Fonte: La Colmena

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Gen 30, 2017

 

Il 2017, l’anno dei grandi cambiamenti negli equilibri globali

di Andrés Piqueras

UJI Observatorio Internacional de la Crisis

Traduzione di Juan  Manuel De Silva

 

Quando si vive il declino di una forma di produzione ed inoltre un cambiamento di civilizzazione, come è nel nostro caso, qualsiasi anno fornisce un vulcano di accadimenti. Quasi nessuno rimane stabile. Questo nuovo anno non andrà a deludere in questo senso. Le falde tettoniche che tendono a rompere la unipolarità politico-economica mondiale si andranno a muovere per loro conto.

Quello che è il sostenuto rovescio alla spinta per la globalizzazione, ad esempio, sta registrando notevoli episodi. Fino ad ora, portare a compimento la globalizzazione dal dominio unipolare ha avuto il significato di mettere tutti gli strumenti globali ((FMI, Banca Mondiale, OMC, Foro di Davos, G7-20…) al servizio degli USA e dei suoi satelliti (UE, Giappone, Canada, Australia….). Questo significava semplicemente una ” forma postmoderna” di praticare l’imperialismo.

Tuttavia l’irruzione economica e politica della Cina ha fatto cambiare le cose (apparentemente). Tanto che la superpotenza nordamericana ha dovuto retrocedere (in parte) dal suo progetto espansivo, “globalizzatore”.

 

Già aveva fatto abortire il vertice di Doha, segnalato come fatto di estrema gravità alla stessa OMC (Organizzazione Mondiale del Commercio). Adesso inizia a ritirarsi dai trattati con cui aveva vincolato una buona parte del mondo per fare in modo che le multinazionali USA (ed in secondo piano le proprie collaterali) potessero sfruttare le risorse del pianeta senza ostacoli. Adesso si capisce che non è lo stesso praticare il libero mercato con coloro che non possono conpetere con la superpotenza e con chi è più forte. Allora in quel caso la super potrenza preferisce il protezionismo senza infingimenti.

La Storia moderna ci dimostra che all’interno del sistema mondiale dominato dall’Asse Anglosassone fin dal 1700, la multipolarità si è sempre gestita attraverso il confronto politico-economico e, alla fine, militare.

Per adesso il sistema finanziario ha iniziato a condividere l’importanza dello yuan, che si apprezza nella stessa proporzione in cui la Cina ha iniziato a disfarsi delle riserve di moneta straniera e di buoni del Tesoro statunitensi. Visto l’attuale stato delle cose, la logica porterebbe costituire un nuovo sistema finanziario internazionale appoggiato su una borsa di monete in cui il dollaro dovrebbe rinunciare a parte del suo peso. A questo la superpotenza USA potrà resistere per più o meno tempo, tuttavia presto o tardi, la tendenza logica è che si affermino le monete ancorate all’energia ed all’economia produttiva.

Tanto le une come le altre già non si trovano nell’Asse Anglosassone. Sono presenti in Asia e soprattutto nell’Asse cinese-Russo.

Si sta cercando di costruire un’altra globalizzazione, che invece di essere basata sullo sfrenato gioco finanziario, sulla speculazione, sulla rapina delle risorse mondiali, con la moltiplicazione dei tagli sociali e dei piani di riaggiustamento, invece di una globalizzazione dei “paradisi fiscali” e del capitale fittizio, l’altra globalizzazione proprozioni un sistema energetico -produttivo, multipolare. Si tratterebbe di formare tutta una gande area transintegrata economicamente mediante una nuova “via della seta”. Ed in quella si include l’Unione Economica Euroasiarica, con l’India e la su azona di influenza, ma anche il Brasile-Argentina e la UNASUR-Celac. il SudAfrica e l’Unione Africana.

Una rete di paesi con una moneta internazionale basata sullo yuan e su una cesta di monete BRICS, con una Banca delle Infrastrutture e Sviluppo, un Fondo Monetario di Supporto, un sistema stesso di compensazione di intercambio, un piano di infrasrutture e sviluppo che molto presto arriverà all’Inghilterra con un treno merci di alta velocità.

