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Set 17, 2017

 

Euro, parla il consulente dei governi tedeschi: “Un evidente fallimento”

di Nicola Mattei

 

Berlino, 17 set – “Non è possibile mantenere l’euro”: classe 1937, una carriera nell’alta consulenza aziendale sfociata nella politica (fu stretto consulente di Gerhard Schröder ma nel 1998, quando questi divenne cancelliere tedesco, rifiutò la carica di ministro dell’Economia), Roland Berger – l’omonima società da lui fondata negli anni ’60 è oggi diffusa in tutto il mondo e ha avuto, fra i più recenti clienti, niente meno che Alitalia alle prese con l’ultimo piano industriale – si appresta a tagliare il traguardo degli 80 anni ma ciò non gli impedisce di avere le idee decisamente chiare sul futuro. E di queste ha parlato in un’intervista rilasciata al quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung.

 

“L’euro è evidentemente un fallimento – spiega Berger – e divide l’Europa. Nei paesi latini la disoccupazione giovanile è fra il 30 e il 50%. Non è accettabile. Poiché i tassi di cambio fra i diversi paesi dell’area euro non possono essere aggiustati secondo la loro competitività, fra i diversi stati ci sono ormai dei disallineamenti intollerabili”. “Come alternativa – aggiunge – resta l’unione di trasferimento”. Berger si riferisce alla possibilità di compensare divari altrimenti insanabili con trasferimenti fiscali dal centro alla periferia, per un ammontare che gli esperti stimano in diverse decine di miliardi di euro: “Chi sarà però alla fine a dover pagare per l’unione di trasferimento lo sappiamo: saranno i tedeschi”, riconosce argutamente, lasciando intendere che a Berlino l’ipotesi non è neanche contemplata: “I tedeschi non sono pronti per fare questo passo. La scelta più semplice e probabilmente la più ragionevole anche dal punto di vista economico è lo scioglimento dell’euro”.

Non manca comunque una possibilità per ciò che può rimanere dell’Unione, che Berger vede all’incirca nel ritorno all’epoca pre-Maastricht, come molti sostenitori dell’uscita dal consesso comunitario chiedono: “Sui grandi temi possiamo raggiungere dei risultati importanti, soprattutto se l’Europa lavora insieme. Come coronamento, ma solo dopo aver approfondito l’integrazione, si potrebbe prendere in considerazione la possibilità di reintrodurre l’euro. Invece della “teoria della incoronazione” all’epoca si è scelta la “teoria del locomotore”: l’euro come motore per un governo europeo, che è visibilmente fallita“.

 


 

http://www.sueddeutsche.de/

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mercoledì 6 settembre 2017

 

Roland Berger: "meglio la fine dell'euro che l'unione di trasferimento"

 

Roland Berger, grande consulente d'impresa nonché storico consigliere politico per diversi governi tedeschi, intervistato dalla Süddeutsche Zeitung in occasione dei suoi 80 anni non le manda a dire: l'euro è stato un fallimento, meglio la fine della moneta unica che una unione di trasferimento a spese dei tedeschi. 

 

SZ: se Frau Merkel le chiedesse un consiglio, cosa le direbbe?

 

Berger: in primo luogo le direi di affrontare una fondamentale riforma dell'istruzione. E' intollerabile che nel nostro paese ancora oggi i figli dei laureati abbiano il triplo delle possibilità di andare all'università rispetto ai figli dei non laureati. Cio' è moralmente ingiustificabile e implica una enorme perdita di talenti per la nostra società. Inoltre, ogni studente dovrebbe essere in grado di programmare e conoscere almeno un linguaggio di programmazione, in modo da essere pronto per il mondo digitale.

 

SZ: si parla da anni di una riforma dell'istruzione ma nulla è cambiato

 

Berger: e' vero. Ma io spero che il prossimo governo prenda sul serio la questione. Il problema è che i successi di una riforma dell'istruzione saranno visibili solo fra 15 o 20 anni - molto dopo la fine di una legislatura, che è decisiva per la rielezione dei politici. In secondo luogo cercherei di stabilizzare l'Unione Europea.

 

SZ: secondo lei come dovrebbe essere stabilizzata l'UE?

 

Berger: la crisi dell'euro deve essere risolta. O con una unione di trasferimento accompagnata da massicce riforme nei paesi in crisi, oppure con la dissoluzione dell'euro.

 

SZ: rinunciare all'euro?

 

Berger: l'euro è evidentemente un fallimento e divide l'Europa. Nei paesi latini la disoccupazione giovanile è fra il 30 e il 50%. Non è accettabile. Poiché i tassi di cambio fra i diversi paesi dell'area euro non possono essere aggiustati secondo la loro competitività, fra i diversi stati ci sono ormai dei disallineamenti intollerabili, che dividono l'Europa.

