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6 dicembre 2017

 

Revocato ordine di cattura per Puigdemont. Monarchia spagnola nel pallone

di Marco Santopadre

 

Le ultime decisioni della magistratura spagnola nei confronti dei leader indipendentisti catalani rischiano di rivelarsi degli evidenti boomerang nella strategia repressiva di Madrid.

Il carattere politico e arbitrario dei capi d’accusa che pendono sul presidente catalano deposto Carles Puigdemont e sui suoi collaboratori nel frattempo riparati in Belgio è stato paradossalmente rivelato – se ce ne fosse bisogno – dalla decisione comunicata ieri dal giudice istruttore del Tribunale Supremo di Madrid, Pablo Llarena, che ha dovuto revocare l’ordine di cattura europeo spiccato nei confronti dell’ex President e di quattro ex ministri dell’esecutivo di Barcellona che per evitare l’arresto in patria si sono rifugiati a Bruxelles.

Non si tratta di un ravvedimento o di un atto di clemenza da parte del giudice, ma di una presa d’atto che una eventuale decisione da parte della magistratura belga potrebbe impedire a Madrid di giudicare Puigdemont e gli altri esuli indipendentisti per i gravissimi reati che vengono loro ascritti.

Concedendo l’estradizione in Spagna, infatti – è quasi impossibile che Bruxelles la neghi ad un paese dell’Unione Europea e quindi per definizione rispettoso delle minime garanzie democratiche – il giudice belga incaricato di seguire la vicenda potrebbe limitare i reati per i quali gli estradati potrebbero essere giudicati dai giudici spagnoli, e quindi permettere un processo per ‘abuso d’autorità’ o ‘prevaricazione’ ma non per ribellione e sedizione, che comportano invece condanne assai più draconiane.

Insomma la magistratura spagnola, temendo di essere smentita e svergognata da quella belga, è costretta a ricorrere ai ripari, ritirando l’ordine europeo di cattura e mantenendo invece quello valido all’interno dei confini dello Stato Spagnolo. Puigdemont e i suoi quattro ex consellers, se volessero, potrebbero quindi rimanere tranquillamente in Belgio o spostarsi in ogni altro paese europeo, ma se dovessero far ritorno a Barcellona – l’ex president è alla testa della lista di Junts per Catalunya, formata dal PdeCat e da alcuni indipendenti – verrebbero immediatamente arrestati.

Llarena, motivando la propria decisione con argomentazioni di circostanza, ha spiegato che siccome gli indagati hanno manifestato la loro volontà di tornare in Spagna per prendere parte alle elezioni catalane del 21 dicembre – imposte da Madrid dopo lo scioglimento coatto del Parlament e del Govern indipendentisti – o comunque insediarsi una volta eletti nelle nuovo istituzioni regionali, si può revocare la richiesta di cattura internazionale. Però poi lo stesso magistrato spagnolo ha dovuto ammettere che insistendo nella richiesta di arresto europeo emessa dalla giudice Carmen Lamela dell’Audiencia Nacional lo scorso 3 novembre, si potrebbero convincere i giudici belgi a restringere i reati per punire i quali Bruxelles potrebbe concedere l’estradizione, legando di fatto le mani a Madrid.

Sono invece usciti di prigione, pagando una cauzione di 100 mila euro a testa, sei ministri cessati del governo catalano che erano stati arrestati nelle scorse settimane, mentre il giudice Llarena ha deciso di negare la condizionale al vicepresidente catalano e leader di Erc, Oriol Junqueras, all’ex ministro degli Interni Joaquim Forn, e ai leader delle associazioni indipendentiste Jordi Sanchez (Anc) e Jordi Cuixart (Omnium Cultural), che continueranno quindi a scontare la carcerazione preventiva in attesa del processo.

Dopo aver negato nelle scorse settimane ai quattro di poter scontare la prigione preventiva in penitenziari catalani – sono attualmente detenuti nella regione di Madrid, a parecchie centinaia di chilometri da casa – ora la magistratura spagnola afferma che, nonostante non sussista per i quattro il pericolo di fuga esiste invece quello della reiterazione del reato. Questo nonostante tutti i rappresentanti istituzionali imprigionati nei giorni scorsi avessero reso delle dichiarazioni ai giudici nelle quali chiedevano la scarcerazione in nome di una loro presa d’atto del carattere nullo della dichiarazione d’indipendenza votata dal parlamento di Barcellona lo scorso 27 ottobre e la volontà di persequire i loro obiettivi politici esclusivamente nel rispetto della legislazione del paese. Dichiarazioni che però il magistrato ha considerato strumentali nel caso del vicepresidente catalano, dell’ex Conseller agli Interni e dei due Jordi.

Di fatto la campagna elettorale che si è aperta in queste ore a Barcellona è pesantemente condizionata: non solo l’autonomia è stata sospesa e le istituzioni catalane sono commissariate dai dirigenti e dai funzionari del governo di Madrid, non solo il territorio è occupato e controllato da circa 12 mila agenti di polizia arrivati a inizio ottobre dal resto dello stato, ma alcuni dei pià importanti candidati indipendentisti sono dietro le sbarre o in esilio all’estero.

Mentre Junqueras è il capolista di Esquerra Republicana de Catalunya, che tutti i sondaggi indicano come il partito vincitore delle prossime elezioni regionali, Jordi Sanchex è il numero due della lista del PdeCat, guidata da Carles Puigdemont.

Senza considerare le intimidazioni e i condizionamenti imposti dal governo e dalla cosiddetta Giunta Elettorale all’amministrazione pubblica e ai media.

In una tale situazione, tutti i sondaggi indicano un calo del fronte indipendentista e un aumento di quello unionista, oltre a un ridimensionamento dello schieramento federalista guidato da Podemos e dalla sindaca di Barcellona Ada Colau. Il Parlament partorito dalle elezioni del 21 dicembre – sempre che i sondaggi vengano confermati dai voti reali – potrebbe vedere un sostanziale testa a testa tra indipendentisti e unionisti.

Intanto il leader di Podemos Pablo Iglesias, nell’evidente tentativo di convincere molti dei votanti di Catalunya en Comù a non abbandonare la formazione in cerca di sponde più moderate – in particolare i socialisti di Iceta previsti in rimonta- ha suscitato aspre polemiche accusando gli indipendentisti catalani di aver “risvegliato il fascismo spagnolo” con le loro rivendicazioni considerate troppo estreme. Una dichiarazione alla quale intellettuali e leader indipendentisti, ma anche di settori del suo stesso movimento ormai in rottura con la direzione statale di Podemos, hanno risposto ricordando che il fascismo in Spagna è sempre stato sveglio, e che starsene buoni e inermi rinunciando ai propri obiettivi e alle proprie rivendicazioni equivarrebbe a un suicidio politico.

 

 

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