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16 ottobre 2017

 

Un’altra lezione all’Europa

di Lorenzo Vita

 

Le elezioni austriache ci consegnano un dato curioso, quasi affascinante, di un ritorno di Vienna come ago della bilancia dell’Europa dopo praticamente un secolo di annichilimento. Non soltanto l’Austria può decidere, per certi versi, le sorti dell’Europa, ma può anche creare un collegamento politico con Budapest che sembra quasi far rinascere dai libri di storia l’Austria-Ungheria.

 

In Austria ha vinto Kurz, ha vinto l’ultradestra, ha vinto un millenial, ha vinto l’euroscetticismo, ha vinto la xenofobia. Sono tante, tantissime le definizioni che oggi si leggono sui quotidiani europei, anche italiani, sul risultato delle elezioni austriache. Un risultato anche abbastanza annunciato, ma non come si attendevano molti osservatori, quasi speranzosi di poter urlare al pericolo nazionalsocialista in Europa. Ma la tecnica ormai è nota: si ingigantisce un pericolo, lo si pompa nei sondaggi, poi arriva il voto in cui non c’è l’exploit e si urla alla razionalità dell’elettorato contro la barbarie dell’ultradestra (il nuovo modo per definire tutto ciò che è a destra del centrodestra, perché populismo diventava troppo annacquato). L’Austria, in ogni caso, si è risvegliata con alcune certezze: il Paese ha deciso di virare ancora di più a destra dopo le ultime elezioni e ha deciso di dare credito a un ragazzo giovane, conservatore, con una carriera lampo nelle gerarchie statali e con un certo carisma/appeal che lo rende gradito a tutti. Non è il leader carismatico con felpa e vanga in mano: l’Austria non cerca forconi. Kurz è un conservatore in doppiopetto che sa che per vincere è necessario dire qualcosa di forte, che l’elettorato austriaco è impaurito e che, fondamentalmente, non è più ancorato a un certo tipo di valori della socialdemocrazia.

 

Detto questo, Kurz ha vinto ma non ha stravinto, pur facendo crescere di sette punti percentuali il suo partito. Pertanto, un governo di larghe intese, o comunque in coalizione con un altro partito, è necessario. Qui la scelta non è minima, ma assolutamente decisiva. L’enfant prodige della politica austriaca (già ribattezzato il Macron di Vienna) deve scegliere tra l’alleanza con il partito di destra radicale dell’Fpö, che con la guida di Heinz-Christian Strache è riuscito quasi a eguagliare il risultato più alto ottenuto dal partito ai tempi di Haider, oppure scegliere l’alleanza bipolare, molto più gradita all’Europa, con il Spö, il partito socialdemocratico del premier uscente, che non viene punito dall’elettorato ma che paga la mancata crescita dei consensi (26,5% circa).

 

Chiaramente la scelta tra i due partiti con cui allearsi segnerà la svolta della politica di Vienna dei prossimi anni e forse dell’Europa. Il socialdemocratico Kern è stato chiaro: per allearsi con il partito di Kurz – l’Ovp – vuole un governo che non abbia l’euroscetticismo tra i suoi capisaldi. E tutto ciò non può ovviamente che essere ben visto dall’establishment, tedesco e austriaco. Ma a questa richiesta, bisogna poi fare i conti con la realtà, che è quella del voto. Kurz e Strache, insieme, hanno ottenuto il 56% dei consensi dei cittadini austriaci. Il che significa che una loro eventuale alleanza, ancora tutta da chiarire, avrebbe l’appoggio della maggioranza dell’elettorato austriaco e dunque sarebbe in grado di rappresentare i desideri della cittadinanza. L’alleanza con i socialdemocratici, al contrario, sarebbe un chiaro segnale di resa nei confronti di un sistema che vede come un orrore la possibilità che l’Fpö entri in un governo a Vienna.

 

Il timore nei confronti di questa possibilità è stato già palesato dal presidente austriaco, Van der Bellen, che ha rappresentato per tutto il mondo il campione contro il fanatismo dell’ultradestra alle presidenziali. La sua elezione, quella del professore ecologista e socialdemocratico, fu decantata come la vittoria del mondo libero e dell’Europa democratica. E proprio per ricordare i valori della democrazia, il presidente austriaco ha già detto a chiare lettere che certi ministri non sono graditi. Naturalmente parla dei possibili rappresentati del governo in quota Fpö. Un classico della democrazia europea, quando si tratta di dare voce a chi viene democraticamente eletto, dipende qual è il partito di cui fai parte.

 

L’Europa guarda ai prossimi giorni con preoccupazione. Qualora Kurz confermasse la possibilità di allearsi con Strache, creando l’asse di destra al governo di Vienna, la già traballante struttura europea potrebbe ricevere un colpo non così debole come si può credere. L’Austria non è un Paese con un peso così importante per l’Unione europea, ma rappresenta, in questo preciso momento storico, un tassello molto critico del mosaico europeo. Un po’ per la posizione geografica – a cavallo tra Germania e Italia e fra Europa occidentale e orientale –, un po’ per la sua storia recente, mai troppi incline ai diktat di Bruxelles, l’idea è che l’Austria possa essere un punto interrogativo decisivo per il futuro di alcune politiche europee.

