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11.10.2017

 

In cosa consiste l’essere catalani anziché spagnoli?

di Mario Sommossa

 

L’uomo è un animale sociale, dice Aristotele, e, in quanto tale, per sentirsi sereno deve riconoscere (e riconoscersi in) un gruppo di sodali. Percepirsi come membro di una certa collettività è altresì indispensabile

 

Ogni individuo sano di mente sa, o crede di sapere, chi egli è ma, se dovesse descrivere se stesso ad altri, di solito ricorrerebbe a etichette precostituite. Se si trovasse di fronte a "stranieri", non mancherebbe di citare la sua nazionalità: italiano, francese, tedesco, spagnolo… o catalano? Appunto! Chi è nato o vive da lungo tempo a Barcellona, si sentirebbe innanzitutto catalano o spagnolo? Coloro che hanno partecipato al recente referendum per l'indipendenza e hanno votato favorevolmente certamente ritengono che la loro identità personale (e il loro gruppo di appartenenza) è "catalana" ma in cosa consiste l'essere catalani anziché spagnoli? La domanda non è per nulla peregrina perché, nonostante il concetto di Stato-Nazione sembri assodato e addirittura si sono combattute negli scorsi ultimi secoli in suo nome, come si delimiti formalmente un'appartenenza o un'altra non è affatto scontato. Se lo affrontiamo velocemente, tutto sembra chiaro e basterebbe formulare una piramide di concetti geografici: sono nato e vivo a Roma e quindi sono romano, poi laziale, italiano ed europeo. Eppure si sentono "romani", eccetera, molti cittadini che per qualche circostanza sono nati e cresciuti altrove: basta che siano stati romani i genitori? E' dunque una questione di sangue? O è la carta d'identità a dare un'appartenenza? Il fattore percepito come il maggior contributo a un'identità'è la lingua che si parla e, in alcuni momenti e circostanze, lo è invece la religione professata o comunque percepita come quella del gruppo più vicino. Sempre fanno testo il colore della pelle e i tratti somatici in generale.

 

Tuttavia, se diamo un particolare valore al "sangue", è ben difficile raccapezzarsi poiché in tutta Europa è impossibile trovare un qualunque "popolo" che non sia stato contaminato da genti le più diverse che si sono mischiate nel corso dei secoli. Quanto alla religione, nessun Paese nel nostro continente vanta una "religione di Stato" (l'ultimo a eliminarla è stato il Principato di Monaco) e ogni Costituzione riconosce la totale libertà di fede.

 

 

Resta la lingua ma, anche qui, a una parlata "ufficiale" si aggiungono lingue storiche locali che spesso godono di pari dignità e sono magari insegnate nelle locali scuole. Un altoatesino o un valdostano che parlano tedesco o francese non sono Italiani come gli altri, con uguali diritti e doveri? Si percepiscono come "stranieri"? (Naturalmente parliamo della maggioranza dei cittadini e non di piccoli gruppi con poco seguito, che pure esistono in ogni Stato liberale). E come la mettiamo con gli svizzeri che hanno contemporaneamente più lingue "ufficiali" valide su tutto il territorio?

 

Il concetto di Stato-Nazione che ha ispirato più guerre d'indipendenza è relativamente recente. Fino a due secoli fa gli imperi che dominavano in Europa erano tutti composti di cittadini plurilingue e solo dopo la Rivoluzione Francese e le battaglie napoleoniche hanno cominciato a vacillare. E' vero che la sensazione di "italianità" esisteva già dai tempi di Dante ma è sempre appartenuta a una classe intellettuale e ristretta, almeno fino al Risorgimento. Per il popolo minuto, sempre soggetto a plurime invasioni, valeva comunque il detto: "Franza o Spagna, purché se magna". E forse è proprio nelle motivazioni più terrene, quelle economiche, che si spiegano molte delle lotte per l'indipendenza del XIX secolo.

