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giovedì 24 agosto 2017 

 

Il vescovo Lojudice: tutti sconfitti, la politica sia più presente

di Mimmo Muolo 

 

I rifugiati sgomberati dal palazzo e poi dalla piazza sono tutti in regola. Ma non si è previsto un piano per alloggiarli. L'assenza della politica

 

È stato testimone oculare delle decisive fasi, le più concitate, dello sgombero di piazza Indipendenza. «Ero lì – racconta monsignor Paolo Lojudice, vescovo ausiliare di Roma e delegato di Migrantes per il Lazio – e ho visto che a un certo punto c’era la chiara intenzione di portare a compimento l’opera di sgombero. Quello che è successo dopo – uso degli idranti da parte della polizia, lancio di oggetti da parte dei più irriducibili – è stata una mera conseguenza. Un ragazzo si è steso persino per terra, vicino alle ruote di un mezzo. Ma il problema è molto più a monte. E non si può risolvere in questo modo».

 

Ci sono a suo avviso delle responsabilità?
La responsabilità deriva da un’assenza. Non si può pensare di risolvere una situazione vecchia di quattro anni in due o tre giorni, ricorrendo solo alla forza. Qui la politica avrebbe dovuto agire in maniera preventiva, attraverso l’opera di assistenti sociali, mediatori culturali, prendendo in mano le situazioni persona per persona, famiglia per famiglia e avviandole caso per caso a soluzione. Tutto questo nel tempo è mancato e si arrivati alle scene odierne. In sostanza ne usciamo tutti un po’ sconfitti. Ma non è solo una questione di immigrati. Le stesse situazioni le viviamo ad esempio nel caso delle famiglie rom o anche quando ad occupare in cerca di soluzione abitative sono gli italiani.

 

Che cosa propone?
È indispensabile prevedere percorsi di vera integrazione, abbandonando la logica dell’emergenza. Altrimenti il problema di piazza Indipendenza lo sposteremo semplicemente da una parte all’altra della città o dell’Italia. Oppure ci esporremo al rischio che queste situazioni vengano infiltrate non dico da terroristi (Dio ce ne scampi), ma più facilmente da facinorosi che per perseguire i loro scopi magari fomentano eventuali reazioni violente.

 

Ci sono modelli di sistemazione delle persone in emergenza abitativa che funzionano?
Ci sono dei residence gestiti da cooperative o dal volontariato, dove vivono anche 60-70 famiglie. Io ne conosco uno nella zona di Capannelle. Dico ai politici: partiamo da questi modelli che funzionano e riproduciamoli prima che le situazioni si incancreniscano.

 

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