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30 aprile 2017

 

Primo maggio 

di Lucilio Santoni 

Scrittore, traduttore, autore di video, organizzatore di eventi letterari e teatrali

 

 

Il Primo maggio nasce come momento di lotta. Quel giorno del 1886 a Chicago si svolge uno sciopero generale per la riduzione dell’orario di lavoro. Da allora, per altro, nonostante il mito della tecnologia, non si è più ridotto.

 

Il Primo maggio dovrebbe essere una giornata dedicata davvero ai lavoratori, alla loro storia e ai loro punti i vista. Del resto, vale la pena ricordarlo, nasce come momento di lotta. Quel giorno del 1886 a Chicago non si svolge uno sciopero generale come altri, ma una grande protesta in strada di uomini e di donne per la riduzione dell’orario di lavoro. Da allora, per altro, nonostante il mito della tecnologia, la giornata di lavoro è rimasta di (almeno) otto ore e il tempo libero non è diventato tempo liberato. Il mercato ci vuole lavoratori, possibilmente precari, e consumatori.

 

“Ho esposto le mie idee. Costituiscono una parte di me stesso. Non posso prescindere da esse, e anche se volessi non ci riuscirei. E se pensate che potrete annientare queste idee, che ogni giorno guadagnano terreno, mandandoci alla forca; se ancora una volta applicherete la pena di morte per esserci azzardati a dire la verità – e vi sfidiamo a dimostrare che abbiamo mentito in qualche occasione –, io vi dico: se la morte è la pena che imponete per proclamare la verità, allora sono disposto a pagare questo prezzo così caro. Impiccateci! La verità crocifissa in Socrate, in Cristo, in Giordano Bruno, in Jan Hus e in Galileo, vive ancora oggi. Questi e molti altri ci hanno preceduti nel passato: noi siamo pronti a seguirli”. Con queste parole August Spies chiude la propria difesa nel processo che lo vedrà condannato a morte insieme ad altri sei imputati, l’ottavo subirà quindici anni di reclusione. Il Primo maggio 1886 a Chicago si era svolto lo sciopero generale per la riduzione dell’orario di lavoro: la richiesta era di otto ore. Nel corso della manifestazione esplose una bomba: morirono otto poliziotti, altri rimasero feriti (a seguito delle proteste, nei giorni seguenti morirono diversi lavoratori, ndr). Otto anarchici vennero messi alla sbarra. Gli avvocati difensori prepararono tutte le prove volte a dimostrare l’estraneità degli imputati al fatto criminoso, ma il processo, vista la loro evidente innocenza, prese un’altra piega.

L’accusa che veniva rivolta loro non riguardò più principalmente l’omicidio degli agenti, bensì l’idea politica che gli imputati propugnavano. A quel punto, l’azione della difesa perse ogni forza e motivo di essere in quanto gli imputati, da questa accusa, non intendevano difendersi. E non si difesero, anzi, riaffermarono con forza la loro colpevolezza.

Sui giornali filo-governativi comparve il titolo: Crocifiggeteli! Sulla stampa anarchica, da allora, gli otto sono diventati: I martiri di Chicago. La richiesta avanzata da quegli operai era nell’aria. Ben presto, in tutti gli Stati Uniti, e poi anche in Europa, la giornata lavorativa fu portata a otto ore. Il Primo maggio è diventato, in molti paesi nel mondo, il giorno di una generica festa dei lavoratori. Io preferisco ricordarne l’origine e il sacrificio di quegli otto coraggiosi.

Vale la pena, a tal proposito, ragionare sul fatto che se la giornata lavorativa fu portata a otto ore già oltre un secolo fa (in Italia negli anni Venti), essa è rimasta sostanzialmente invariata fino a oggi. Nonostante la tecnologia in questo lasso di tempo abbia fatto passi da gigante (per stampare un libro occorreva almeno un mese, mentre oggi soltanto un giorno), il tempo che l’uomo quotidianamente dedica al lavoro non ha subito la sia pur minima erosione. Sono aumentati i salari, indubbiamente, che per certi versi hanno migliorato le condizioni di vita. Ma, da un determinato momento in poi, una parte cospicua e sempre crescente di quel salario è stata destinata non già ad allungare il tempo dell’ozio, della felicità, delle relazioni affettive, come sarebbe stato naturale, bensì all’altra faccia del lavoro: il cosiddetto tempo libero.

Il tempo libero si è venuto configurando come il momento in cui spendere il denaro, faticosamente guadagnato nelle otto ore, in attività alternative spesso altrettanto faticose che rientrano nello stesso orizzonte del ciclo lavoro-produzione-consumo. Pertanto, il tempo libero non è tempo liberato. L’uomo colpito da tale epidemia è un lavoratore, e si comporta da lavoratore, sia che guadagni denaro, sia che lo spenda. Il mercato fagocita tutto in una totalità indistinta di esseri consumatori che non conoscono la requie dell’ozio, gli stessi che fondano la propria Repubblica[1] (parlo dell’Italia naturalmente) su quella discutibile e cedevole colonna portante (il lavoro, appunto) che quando viene meno fa fare la triste esperienza della superfluità della propria persona. La stessa esperienza, in condizioni estreme, che fecero coloro che vennero rinchiusi nei campi di concentramento, dovuta a un lavoro senza risultati concreti e all’assoluta mancanza di senso di qualunque azione (Arbeit macht frei, per colmo di devastante ironia).

Una repubblica dovrebbe invece appoggiarsi su fondamenta più nobili e feconde. Io, avessi preso parte all’Assemblea, avrei fatto la seguente proposta: “L’Italia è una Repubblica uscita a riveder le stelle”. Ma ai cosiddetti padri costituenti importava ben poco la cultura e ancor meno la poesia; a loro interessava mantenere le posizioni. Quel primo articolo che ne uscì fu il frutto di uno squallido compromesso.

 

Note

[1] Per una critica al primo articolo della Costituzione, rimandiamo al libro appena uscito  Lavorare sfianca, scritto da Lucilio Santoni e Alessandro Pertosa (leggi anche La società del lavorismo).

 

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