzamento del capitalismo: io Uber ci metto la piattaforma, le informazioni e relativa gestione, tu autista ci metti sia il lavoro che il capitale. Alla fine ti prendi quello che decido ti spetti e il resto lo trattengo io. Un meccanismo predatorionei confronti della concorrenza e ai limiti del ricattatorio verso i lavoratori, da un’azienda valutata 70 miliardi di dollari.

La sentenza giunge dopo la batosta UberPop, o UberX a seconda del paese, il servizio del tutto volontario e sporadico, à la BlaBlaCar, di “strappi” organizzati dal software, dichiarato illegale in molti paesi perché di fatto equiparabile a un servizio taxi ma senza il rispetto di alcuna norma in materia, non essendo gli autisti tali di professione. Tra le buone notizie in casa Uber, Volvo ha siglato un accordo secondo il quale consegnerà 24mila auto che si guidano da sole a partire dal 2019. A voler fare una battuta, si direbbe che se gli autisti stanno creando diversi problemi all’azienda e i tribunali con loro, basta eliminarli e così sarà fatto. App, software raffinati, finanza digitale, automazione, shakera bene e te ne vai a spasso con pochi spicci in un’auto senza autista. A parte che viene da chiedersi: se tutte le aziende eliminano i lavoratori sostituendoli con robot e mezzi automatici, conservando per sé solo tecnici, progettisti e dirigenti, tutti i prodotti e i servizi immessi nel mercato chi li compra e con quali soldi?

La vera domanda oggi, osservando questa carrellata di eventi, è però un’altra: possibile che i giganti della new economy e commentatori e analisti appresso a loro, tutti di dichiarata fede liberista, non abbiano capito qual è il segreto del liberismo? Eppure è scritto in qualsiasi manuale, basta aprirne uno. Posto che il mercato, in libera concorrenza di tutti gli agenti che vi operano, garantisce la maggiore efficienza nonché la maggiore equità per tutti, compito dell’autorità è proprio quello di rimuovere tutti gli ostacoli alla libera concorrenza, altrimenti il mercato diventa una giungla in cui pochi sbranano e a dozzine vengono sbranati.

Vale a dire, niente posizioni dominanti, niente monopoli, niente barriere all’ingresso, niente strategie di prezzi predatori: ad Amazon e Uber già fischiano le orecchie. Si chiami un esorcista per chi difende questi colossi pensando di difendere la libertà di iniziativa economica, è il contrario: i cari vecchi liberisti predicavano la libera iniziativa e l’intervento dello Stato proprio per tutelarla, non per castrarla. Ma oggi chi può davvero minacciare la libertà di azione in un mercato: lo Stato che lo regola o un’azienda che vale più di 500 miliardi di dollari e controlla tutta la filiera? Hayek, fosse vivo, scaglierebbe anatemi contro Jeff Bezos.

 

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