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18  maggio 2017  18.01

 

Le banche ombra gestiscono metà della finanza mondiale 

di Alessandro Lubello

giornalista di Internazionale

 

Alla fine del 2015, ben 149mila miliardi di dollari – pari a circa il 46 per cento delle attività finanziarie globali – erano gestiti da banche ombra. Lo sostiene un rapporto pubblicato il 10 maggio dal Financial stability board (Fsb), un organismo internazionale legato ai paesi del G20 che sorveglia il sistema finanziario mondiale e che dal 2011 pubblica ogni anno uno studio sulla finanza ombra, con l’obiettivo di individuare i rischi che potrebbero far scoppiare una nuova crisi. 

Questo dato, che riguarda 21 paesi più l’eurozona (per un pil complessivo pari all’80 per cento di quello mondiale), sembra suggerire che quasi la metà della finanza mondiale è nelle mani di aziende opache giustamente definite ombra. Le cose non stanno proprio così, ma senza dubbio il settore contiene dei fattori di rischio per la finanza. Nell’edizione 2016 del suo rapporto, l’Fsb si proponeva di studiare proprio le zone più delicate del settore ombra, ma non ha ricevuto tutti i dati su cui faceva affidamento. 

Per capire meglio la situazione bisogna fare chiarezza sul concetto di “banche ombra”. Nell’introduzione del suo rapporto, l’Fsb parla di “entità e attività di intermediazione creditizia che agiscono fuori dal sistema bancario regolamentato”. E poi aggiunge che l’uso del termine ombra “non va inteso in senso peggiorativo” e che è stato adottato perché “è quello più comune”. Ora, nella definizione più ampia di banche ombra, riassunta dall’acronimo Munfi (Monitoring universe of non-bank financial intermediation), e quindi in quei 149mila miliardi di dollari, sono incluse le compagnie assicurative, i fondi pensione e le stesse banche centrali, che comprano stabilmente titoli di stato. Attività quindi che sono comunque regolamentate. 

Per questo l’Fsb adotta una seconda definizione e un secondo acronimo: Ofi (Other financial intermediaries), in cui sono incluse “tutte le istituzioni finanziarie che non siano banche, assicurazioni, fondi pensione, istituzione finanziarie pubbliche, banche centrali o ausiliari finanziari”. In questo caso la mole di attività finanziarie scende a 92mila miliardi di dollari, che comunque rappresentano circa il 120 per cento del pil di tutti i paesi del mondo messi insieme. Gli Ofi sono cresciuti di tremila miliardi di dollari rispetto al 2014, spiega l’Fsb, in gran parte perché le borse sono cresciute e in parte perché molti capitali hanno lasciato il settore bancario tradizionale. 

 

Questi istituti usano strumenti pericolosi per la stabilità finanziaria

Mark Carney, governatore della Banca d’Inghilterra e presidente di turno dell’Fsb, sostiene che la crescita della banche ombra di per sé non deve far paura, perché questi istituti permettono di diversificare le fonti di finanziamento a favore dell’economia reale. Ma resta comunque il fatto che sono collegati al sistema bancario tradizionale e che usano strumenti pericolosi per la stabilità finanziaria. Per questo l’Fsb ha deciso di restringere ulteriormente i confini della sua analisi limitando la valutazione delle banche ombre alla cosiddetta “narrow measure of shadow banking”, formata da entità finanziarie non bancarie che “secondo le autorità” possono rappresentare un rischio per la stabilità finanziaria. 

I dati su questa fetta del settore ombra provengono da 27 paesi, tra cui l’Italia. La narrow measure gestisce attività per 34mila miliardi di dollari, il 3,2 per cento in più rispetto al 2014. “Quasi l’80 per cento di questi miliardi sono concentrati in soli sei paesi”, scrive la Frankfurter Allgemeine Zeitung. Per esempio gli istituti ombra delle Isole Cayman, che entrano nello studio dell’Fsb per la prima volta, gestiscono seimila miliardi di dollari (e hanno un sistema finanziario pari al 200mila per cento del pil nazionale), molto di più di paesi come il Giappone e il Canada, che si fermano a quattromila. In Irlanda e nei Paesi Bassi ormai le banche ombra gestiscono più soldi di quelle tradizionali. 

Gli esperti dell’Fsb, però, si aspettavano indicazioni molto più interessanti dallo studio, soprattutto perché non hanno ricevuto tutti i dati che volevano avere. Un importante centro finanziario come il Lussemburgo, per esempio, non ha inviato i suoi dati. Ma già nell’introduzione del rapporto, l’Fsb mette in chiaro che “la narrow measure non include i dati della Cina, perché sono stati inviati in ritardo”. Chi sperava di ricavare un qualche segnale di crisi da questo studio contava soprattutto sulla Cina, il cui settore Ofi valeva circa 7.300 miliardi di dollari alla fine del 2015. Nel paese asiatico, scrive le Monde, “le banche ombra hanno un ritmo di crescita – il 31 per cento tra il 2014 e il 2015 – secondo solo a quello registrato in Argentina”, ma soprattutto va notato che in Cina spesso questo settore parallelo “finanzia i pesanti debiti delle imprese di stato e i precari progetti immobiliari dei governi locali”. 

Ora l’Fsb spera nello studio che sarà pubblicato il prossimo anno, ma evidentemente, fa notare la Neue Zürcher Zeitung, “la natura stessa delle banche ombra fa sì che sfuggano alle autorità. Dati completi e affidabili dalla Cina, forse, ci avrebbero offerto più indizi sul prossimo crollo finanziario, ma le crisi raramente rispettano il copione della storia. Di solito scoppiano non dove tutti se l’aspettano ma in posti che sfuggono all’occhio di chi controlla”.

 

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