 

Ma veniamo alla Catalogna e alla volontà del suo Governo locale di indire un referendum per saggiare il desiderio popolare di staccarsi dal resto della Spagna. In quella regione, fortemente autonoma, la storica lingua catalana è la prima lingua insegnata nelle scuole. La Sanità è di sua competenza e così l'ordine pubblico grazie a un locale corpo di polizia. Quanto alle tasse, le imposte indirette sono incassate e trattenute mentre le indirette vanno a Madrid e tornano in gran parte a Barcellona. Il residuo fiscale (cioè la differenza tra quanto versato al centro e quanto viene restituito) è di soli 8 miliardi di Euro (per dare un'idea, quello della Lombardia e di 54 miliardi). Si può dunque dire, verosimilmente, che la Catalogna sia "sfruttata" dal resto del Paese?

 

 L'uscita dalla Spagna significherebbe anche il contemporaneo venir meno della partecipazione all'UE e quindi la fine del mercato comune continentale. Certamente nuovi rapporti bilaterali potrebbero essere costruiti ma non con l'Europa per il prevedibile veto di Madrid. E comunque occorrerebbe molto tempo. Il Barcellona giocherebbe da solo in un piccolo campionato? Sarebbe creata una nuova moneta? Considerato il piccolo mercato che almeno per qualche anno si troverà, gli investimenti stranieri continueranno?

 

E' per la difficoltà di rispondere a queste domande che alcune grandi aziende, in primis le banche "catalane" hanno subito annunciato di volersi trasferire fuori dalla Regione. E ben quattro milioni di catalani non hanno partecipato al voto e molti hanno dichiarato la propria contrarietà. Sicuramente qualche altro milione di abitanti condivide il desiderio di trasformarsi da Regione in Stato ma c'e' da dubitare che tutti costoro abbiano ben valutato le conseguenze se la separazione si realizzasse veramente.

 

E torniamo allora alla questione delle identità. Sono così diverse le abitudini di vita tra Barcellona e Siviglia o Madrid da far sentire i loro cittadini "stranieri" gli uni con gli altri? Chi ha avuto occasione di visitare la Spagna non si è accorto di differenze abissali e, anche se esistessero, sarebbero comunque inferiori a quelle con altri popoli europei. Eppure parliamo, e molti di noi lo vogliono, della necessità di un'Europa più unita. Che cosa è successo dunque e perché?

 

Se mettiamo da parte le ambizioni di pochi politici che han saputo trovare alibi condivisibili utili a promuovere se stessi, la spiegazione del perché qualche milione di catalani ha votato per l'indipendenza va ricercata nella necessità psicologica di ciascuno di trovare una propria nuova identità, essendo stata messa in crisi la precedente. E' un fenomeno che non riguarda soltanto la Catalogna ma è oggi riscontrabile all'interno di molte società e assume modalità che trascendono la reazione individuale per appartenere a tutto un gruppo nel suo insieme. Lo abbiamo visto in Scozia e nel Quebec ove, tuttavia, i referendum secessionisti hanno fallito. Anche se in Spagna le cose trovassero una sistemazione pacifica e unitaria, ciò non significherebbe che quanto successo a Barcellona non si ripeta altrove. Lo sentiamo e lo vediamo tutti i giorni in tante parti del mondo e la causa ultima e vera sta nel tipo di vita che tutti stiamo oramai conducendo. L'aumento della velocità delle comunicazioni e degli spostamenti, i fenomeni migratori in corso, il disagio economico sempre imputato ad altri e non a noi stessi, l'impoverimento crescente della classe media, in altre parole la globalizzazione, ci mettono ogni giorno sempre più a contatto con i "diversi" e l'identita' del gruppo cui credevamo di far parte e sempre più aleatoria. Nemmeno la "cittadinanza" ci garantisce più una relativa "appartenenza" (a questo proposito, occorre rilevare che i sostenitori in Italia dello "Jus soli" non si rendono probabilmente conto che, fatta qui e ora, la loro azione è un potenziale crimine contro la stabilità della società) e l'insicurezza psicologica sul "chi siamo" sta crescendo in maniera esponenziale. Non conta quale sarà l'alibi che verrà via utilizzato. Sia esso la lingua, la religione, il colore della pelle, la diversa alimentazione: ogni pretesto potrebbe funzionare per trovare un nuovo "noi" e catalogare qualcun altro come un "loro".

 

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