Originale: The Intercept    

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3 settembre 2017

 

Charlie Hebdo e la critica

traduzione di Giuseppe Volpe

 

I novelli crociati della libertà di espressione nati dagli assassinii di dieci vignettisti di Charlie Hebdo a Parigi a gennaio del 2015 hanno cercato di promulgare un nuovo, e molto pericoloso, standard. Non era più sufficiente difendere il diritto di esprimere le proprie idee da parte di qualcuno condannando contemporaneamente quelle stesse idee, a lungo il principio centrale del movimento per la libertà di espressione (Io difendo il loro diritto alla libertà di espressione trovando contemporaneamente ripugnanti loro e le loro idee). Dopo le uccisioni di Hebdo uno doveva spingersi molto più in là: era un imperativo morale abbracciare e celebrare le idee sotto attacco e glorificare quelli che le esprimevano, finanche a dichiararsi essere loro (#JeSuisCharlie).

 

In conseguenza, criticare il contenuto delle vignette spesso spregevoli di Charlie Hebdo è diventato virtualmente blasfemo. E’ diventato comune pretendere non solo che uno difenda il diritto dei vignettisti a pubblicarle ma anche che manifesti “solidarietà”; uno doveva ripubblicare quelle vignette indipendentemente da quanto fosse contrario al loro contenuto, adottando così quell’espressione come propria. La contrarietà a profondere questi vignettisti di onori e premi è stata presentata come una specie di carenza morale o quanto meno di un impegno insufficiente al diritto alla libera espressione, come dimostrato dal diffuso, intenso sdegno scaricato sui giornalisti che hanno parlato schiettamente in opposizione al conferimento a Charlie Hebdo di un premio al gala di PEN America.

 

E’ stata così imposta una pericolosa fusione tra il diritto di esprimere l’idea X e l’opinione sull’idea X. Di tutti gli articoli che ho scritto negli ultimi molti anni, forse i più polarizzanti e generatori di rabbia sono stati quelli che ho scritto dopo gli assassinii di Charglie Hebdo: un articolo che respingeva la pretesa che uno dovesse celebrare e persino ripubblicare le vignette di Charlie Hebdo, criticando quelle vignette e illustrando i risultati dell’applicazione universale di questo nuovo, pericoloso standard (celebrare vignette offensive e blasfeme ripubblicandole); e poi una serie di articoli che difendeva gli autori di PEN America che si opponevano al premio a Charlie Hebdo in base al principio che uno poteva contemporaneamente difendere la libertà di espressione rifiutandosi di elogiare, onorare e glorificare quegli stessi diritti di espressione sono stati sotto attacco.

 

I giornalisti più disonesti e confuti hanno distorto la mia critica (e quella di altri) del contenuto dell’espressione di Charlie Hebdo trasformandola in un’opposizione alla stessa libera espressione. “Quando Glen Greenwald accusa di razzismo i vignettisti morti di Charlie Hebdo”, ha decretato l’alto sacerdote anti-islamista di New Atheism, Sam Harris, “non solo dimostra di essere un imbecille morale; egli partecipa a una guerra globale di idee sulla libertà di espressione, e sta dalla parte sbagliata”.

 

A confondere in modo simile questi concetti distinti è stato Jamie Palmer di Quillette che, dopo aver esaminato i miei anni di lavoro a difesa della libertà di espressione per chiunque, sia come avvocato sia come giornalista, ha in qualche modo concluso che “sarebbe sembrato logico supporre che la solidarietà di Greenwald al personale di Charlie Hebdo potesse essere data per scontata”.

 

Quello che è stato chiaro fin dall’inizio, e che io ho sostenuto ripetutamente, era che non era la convinzione circa la libertà di espressione a muovere le richieste che i vignettisti di Charlie Hebdo fossero onorati e riveriti e che le loro vignette fossero celebrate. La libertà di espressione era solo il pretesto, la maschera.

 

In realtà la maggior parte dei capi politici che hanno guidato la “parata della libertà di espressione a Parigi” (ritratti più sopra) ha lunghi precedenti di soppressione della libertà di espressione e pochi di questi nuovi crociati della libertà di espressione hanno spiccicato una parola quando i diritti alla libertà di espressione dei mussulmani sono stati aggrediti ed erosi in tutto l’occidente nel nome della Guerra al Terrore. Ciò che ha mosso tutto questo amore per Charlie Hebdo è stata l’approvazione del contenuto delle vignette: la soddisfazione che attaccavano, irridevano e infuriavano i mussulmani, uno dei gruppi più emarginati, vulnerabili e disprezzati dell’occidente.

 

La prova di questo è arrivata ieri. Charlie Hebdo ha pubblicato una vignetta caratteristicamente indegna che rappresentava come naziste vittime che annegavano dell’uragano Harvey a Houston con la scritta “Dio Esiste” perché, superfluo dirlo, i bianchi del Texas amano Hitler e dunque è una forma di giustizia divina se annegano.