 

SZ: non sarebbe l'intera UE ad essere in pericolo se l'euro dovesse essere sciolto?

 

Berger: io non credo. Vedere Frau Merkel rappresentata in uniforme nazista in Grecia e in Italia ci mostra il livello di divisione raggiunto. L'Europa è divisa. Non è possibile mantenere l'euro. Come alternativa resta l'unione di trasferimento, che corrisponde al concetto del presidente Macron. Chi sarà pero' alla fine a dover pagare per l'unione di trasferimento lo sappiamo: saranno i tedeschi.

 

SZ: temporaneamente pero' potrebbe anche essere ragionevole

 

Berger: ma i tedeschi non sono pronti per fare questo passo. La scelta piu' semplice e probabilmente la piu' ragionevole anche dal punto di vista economico è lo scioglimento dell'euro. L'asset piu' importante di tutta l'integrazione europea è l'UE, vale a dire prima di tutto il mercato comune con le 4 libertà fondamentali, e cioè la libera circolazione delle merci, dei servizi, delle persone e dei capitali. A cio' si aggiunge Schengen, una politica comune di sicurezza e di difesa, una politica di innovazione europea con una infrastruttura digitale ed un ruolo attivo dell'UE nella globalizzazione. Sui grandi temi possiamo raggiungere dei risultati importanti, soprattutto se l'Europa lavora insieme. Come coronamento, ma solo dopo aver approfondito l'integrazione, si potrebbe prendere in considerazione la possibilità di reintrodurre l'euro. Invece della "teoria della incoronazione" all'epoca si è scelta la "teoria del locomotore": l'euro come motore per un governo europeo, che è visibilmente fallita.

 

SZ: cosa è migliorato oggi nell'economia tedesca rispetto a 40 anni fa, che cosa è peggiorato?

 

Berger: nulla è peggiorato. Dalla riunificazione il nostro prodotto interno lordo pro-capite è piu' che raddoppiato. La nostra reputazione internazionale non è mai stata cosi' positiva. La gestione delle imprese nel nostro paese è eccellente. La nostra economia è molto competitiva. Il numero degli occupati in Germania non è mai stato cosi' alto.

Corriere della Sera

http://www.cinquantamila.it/

16 gennaio 2017

 

Intervista a Roland Berger

di Federico Fubini

 

