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ottobre 18, 2017

 

La radice della crisi catalana spiegata in poche righe e perchè comunque vada nulla sarà più come prima

di Jesus de Colon

 

Ho letto i preziosi commenti di alcuni amici che mi ospitano ed oggi anche mi aiutano, a cui dò seguito. Oggi la crisi catalana sta prendendo una piega bruttissima sebbene non inaspettata, con incarcerazioni per reati di opinione da parte del più forte. Purtroppo gli italiani non sono avvezzi ai principi degli spagnoli, principi coltivati nell’epoca del franchismo plasmando tre generazioni e quindi poco mediabili, molto diretti. Non c’è da stupirsi di tanto idealismo da parte del paese erede di Don Quijote, lo stato con più nobili d’Europa. Sebbene detti ideali rischino di farti combattere coi mulini a vento, a maggior ragione in presenza di notabili locali – a partire dai Borboni – che si sa troppo spesso non brillare di lucente intelletto.

 

Oggi la Catalogna si ribella, vuole l’indipendenza. Non sto a spiegarvi la genesi storica ma, come precedentemente illustrato da altri, si tratta di una normale evoluzione di una regione – secondo alcuni uno stato, meglio un condado o poco più – da sempre contrapposta alla Corona di Madrid. Oggi non si fa eccezione. Nel post Franco l’errore fu del primo ministro Josè M. Aznar che per governare si mise in coalizione coi catalani dovendo concedere l’indipendenza culturale, la lingua, il decentramento amministrativo. Ma non economico. Poi i catalani non servirono più e dunque si rimase al primo danno. Fino a Zapatero nel 2006 che, con un mix di idealismo progressista unito al solito calcolo politico, concesse in periodi di vacche grassissime – per legge e con approvazione parlamentare – anche l’indipendenza economica a termine, un po’ come accaduto in Italia con l’Alto Adige, trattasi di tenersi la maggior parte delle tasse pagate dalla regione.

 

Ai tempi l’economia spagnola scoppiava di salute dunque i calcoli dicevano che la baracca spagnola sarebbe rimasta in piedi comunque. Poi arrivò la tremenda crisi e fu così che il Tribunale Costituzionale si vide costretto a ribaltare una legge approvata dal Parlamento, sebbene con 4 anni di ritardo (nel 2010): se non l’avesse fatto la Spagna sarebbe fallita. Da tale punto l’irredentismo catalano iniziò a decollare, per ragioni – lo ripeto – squisitamente economiche: la Catalogna oggi vuole tenere le proprie tasse, a maggior ragione nel post crisi sub prime dove per uscire dalla crisi Madrid ha obbligato tutti i lavoratori spagnoli a tirare la cinghia. Visto che Barcelona e dintorni a causa dei turisti che fluiscono in massa ha costi europei ma stipendi spagnoli, la conclusione è stata quella che vediamo ai nostri giorni, la ribellione.

 

Ora, le soluzioni sono tre: la prima, Madrid cede alle pressioni internazionali mettendo per altro da parte i propri sacrosanti principi, ricordiamo che il referendum indipendentista è perfettamente illegale da qualsiasi parte lo si guardi. Ovvero concedere a Barcelona di tenersi una gran parte delle proprie tasse. In tal caso le altre regioni spagnole, che vivono anche dei contributi versati dai catalani, riceveranno meno soldi. Dunque gli spagnoli in genere dovranno abbassare ulteriormente il loro livello di vita, viceversa i catalani. Quasi impensabile, pensate alla Andalucia o all’Extremadura ad esempio. Che sia chiaro, Madrid oggi non ha i soldi da dare a Barcelona.

 

Seconda ipotesi, l’EUropa concede sgravi alla Spagna permettendo ulteriori sforamenti di bilancio, ben sapendo che non ci sarà MAI un recupero in quanto i conti spagnoli NON stanno e soprattutto non staranno mai più in piedi come prima dell’indipendenza. Soprattutto in presenza di un eventuale neo-paese vicinale, appunto la Catalogna indipendente, che inevitabilmente si svilupperebbe molto di più della madre Patria. In tale caso anche l’Italia e la Grecia potrebbero accampare pretetese di ulteriore flessibilità EUropea sulla falsa riga di quella spagnola.

 

La terza ipotesi, alla lunga la più probabile vista l’impossibilità materiale di Madrid di concedere i soldi – ed il benessere – che i catalani di fatto pretendono, sarà quella di contemporaneamente soddisfare gli istinti idealistici castillani – i principi poco mediabili ereditati dal franchismo – con il mantenimento dello status quo di una Spagna unita. In tal caso inevitabilmente ci sarà repressione, la misura dipenderà dalla volontà di Barcelona di accettare la sconfitta. Che dovrà essere piena. E con la presenza ingombrante e marziale della Legion, l’erede militare della Falange di Melilla, che – si sa – è protetta dalla Vergine con cui sfila ogni Pasqua. Ossia ha ragione a prescindere (la vostra recente legge cd. “Fiano” non avrebbe alcun senso in Spagna).

 

Il problema sta nel fatto che un popolo quando annusa la libertà e soprattutto quando gli viene fatto ben capire che è nel suo interesse non viene MAI veramente sconfitto, a meno di usare la forza bruta o di trucidarlo (nonostante il supporto di opportuni finanziatori esterni, dai tempi di Gilbraltar Londra è “sempre presente“, vedasi il famoso Eric Blair nella guerra civile spagnola). Il Kurdistan insegna. Ed anche i Paesi Baschi, che hanno smesso di combattere solo dopo aver ottenuto grazie a 35 anni di guerra l’indipendenza economica invece non concessa a Barcellona.

 

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