 

Sul fronte dell’immigrazione, Kurz, quando era ministro a Vienna, non ha mai negato un approccio molto duro alla politica migratoria imposta dall’Europa. Per noi italiani, in particolare, divenne famoso per aver proposto a Lampedusa una sorta di Ellis Island in cui rinchiudere gli immigrati in arrivo dalla Libia e rispedirli nel Paese d’origine. E, sempre con l’Italia, non ebbe problemi a giungere a una crisi diplomatica per colpa della polizia al Brennero (che poi rivelò molto meno seria del previsto, ma tanto bastò per gridare a una nuova guerra sul fronte del Tirolo). Se sarà confermata l’alleanza con il partito di destra radicale di Strache, le possibilità che Vienna si sganci dallo storico alleato tedesco (e quindi la Merkel) e scivoli verso l’Europa di Visegrad (quella composta da Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Polonia) diventa molto alta. Spostarsi verso il gruppo di Visegrad vuol dire creare un blocco molto importante per il futuro dell’Unione europea, perché adesso sarebbero cinque gli Stati critici verso le politiche migratorie e verso i dettami di Bruxelles e Strasburgo.

 

Un tempo, un’alleanza coi nazionalisti sarebbe stata condannata da tutta l’Europa. Nel 2000 fu così; ma, in quel caso, ci fu un vero e proprio boicottaggio da parte degli Strati europei che, di fatto, disintegrò le velleità nazionaliste di Vienna. Questa volta le cose sono un po’ diverse. L’Europa vive un periodo di forte trasformazione e il vento del cosiddetto populismo spira un po’ su tutto il continente. Le elezioni tedesche, con la risicata vittoria di Angela Merkel, sembravano dare una boccata d’ossigeno, ma Vienna ha fatto di nuovo cadere le speranze. A questo vento di populismo, si aggiunge poi la precoce fine della luna di miele con Macron, da astro nascente dell’europeismo a presidente che pensa agli interessi della Francia e che ha già fatto capire, specialmente a noi italiani, che del sogno europeo gli interessa fintanto che non si toccano le sue aziende.

 

Che cosa succederà ora in Austria? È arrivata la rivoluzione di destra contro l’Europa tecnocratica? Andiamoci piano. In Europa, di rivoluzionari finiti male ne abbiamo una lista lunghissima. L’ultimo in ordine di tempo, il caro vecchio Alexis Tsipras, si è rivelato tutto meno che un paladino della giustizia sociale contro la tecnocrazia dopo che tutti quanti avevamo sognato che da quel referendum greco potesse rinascere una nuova Europa. Perciò l’esperienza impone cautela. Kurz non è un eroe e rappresenta il centrodestra. Un centrodestra critico verso l’Europa e molto più duro su alcuni temi, ma è sempre centrodestra. Non è un rivoluzionario, è un politico giovanissimo e molto bravo a saper cavalcare l’onda del consenso. Passare dalle parole ai fatti, cioè dalla campagna elettorale al governo, è molto difficile, soprattutto se l’Europa imporrà una certa direzione politica a Vienna. Lo possono fare e sanno come farlo. Anche qui, gli esempi non mancano.

Allora bisogna innanzitutto non cantare vittoria troppo presto, né gridare al pericolo nero in Austria. Resta comunque il dato curioso, quasi affascinante, di un ritorno di Vienna come ago della bilanciadell’Europa dopo praticamente un secolo di annichilimento. Non soltanto l’Austria può decidere, per certi versi, le sorti dell’Europa, ma può anche creare un collegamento politico con Budapest che sembra quasi far rinascere dai libri di storia l’Austria-Ungheria.

 

Quello che è certo è che oggi, il vento del populismo, rischia di spostare l’asse dell’Europa centrale, storicamente incardinato su Austria e Germania, verso oriente. L’Austria sembra più vicina all’Europa orientale e a quel mondo che ha cercato e dominato per secoli, piuttosto che all’Europa occidentale. E questo è un segnale che va compreso, soprattutto in Italia, che è il prossimo Paese europeo ad avere un impegno elettorale e dove già oggi si narra della vittoria di Kurz come assist per la Lega di Matteo Salvini. Con una sottile differenza: Kurz è il partito conservatore e si alleerà (forse) con un partito di destra radicale; la Lega di Salvini è un partito che in teoria rappresenterebbe il secondo partito austriaco, l’Fpo. Kurz non è il partito più estremista che si rende moderato per raccogliere consensi, ma il contrario: un partito conservatore/moderato che vira a destra per vincere.

 

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