La resistenza a questo scenario può arrecare un tentativo di implementare una nuova cortina di acciaio da parte degli USA contro la Cina. Fino ad ora la fazione globalista finanziaria del potere statunitense ha mantenuto una “relazione cordiale ” con la Cina per causa precisamente degli accordi finanziari che legano Cina e USA. Questo mentre che si affrontava la Russia per privarla del suo potere energetico. Di fatto, non contento con l’implosione dell’URSS, l’Impero USA ha cercato di disgregare e destabilizzare anche questo paese in diverse regioni (Cecenia, Georgia, Ossetia, Ucraina, Arzebaygian…) assediando economicamente e sospingendo la NATO sulle sue porte di casa.

Tuttavia, con l’arrivo di Trump, si può intendere che la fazione “nazionalista” dell’imperialismo classico, ha assunto temporaneamente e parzialmente rilevanza di potere, per cercare di tornare ad una certa forma di economia produttiva. La cosa richiede, tra le altre misure, la re-istituzionalizzazione della legge Glass-Steagall per debilitare strutturalmente la fazione finaziaria globalista, ed impedire che la banca finaziaria di investimenti possa esistere e sostenere le reti finanziarie globali.

Tuttavia le cose non si presentano facili per questo blocco dipotere.

Un aumento della spesa pubblica in infrastrutture e nell’invertire le delocalizzazione delle gandi imprese, richiederà una maggiore domanda di materie prime e la concorrenza con la Cina a mezzo sua procura. Cosa che provocherà la salita dei prezzi delle materie prime e dell’energia. Questo, a sua volta, metterà in serie difficoltà l’economia USA, visto che le sue riserve di oro sembrano essere scarse (per quanto la FED non ne dia notizia) e la credibilità del dollaro potrebbe cadere a picco. In questo conflitto per la materie prime è evidente che si andrebbe a rintrodurre a forza la dottrina Monroe, visto che gli USA hanno sempre considerato come “proprie” le risorse dell’insieme del Continente americano. Brutti tempi, per quello, arriveranno per l’altra America che qualcuno graziosamente ha denominato “latina”. Questo processo potrebbe intaccare la credibilità del dollaro e riflettersi negativamente sull’economia USA e di riflesso su quella mondiale, con effetti perversi sui tassi di interesse e sugli investimenti. Gli interessi in gioco sarebbero enormi e le forze presenti a Wall Street nel potere finanziario non rimarrebbero inerti ad assistere ad un grande calo dei loro profitti. Questo tuttavia è un capitolo che andrebbe  approfondito .   (…………………….)

Il dilemma per l’Amministrazione USA sarebbe quello se risolvere una guerra sociale interna o scatenare una guerra economica contro l’Asse russo-cinese , e questo non sembra avere una soluzione chiara. Le fazioni di potere statunitiensi stanno svolgendo una feroce battaglia intorno a questo. Al momento, la nuova impostazione verso la Russia proposta da Trump significa che la sua fazione di potere cerca di attrarre questo paese per rompere l’asse -Russo-cinese, approfittando che la Russia dispone di risorse energetiche e non è in competizione con gli USA nell’ambito produttivo. Inoltre imprese come Exxon- Mobil mantengono forti investimenti nella Federazione Russa ed interessi comuni per esplorare l’Artico (si, il capitalismo non va a trattenere il suo impulso distruttivo planetario con qualunque cosa abbia di fronte).

In questo modo, i cambiamenti tellurici in corso ci stanno facendo assistere al grande paradosso di vedere un presidente nordamericano che inalbera il protezionismo, nel momento in cui il primo leader cinese (di un paese retto dal maggior partito comunista del mondo) difende il libero mercato a Davos.

In questo gioco al rovescio ci sono due aspetti chiave per calibrare l’oscillazione del peso mondiale: l’India (che presto si trsformerà in un nuovo gigante economico) e la UE, che nella sua decadenza già non può essere leader di nulla ma il cui peso continua ad essere decisivo per la bilancia di potere mondiale. La sottomissione all’Asse Anglosassone (che fino ad oggi hanno mantenuto i mandatari europei), significherà di sicuro la definitiva implosione della UE.  Collegarsi al contrario al mondo energetico -produttivo di una forte Eurasia, sarebbe l’ultima possibilità che ha l’Europa di realizzare un atterraggio più dolce nella nuova era – della post crescita.