Ciò ha determinato un’onda di marea virtualmente unanime di condanna di Charlie Hebdo, anche da molti ambienti che, solo due anni fa, santificavano la stessa rivista per la sua identica derisione di mussulmani. L’aggressione di ieri alle sensibilità dei bianchi ha anche indotto molti a riscoprire improvvisamente il principio che si può contemporaneamente difendere il diritto alla libertà di espressione di una persona esprimendo ripulsa per il contenuto della sua espressione.

 

Gli esempi sono sin troppo numerosi per citarli tutti; alcuni campioni rappresentativi saranno sufficienti. Ecco qui Piers Morgan nel gennaio del 2015 con un amato tweet che è stato ritrasmesso da quasi 24.000 persone:

 

Ed eccovi lo stesso Piers Morgan ieri:

Per il delitto di aver deriso statunitensi bianchi ieri è stato comune un veemente sdegno nei confronti di Charlie Hebdo. “Una malvagia, spregevole copertina”, è stata l’opinione di Tiana Lowe della National Review, che ciò nondimeno ha aggiunto che “i perdenti di Charlie Hebdo hanno un diritto naturale di pubblicarla”. Paul Joseph Watson di Infowars, a lungo tifoso delle vignette anti-mussulmane di Charlie Hebdo e promotore del dovere di ripubblicarne il contenuto, ha annunciato ieri che, in effetti, uno può detestare e denunciare le vignette pur contemporaneamente sostenendo il loro diritto alla libertà di espressione: “La copertina di Charlie Hebdo è offensiva & stupida e io appoggio totalmente i loro diritto di essere offensivi & stupidi quanto preferiscono”.

 

L’attore di destra James Woods ha annunciato: “E questo è quanto per ‘Je Suis Charlie’, immagino”, definendo i vignettisti “traditori francesi” in un hashtag aggiunto. Byron York della National Review, mostrando una foto della nuova copertina, è stato analogamente schietto: “Oggi non siamo tutti Charlie Hebdo”. Un tweet popolare del giornalista Jason Howerton della conservatrice Independent Journal Review – che in precedenza aveva deriso i canali giornalistici per non aver mostrato  le vignette anti-islamiche complete di Charlie Hebdo – ha dichiarato che, dopotutto, non si dovrebbero condividere le vignette di Charlie Hebdo che si considerano detestabili: “Stavo per scoppiare riguardo a Charlie Hebdo per quella rivoltante copertina sul Texas. Ma poi mi sono reso conto che è quello che vogliono. ‘Fanculo. Non la condivido.”

 

E’ quasi come se la glorificazione e gli elogi a Charlie Hebdo che erano divenuto moralmente obbligatori nel 2015 non avessero nulla a che fare con la libertà di espressione e tutto a che fare con l’amore per il contenuto anti-islamico delle vignette di Charlie Hebdo. Questa nuova regola che si deve non solo difendere i diritti alla libertà di espressione di Charlie Hebdo ma anche onorare ed elogiare il suo lavoro pare essere scomparsa piuttosto istantaneamente, persino violentemente, non appeno il bersaglio della rivista ha smesso di essere i mussulmani e ha cominciato a essere gli statunitensi bianchi.

 

Questa persona l’ha detto nel modo migliore:

Tom Bloke @21logician

Sono davvero arrabbiato oggi con charlie hebdo per aver fatto quello che fa sempre solo che questa volta lo ha fatto a un gruppo al quale mi sento legato

 

Quello che è successo qui è più che ovvio: Charlie Hebdo era divertente, deliziosamente provocatorio, audace e meritevole di premi quando pubblicava derisioni di mussulmani. Quando ha cominciato a pubblicare esattamente lo stesso genere di cosa mirata a Statunitensi Bianchi è diventato ‘spregevole’, ‘malvagio’, ‘indegno’, ‘perdente’ e ‘traditore’. Come ha detto questa mattina l’autore Robert Wright: “Immagino che questa volta PEN non darà un premio a Charlie Hebdo”.La campagna virale dell’hashtag su Twitter del 2015 sarebbe stata più onesta se avesse detto: “#JeSuisCharlie (*pour les bandes dessinées sur les musulmans”): “#SonoCharlie (*per le vignette sui mussulmani)”.

 

A prescindere da qualsiasi altra cosa, facciamo che questo episodio determini la completa e permanente morte del nuovo, distorto principio che per difendere la libertà di espressione si debbano celebrare le idee sotto attacco e onorare quelli che le manifestano. Non avrebbe mai dovuto essere difficile afferrare l’elementare e tuttavia vitale distinzione tra difendere il diritto a che le idee siano espresse e la celebrazione di tali idee. Ora che la vignetta di Charlie Hebdo è diretta contro statunitensi bianchi, offendendo occidentali bianchi, sembra che la saggezza di questo principio sia stata riscoperta.

 

 


Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/charlie-hebdo-criticizism/

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