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03/07/2017

 

Ue: resilienza nell’azione esterna

di Luigi Cino

dottorando presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa

 

L’alto rappresentante dell’Ue per la Politica estera e di Sicurezza Federica Mogherini ha pubblicato, il 7 giugno, l’attesa ‘Joint Communication sulla resilienza. La comunicazione, intitolata “Un approccio strategico alla resilienza nell’azione esterna dell’Ue”, chiarisce il concetto di resilienza che era stato introdotto nella Strategia Globale dell’Unione europea (European Union Global Strategy) pubblicata lo scorso giugno 2016.
In particolare, la Strategia Globale pone tra gli obiettivi dell’Unione quello di rafforzare la resilienza di Stati e società, intendendo per resilienza “l’abilità degli Stati e delle società di riformarsi, quindi resistere e riprendersi da crisi interne ed esterne”. Tale resilienza tuttavia non è solo diretta ai Paesi del vicinato europeo, ma anche all’interno della stessa Ue. 

Un concetto che supera le divisioni tra aree
Il concetto di resilienza appare più di 40 volte nella Global Strategy. Per questo motivo ha attirato l’attenzione degli accademici, i quali discutono sul fornire un chiaro e univoco significato al termine. Infatti, la resilienza, un concetto che deriva dalle scienze biologiche ed è stato ultimamente impiegato anche in psicologia, “è più un mezzo che un fine”. La recente comunicazione dell’alto rappresentante ha dunque l’intenzione di chiarire l’uso di questo termine quando applicato alla politica estera dell’Unione. 
Del resto, resilienza è un termine che necessitadi essere contestualizzato quando lo si utilizza. Nel recente documento, la resilienza ha diverse sfaccettature, che dimostrano come tale concetto sia trasversale alle diverse politiche dell’Unione. In ordine, il concetto viene applicato prima alla politica estera dell’Unione, con enfasi sul rafforzare la resilienza dei paesi partner e delle loro istituzioni e società, nonché delle loro economie. 
Ciò significa aiutare i paesi partner a rendersi capaci di rispondere alle crisi autonomamente, abbiano esse carattere politico, sociale o economico. Ad esempio, promuovere la resilienza nei Paesi del Mediterraneo potrebbe tradursi in un aiuto all’individuazione di strumenti che li rendano capaci di rispondere a crisi che essi potrebbero fronteggiare in futuro, come la forte disoccupazione giovanile che potrebbe causare, come in passato, turbolenze nella regione. 

Non solo prevenzione delle crisi, ma soluzione dei problemi
Tuttavia resilienza non è solamente prevenzione delle crisi. Anzi, la resilienza mira ad agire sulle strutture per rispondere alle crisi cercando di andare alla radice del problema e non di farlo con un approccio emergenziale. Per esempio, in ciò che riguarda le crisi di lungo periodo in ambito di sicurezza, aiuto umanitario e allo sviluppo, la resilienza punta a rispondere alle fragilità strutturali dei Paesi in crisi, rendendoli capaci di fronteggiare le crisi attraverso lo sviluppo delle loro risorse interne, diminuendo nel frattempo anche la dipendenza da attori esterni. 
La resilienza è anche fondamentale nella prevenzione dei conflitti, e dunque nell’ambito delle politiche di sicurezza e difesa: promuovere riforme dei settori di sicurezza dei Paesi partner li rafforza nel mantenere una stabilità che giova non solo al Paese stesso, ma anche all’Unione stessa. Inoltre, il concetto di resilienza prevede che ciò avvenga nel rispetto degli standard dei diritti umani, consentendo all’Unione un’azione esterna che sia ancorata al rispetto dei diritti umani attraverso il “pragmatismo di principio” (principled pragmatism). 

Da promozione della democrazia a rafforzamento della resilienza? 
In effetti, diversi autori hanno considerato questo cambio nella politica estera dell’Unione come una rinuncia della stessa ad adottare un approccio basato sui valori europei nella sua azione esterna. In realtà, tale approccio cerca di incontrare i bisogni dei Paesi partner. È sicuramente, come già osservato da Mai’a K. Davis Cross, “una valutazione realistica di ciò che è possibile”. 
Le politiche di promozione della democrazia, portate avanti dall’Ue nel contesto della politica di vicinato, hanno in effetti avuto scarso successo, se escludiamo il caso della Tunisia – dove tuttavia fattori interni hanno contribuito alla stabilizzazione e alla transizione democratica -. Inoltre, il concetto di “promozione della democrazia” non è certo percepito con favore in Medio Oriente e Nord Africa, dove tale scopo è stato utilizzato nella giustificazione di conflitti armati, come l’ultima guerra in Iraq. 
La promozione della democrazia in questa regione ha principalmente fallito per la mancanza di corrispondenza tra le richieste della popolazione e le proposte europee. In Paesi instabili, dove si può faticare ad avere accesso ai beni primari a causa dei loro prezzi, o dove si rischia di rimanere vittime di violenze nel quotidiano, certamente la promozione della democrazia non è la priorità. 
Ciò non significa che essa non lo debba essere in futuro, ovvero che si debba ignorare il rispetto dei diritti umani: la resilienza cerca di rispondere alle sfide delle società a noi vicine mirando alla risoluzione dei loro problemi strutturali, e fa ciò in una maniera che promuova, di fondo, il rispetto dei diritti umani in modo da favorire in seguito al nascita di società democratiche, su richiesta dagli stessi cittadini di quei Paesi, in modo che il nuovo sistema valoriale sia più legittimato rispetto a quando esso viene promosso dall’esterno. 

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