 

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30 de enero de 2017

 

2017, el año en que el mundo acelera su cambio

di Andrés Piqueras

 

Cuando se vive el declive de un modo de producción y además un cambio civilizatorio, como es nuestro caso, cualquier año depara un volcán de sucesos. Casi nada permanece estable.

 

Este nuevo año no decepcionará en ese sentido. Las capas tectónicas que tienden a romper la unipolaridad político-económica mundial van a moverse lo suyo.

 

El sostenido revés al impulso globalizador, por ejemplo, está teniendo notables episodios. Hasta ahora, llevar a cabo la globalización desde la unipolaridad ha significado poner todos los instrumentos globales (FMI, Banco Mundial, OMC, Foro de Davos, G7-20…) al servicio de EE.UU. y de sus adláteres (UE, Japón, Canadá, Australia…). Es decir, se trataba simplemente de una “forma postmoderna” de practicar el imperialismo.

 

Pero la irrupción económica y política de China ha hecho cambiar las cosas. Tanto que la superpotencia norteamericana ha reculado en su proyecto expansivo, “globalizador”. Ya hizo abortar la Ronda de Doha tocando de gravedad a la propia OMC. Ahora comienza a retirarse de los Tratados con los que tenía atado a buena parte del mundo para que sus transnacionales (y en segundo plano, las de sus adláteres) pudieran exprimir la riqueza del planeta sin obstáculos. Ya se sabe, no es lo mismo practicar el “libre mercado” con quienes no pueden competir contigo que con quien te supera. Entonces los poderosos prefieren sin disimulos el proteccionismo.

 

Y es que la historia moderna nos muestra que dentro del sistema mundial dominado por el Eje Anglosajón desde 1700, la multipolaridad sólo se ha manejado a través de la confrontación político-económica y, al fin, militar.

 

Por ahora, el sistema financiero ha empezado a compartir la importancia del yuan, que se aprecia en la misma proporción en que China ha comenzado a deshacerse de las reservas de moneda extranjera y de bonos estadounidenses. Dado el actual estado de cosas, la lógica sistémica llevaría a levantar un nuevo entramado financiero internacional apoyado en una bolsa de monedas en la que el dólar perdiera parte de su peso. A esto puede la superpotencia resistirse más o menos tiempo, pero tarde o temprano la tendencia “lógica” es a que primen las monedas ancladas a la energía y a la economía productiva.

 

Tanto la una como la otra ya no están en el Eje Anglosajón. Sino en Asia, y sobre todo en el Eje chino-ruso.

 

Éste está intentando construir otra globalización, que en vez de estar basada en el desenfreno financiero, la especulación, la rapiña de recursos mundiales, la multiplicación de recortes sociales y planes de ajuste, “paraísos fiscales” y capital ficticio, proporcione un entramado energético-productivo, multipolar. Toda un área transcontinental integrada económicamente mediante una nueva “Ruta de la Seda”. E n ella se incluye la Unión Económica Euroasiática, con India y su zona de influencia, pero también Brasil-Argentina y la Unasur-Celac, Sudáfrica y la Unión Africana. Una red con moneda internacional centrada en el yuan y la canasta de monedas BRICS, con un Banco de Infraestructura y Desarrollo, un Fondo de Fomento, un sistema propio de compensación de intercambio, un plan de infraestructura y desarrollo que muy pronto llegará a Inglaterra con un tren de mercancías de alta velocidad.

 

La resistencia a ese escenario puede acarrear el intento de implantación de un nuevo telón de acero por parte de EE.UU. contra China. Hasta ahora la facción globalista financiera del poder estadounidense ha mantenido una “entente cordiale” con China debido precisamente al entramado financiero que le une a ella. Mientras que enfrentaba a Rusia para arrebatarla su poderío energético. De hecho, no contento con la implosión de la URSS, ha intentado disgregar y desestabilizar también a ese país por diferentes lugares (Chechenia, Georgia, Osetia, Ucrania, Azerbaiyán…), asediándola económicamente y empujando a la OTAN a las mismas puertas de su casa.