Roland Berger è nato e cresciuto in Germania, ma ha iniziato a imparare l’italiano già nel 1957. Lo ha fatto durante una vacanza estiva a Roma, ventenne fresco di studi umanistici, quando si rese conto che grazie alle sue nozioni di latino poteva leggere i quotidiani. E forse perché l’amore per l’Italia e la sua vocazione europea hanno radici così profonde, il celebre consulente, oggi anche consigliere della cancelliera Angela Merkel, che si sente libero di parlare dei problemi che secondo lui l’unione monetaria ha davanti.
Di recente lei ha detto che forse la Germania dovrebbe valutare l’idea di uscire dall’euro per salvare l’Unione Europea. Che intendeva dire?
«Ero scettico sull’euro prima che fosse introdotto e purtroppo i miei timori si sono dimostrati corretti. È stato un fallimento. L’euro era partito sulla base di alcuni presupposti sbagliati. Si pensava che il tasso di cambio all’ingresso avrebbe garantito che la competitività dei diversi Paesi si sarebbe aggiustata. Inoltre le fondamenta del progetto erano costruite sul trattato di Maastricht, ma dall’introduzione dell’euro le sue regole sono state violate almeno 165 volte. E si pensava che ci sarebbe potuta essere una politica economica e di bilancio dell’area monetaria, che avrebbe portato a risultati coordinati».
Il bilancio, secondo lei, qual è?
«Che ora abbiamo Paesi con gradi di competitività molto diversi. Se si guarda al cosiddetto mondo meridionale o latino, c’è una percezione politica secondo cui la crescita attraverso il finanziamento a debito, se posso dire così, è quasi la regola. La Germania invece è tornata a una posizione di notevole competitività malgrado gli oneri della riunificazione perché nel 2003 e 2004, con il governo di Gerhard Schroeder, ha affrontato riforme dal lato dell’offerta. Adesso sta crescendo piuttosto bene: potrebbe fare meglio, ma non crea nuovo indebitamento, il debito è ancora sopra ai limiti di Maastricht ma in rapido calo, e c’è praticamente piena occupazione».
Allora perché dovrebbe rinunciare all’euro?
«I numeri dell’economia tedesca a confronto delle altre sono noti. Oggi abbiamo una politica monetaria della Banca centrale europea che mi pare corretta per il 75% dell’area euro, ma è decisamente sbagliata per la Germania. Nel caso di un crollo dell’euro, la Germania pagherebbe la gran parte del debito. Dunque la Germania in una certa misura, anche per il suo surplus nei suoi conti con l’estero, è diventata una sorta di elemento di disturbo».
Vuole dire che la sua competitività è troppo diversa da quella degli altri?
«In effetti. E ora corre il rischio di perdere competitività essa stessa perché per noi il tasso di cambio dell’euro è troppo debole. La nostra economia dipende al 50% dall’export e perciò dalla nostra competitività globale».
Perché una moneta troppo debole creerebbe squilibri?
«Con il marco, il mondo delle imprese era abituato a rivalutazioni costanti, dunque investiva per guadagnare produttività. Questa esigenza ora è scomparsa. L’attuale tasso di cambio dell’euro non è tale da aiutare la Germania. Aiuta il nostro export, ma superficialmente, proprio perché scoraggia gli investimenti e gli aumenti di produttività. Il nostro Paese è economicamente un animale diverso. Ci sarebbe molta più armonia se fosse fuori e i Paesi latini, Francia inclusa, restassero nell’euro. Ma la Germania non uscirà mai, o almeno non nei prossimi cinque anni, prima che venga un’altra crisi: non lo farà per ragioni politiche e storiche, e perché gran parte della nostra classe politica pensa ancora che la zona euro e l’Unione Europea siano la stessa cosa. Non è così. Noi dobbiamo fare di tutto per mantenere la Ue, perché è un grande successo politico e economico».
Lei conosce bene l’economia italiana. Riuscirà a risollevarsi?
«La produttività è un disastro. L’Italia deve rimanere nella Ue e forse anche nell’euro. Il suo problema non è la classe imprenditoriale, che è eccellente. Ho dubbi sulle imprese pubbliche o vicine allo Stato, ma quelle private di tutte le dimensioni sono molto competitive. I problemi principali per me sono l’infrastruttura burocratica, la giustizia che funziona male, e un governo che finora si è dimostrato incapace di fare riforme o di farle al momento giusto. Un turnaround è possibile. Ma non so da dove viene questa apparente incapacità dell’Italia di fare ciò di cui ha bisogno. Se non riesce a cambiare, sarà sempre un problema. E non ce ne sarebbe ragione perché i lavoratori italiani, almeno quelli con una formazione, sono eccellenti. Quando vengono in Germania spesso fanno meglio dei loro colleghi tedeschi».
Visto dalla Germania, che impressione si ha del nostro Paese?
«Credo che tutti in Europa, Germania in testa, sarebbero disposti a aiutare l’Italia, anche finanziariamente, se pensassero che cambierà qualcosa. Se non temessero che i soldi verranno spesi malamente. Questo è un pregiudizio tedesco. Un politico che proponga di aiutare l’Italia per renderla migliore non sarebbe molto ben accolto dai suoi elettori».
Perché assistono all’eterno ritorno degli stessi problemi? Da ultimo, Alitalia.
«È un’azienda di Stato».
Lo era.
«Certo, ricordo: sono stato coinvolto nel caso. In precedenza ero stato coinvolto nella ristrutturazione di Lufthansa e ne abbiamo fatto un’azienda competitiva. Ma Alitalia ha sempre cercato di prendere la strada più facile e il sistema dei sindacati in Italia è un problema. Sono sindacati di ispirazione politica, non spinti da motivazioni economiche per il benessere dei lavoratori».
Torna anche la questione dei costruttori auto. Prima gli Stati Uniti accusano Volkswagen, ora Fiat-Chrysler. Atti giustificati o di ispirazione politica?
«Sono piuttosto sicuro, purtroppo, che nel caso Volkswagen è stato molto ingenuo violare la legge, sapendo come avrebbe reagito il sistema americano. Del resto quello non è il solo caso. Lei ha citato Fiat. Ma prenda la questione dell’Iran. Oggi è un’area in cui noi europei potremmo legittimamente fare affari, eppure nessuna banca europea si arrischia per timore di avere problemi o ricevere multe negli Stati Uniti. Intanto, per qualche ragione, gli hotel internazionali di Teheran sono pieni di americani».
Donald Trump sarà meno attento alle questioni ambientali del dieselgate?
«Tutto questo non ha niente a che fare con la preoccupazione per l’ambiente. Se gli americani trovano qualcosa che possa colpire un loro concorrente, colpiscono. Di questo si può star certi».

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