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Martedì 31 gennaio 2017

 

Il bersaglio sbagliato

di Marco Aime

 

La Brexit, l’elezione di Donald Trump, l’ascesa di Marine Le Pen sono segnali con un elemento di fondo in comune. Si tratta del progressivo impoverimento del ceto medio a causa della sempre maggiore concentrazione di ricchezze nelle mani di poche persone. Questo aumento sempre più evidente delle diseguaglianze economiche e sociali porta a una sempre più evidente sfiducia in chi ci governa. Sfiducia che si manifesta con l’astensione dal voto e la penalizzazione dei tradizionali partiti politici a favore dei vari populismi.

C’è però un altro dato che dobbiamo rilevare, rispetto a questa situazione di vuoto ideologico, in cui ciascuno naviga a vista (e spesso la vista è molto corta): l’individuazione del nemico. Infatti, un altro elemento comune è la paura dello straniero. Declinata in forme diverse, dagli slogan esplicitamente xenofobi di alcuni leader politici all’erezione di veri e propri muri, fino alla retorica infingarda dell’«aiutiamoli a casa loro», rimane però costante la lettura dello straniero come causa della crisi che attraversa l’Europa tutta.

Nessuno che manifesti irritazione contro le banche d’investimento e le società di borsa che nel 2008 hanno causato la perdita di sei milioni di posti di lavoro, nessuno che indichi nel folle modello economico che continuiamo a perseguire e alimentare la vera causa di questo impoverimento. Un po’ ottimisticamente, dopo la crisi del 2008, avevamo creduto che forse sarebbe stata l’occasione buona per ripensare questa deriva finanziaria in cui è solo il denaro a produrre denaro e non il lavoro. Un denaro peraltro “finto”, poiché sappiamo che per ogni sette dollari scambiati nelle principali banche del mondo, solo uno è “reale”, gli altri sono solo promesse. Invece no, tutti i governi sono corsi a salvare le banche, quelle stesse cha hanno affamato milioni di persone, e poi, come se nulla fosse accaduto, tutto è ricominciato come prima.

Non ci si indigna per questo furto, per questo imbroglio continuo, ma per gli stranieri sì: loro sono i colpevoli della nostra crisi, è da loro che dobbiamo difenderci. Sta creandosi un terreno quanto mai fertile per le nuove pulsioni razziste.

Politici folli e scriteriati continuano ad additare chi fugge da una povertà ben peggiore della nostra, indicandolo come responsabile. Un bersaglio facile, disarmato, tanto più se si ha come alleato una informazione che regge il gioco, che non dice mai la verità o non la dice mai del tutto. Ecco allora la retorica nel «prima noi», «fuori gli stranieri», e la politica della discriminazione e dell’esclusione, che torna di moda. Soffiando sul fuoco del disagio, quei politici fanno risvegliare vecchi spiriti, che speravamo scomparsi. Non è così, occorre stare molto attenti, la trappola è pronta e sembra quasi che non vogliamo vederla.

Se proprio non possiamo fare a meno di costruire muri, costruiamone almeno uno intorno a Wall Street.

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