 

Pero la subida de Trump significa que la facción “nacionalista”, de imperialismo clásico, ha asumido temporal y parcialmente el relevo de poder, para intentar volver a cierta economía productiva. La cual requiere, entre otras medidas, la re-institucionalización de la Ley Glass Steagall para debilitar estructuralmente a la facción financiera global, al impedir que la banca financiera de inversión pueda existir y sustentar a las redes financieras globales.

 

Sin embargo, las cosas no se le presentan fáciles a este bloque de poder. Un aumento del gasto público en infraestructura y en revertir la deslocalización empresarial, requerirá una mayor demanda de materias primas y la competencia con China por su procura. Lo cual provocará la subida de los precios de las materias primas y la energía. Esto, a su vez, pondrá en serios aprietos a la economía estadounidense, dado que sus reservas de oro parecen ser muy escasas (aunque hace tiempo que contraviniendo todos los acuerdos internacionales, la FED no da noticia de las mismas) y la credibilidad del dólar puede caer en picado. En ese conflicto por las materias primas es evidente que la doctrina Monroe se va a reintroducir con fuerza, pues EE.UU. siempre ha considerado “suyos” los recursos del conjunto del continente americano. Malos tiempos, por ello, para esa otra América que alguien graciosamente llamó “latina”.

 

Con respecto a la credibilidad del dólar, la economía estadounidense está en una coyuntura de doble negatividad. El proyecto reindustrializador requiere de aumentos de la tasa de interés del dinero para atraer las inversiones extranjeras. Eso haría subir el dólar. Pero rompe la economía doméstica (en un país en el que las hipotecas afectan al 80% del valor de las propiedades): la deuda de los hogares y la deuda pública se hacen impagables. Un dólar fuerte permitiría disponer de dinero para inversiones, pero no para exportarlas. ¿Significaría esto mayor aislamiento norteamericano? Pero sin EE.UU. como principal comprador planetario, el sistema mundial capitalista queda gravemente herido.

 

Por otra parte, un dólar débil implica en alguna medida el desinflamiento del complejo Wall-Street y la pérdida del papel global de esta moneda. Y si el dólar deja de hacer las veces de moneda mundial y pierde su ventaja de señoreaje, la economía estadounidense quedará a medio plazo convertida en una economía de medio rango. De hecho, los monstruosos niveles de deuda que mantiene sólo son posibles dado aquel papel del dólar, el cual a su vez sólo es viable por el poderío militar estadounidense.

 

Dólar fuerte – dólar débil. Ahí se juega la partida, en suma. Y la línea de equilibrio para la economía norteamericana es extremadamente delgada (de rebote lo es para la economía capitalista en su conjunto, que mantiene un parecido atolladero).

 

Su dilema entre solventar la guerra social interna o la guerra económica contra el Eje chino-ruso, no parece tener una solución clara. Las facciones de poder estadounidenses están librando una feroz batalla en torno a ello.

 

De momento, el giro hacia Rusia propuesto por Trump quiere decir que su facción de poder busca atraer a ese país para romper el eje chino-ruso, aprovechando que Rusia tiene energía y no compite con EE.UU. en el ámbito productivo. Además, empresas como Exxon-Mobil mantienen fuertes inversiones en la Federación Rusa e intereses comunes para explorar el Ártico (sí, el capitalismo no se va a detener en su pulsión destructiva planetaria esté quien esté al frente).

 

De esta forma, los cambios telúricos en curso nos están haciendo asistir a la gran paradoja de ver a un presidente norteamericano enarbolando el proteccionismo, al tiempo que el primer líder chino (de un país que es regido por el mayor partido comunista del mundo) defiende el “libre mercado” en Davos.

