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2 ottobre 2017

 

Forti venti dal basso 

di Gustavo Duch 

Traduzione di Daniela Cavallo

 

In Spagna si chiamano vendavales, sono i forti venti che soffiano da sud. La parola deriva dal francese "vent d'aval", ossia "vento de abajo". Ecco, in Catalogna, per chi cerca sguardi diversi sul mondo, soffiano questi venti

 

Ribellione. Barcellona, 2 ottobre 2017

 

Molte volte, quasi sempre, scrivo dal di fuori. Immagino storie, le leggo o me le narrano e dal di fuori le racconto.

 

Oggi scrivo dal di dentro.

Da dentro di Enrique, che non voleva votare – sono più per le persone che per gli stati – ma che davanti agli abusi delle forze [di polizia] è sceso alla scuola del suo quartiere povero di Barcellona e “non c’era divisione sociale né noiosi discorsi, c’era una bella intensità”. E ha votato.

Dall’anziano che entra nella scuola portando con sé il suo ossigeno e i suoi morti. Nel suo interno, per diverse ore, mi sono rifugiato.

Mi sono liberato dei miei dubbi, dal di dentro del primo obiettore di coscienza di epoca franchista. “Voto per formare popoli liberi e per interagire con altri popoli in condizioni di uguaglianza, sovranità, generosità, amicizia. La lotta la faccio da qui, però cerco la giustizia e l’uguaglianza per tutti i popoli del mondo”.

Sono stato anche dentro alle mie critiche. E mi hanno lasciato entrare ed esprimerle.

Scrivo dal di dentro del pastore della Palencia che, tornando dopo aver caricato due mila litri di acqua per le sue pecore – maledetta siccità -, mi ha chiamato per dirmi “ votare anche per noi, perché ci porti vendavales”.

Entro nell’interno metallico dei trattori che, come auto-fantastiche, sono apparsi, pacifici e disobbedienti, solcando le strade del mio paese. Dopo molti anni di disprezzo, loro che sempre ci hanno nutriti, si sentono riconosciuti.

Appoggiato alla recinzione della scuola, entro in coloro che l’hanno scavalcata ma che non abbiamo saputo ricevere. E rileggo il loro Manifiesto Migrante:

“A voi, vi diciamo che ci sentiamo convocati, incoraggiati ed entusiasti per quello che si sta realizzando in questi momenti e speriamo che venga data l’opportunità di creare spazi di partecipazione dove possiamo entrare tutti, senza razzismo né esclusione”. [1]

E quelli che continuano a stare dalla parte della guerra e della povertà? Non posso entrare, c’è una recinzione.

Scrivo da dentro della fila che avanza, lenta ma avanza. Con Xavier, Anna, due sconosciuti e il proprietario del cane con il quale, nel parco, ci gioca la mia; riprendiamo il dibattito sui benefici o meno delle indipendenze; de-globalizzare i governi; ri-localizzare la democrazia. E mi trovo bene, a mio agio.

Quando piove, mi riparo sotto un albero e sono le vecchie lotte quelle che entrano in me.

“Quieta/orgogliosa/ la sabina/testimonia/che sotto di essa/si raggrupparono/gli anarchci”.[2]

Scrivo da dentro di Eva, che ha pianto un giorno intero.

Scrivo dal di dentro perché fuori da questi corpi ho avuto paura.

 

Note

[1] Comunicato del Sindacato Popolare dei Venditori Ambulanti e dello Spazio dell’Immigrante
[2] La Sabina, canzone di José Antonio Labordeta

 

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Vendavales

di Gustavo Duch

 

Muchas veces, casi siempre, escribo desde fuera. Me imagino historias, las leo o me las explican y desde fuera las cuento.

 

Hoy escribo desde dentro.

Desde dentro de Enrique, que no quería votar – soy más de gentes que de estados – pero que ante los abusos de la fuerza bajó al colegio de su barrio pobre de Barcelona y «no había división social ni monsergas, había una bella intensidad». Y votó.

Desde el abuelo entrando en el colegio cargando con su oxígeno y sus muertos. En su dentro, por varias horas, me refugié.

Mis dudas las despejé desde dentro del primer objetor de conciencia en épocas franquistas. «Voto para formar pueblos libres y relacionarnos con otros pueblos en condiciones de igualdad, soberanía, generosidad, amistad. La lucha la hago desde aquí, pero busco la justicia y la igualdad para todos los pueblos del mundo.»

Dentro de mis críticas también estuve. Y me dejaron entrar y expresarlas.

Escribo desde dentro del pastor palentino que volviendo de cargar dos mil litros de agua para sus ovejas – maldita sequía – me llamó para decirme «votar por nosotros también, por traernos vendavales»

Entro en el interior metálico de los tractores que, como autosfantásticos aparecieron, pacíficos y desobedientes, cortando las calles de mi pueblo. Después de muchos años menospreciados, ellos que siempre nos han dado de comer, se sienten reconocidos.

Apoyado en la valla de la escuela, entro en quienes las saltaron pero no supimos recibir. Y releo su Manifiesto Migrante: «A ustedes les decimos que nos sentimos convocados, animados y entusiasmados por lo que en estos momentos está logrando y esperemos que se dé la oportunidad de crear espacios de participación donde quepamos todas, sin racismo, ni exclusión».

¿Y quienes siguen en el lado de la guerra y la pobreza? No puedo entrar, hay una valla.

Escribo desde dentro de la cola que avanza, lenta pero avanza. Con Xavier, Anna, dos desconocidos y el propietario del perro con el que juega la mía en el parque, retomamos el debate sobre las bondades o no de las independencias; desglobalizar las gobernanzas; relocalizar la democracia. Y me encuentro cómodo, a gusto.

Cuando llueve me resguardo bajo un árbol y son las viejas luchas las que entran en mi. “Quieta / altiva / la sabina / testifica / que bajo ella / se agruparon/ los anarquistas”.

Escribo desde dentro de Eva, que ha llorado un día entero.

Escribo desde dentro porque fuera de estos cuerpos he pasado miedo.

 

 

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