 

En este juego al revés hay dos focos claves para calibrar la basculación del peso mundial: la India (que pronto se convertirá en un nuevo gigante económico) y la UE, que en su decadencia ya no puede liderar nada pero cuyo peso sigue siendo decisivo para el balance de poder mundial. La adscripción al Eje Anglosajón (la que han mantenido hasta ahora sumisamente los mandatarios europeos), significará a buen seguro la definitiva implosión de la UE. Vincularse, por contra, al mundo energético-productivo de una Eurasia fuerte, es la última posibilidad que tiene Europa de realizar un aterrizaje algo más suave en la era post-crecimiento. India también ha comenzado a percatarse de ello.

 

En adelante, la capacidad y habilidad de controlar la oferta y demanda de la energía será el principal juego de poder. Los perdedores en ese juego, el Eje Anglosajón (Trump quiere volver al carbón), son los interesados en desatar la opción bélica para el mundo.

 

Por eso, quienes hablan de imperialismos encontrados, y llaman a combatir por igual a unos y otros poderes, no hacen un adecuado análisis de la realidad mundial ni parecen tener en cuenta, tampoco, algunos datos bien patentes.

 

EE.UU. tiene alrededor de un cuarto de millón de efectivos del Ejército, la Marina y las Fuerzas Aéreas, en el 70% de los países del mundo, con más de 450 bases militares extraterritoriales. Rusia cuenta con 18 instalaciones militares fuera de su actual territorio, de las cuales 15 están las antiguas repúblicas soviéticas, porque no se cerraron las que eran de la URSS, no porque se instalaran nuevas. China hoy por hoy no tiene ninguna base militar extrafronteriza (aunque está construyendo la primera en Djibuti).

 

EE.UU., con casi 600.000 millones de $ de presupuesto militar declarado, suma más que el gasto militar de todo el resto del mundo junto. Ha sido EE.UU. quien ha lanzado la «guerra contra el terrorismo» desde hace más de dos décadas, y con ella ha arruinado países y destrozado sociedades enteras: Afganistán, Somalia, Irak, Libia, Siria… Además, esa especial guerra perdura y se extiende hoy por más de 60 países, principalmente a través de operaciones secretas. De hecho, se ha convertido en la forma en que la principal potencia tiende a implantar un «dominio total» («Full-spectrum dominance», como fue definido en el clave informe del Pentágono titulado Joint Vision 2020 ). Es su estrategia para devastar territorios, hacerlos ingobernables, y así parar la construcción del entramado energético-productivo que pretende China (con el apoyo ruso).

 

Porque el gigante asiático está intentando lanzar una suerte de keynesianismo global, vía grandes inversiones, para proveer de las herramientas infraestructurales adecuadas a las redes comerciales globales o regionales que necesita para prosperar. Sí, no por principios altruistas, sino porque sus condiciones económicas se lo permiten y lo requieren; es decir, que para prosperar necesita que otros también lo hagan. ¿Para qué querrían China o Rusia, en estas condiciones, destruir territorios, sobre qué bases se sustentaría su interés por la guerra, si lo que precisan son mercados e integraciones regionales? Lo que está haciendo EE.UU., hasta ahora, en cambio, es prueba evidente de lo contrario.

 

De hecho, la facción que apoyó a Clinton, la más guerrerista contra Rusia, puede preparar un acontecimiento de dimensiones globales, “irreversibles”, (¿un macro-atentado, un nuevo frente de guerra?), para obligar a Trump a no disminuir su presencia en Asia ni a desmantelar la OTAN.

 

Otro asunto es que la expansión china sea energéticamente sostenible, y otra cosa es que debamos aceptar unos poderes por otros. Pero ante la devastación, corrupción y desposesión generalizada que promueve el Eje Anglosajón unipolar, la multipolaridad abre perspectivas de cambios económicos y sociales, y nos proporciona tiempo e intersticios en la malla de dominación para comenzar la Gran Transformación hacia el post-capitalismo y el post-crecimiento.

 

Puede que después de todo, 2017 ofrezca su pequeño homenaje al centenario de la revolución soviética, dando al traste con la globalización unilateral de eso que se autodenominó “Occidente”. Es fácil que la descomposición del capitalismo realmente existente se haga aún más visible.

 

Andrés Piqueras.

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