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Venerdì 10 marzo 2017

 

Olanda: Wilders alla prova del voto

di Mario Lombardo

 

Le elezioni legislative previste per mercoledì prossimo in Olanda sono il primo di una serie di appuntamenti con le urne in Europa che, nel corso del 2017, potrebbero cambiare radicalmente il volto non solo dei paesi interessati ma anche della stessa Unione. La relativa marginalità olandese ha perciò lasciato spazio quest’anno a un profondo interesse internazionale per l’esito del voto in questo paese, dove la variabile decisiva è rappresentata dal Partito per la Libertà di estrema destra (PVV) di Geert Wilders.

 

A lungo dato come probabile primo partito nella futura camera bassa del parlamento olandese, secondo i più recenti sondaggi il PVV sembra ora in declino, così che a raccogliere il maggior numero di seggi potrebbe essere nuovamente il Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia di centro-destra (VVD) dell’attuale primo ministro, Mark Rutte.

 

Se pure quello di Wilders dovesse diventare il primo partito olandese, è improbabile, anche se non del tutto da escludere, che quest’ultimo possa assumere la carica di primo ministro. Tutti o quasi i principali partiti si sono infatti detti non disponibili a entrare in un governo di coalizione con il PVV, mentre Wilders ha dichiarato di non avere alcuna intenzione di allearsi con Rutte e il suo VVD.

 

Il risultato dell’estrema destra olandese sarà nondimeno osservato con estremo interesse fuori e dentro i confini del paese. Nell’immediato, un risultato solido o superiore alle attese potrebbe incoraggiare e dare un’ulteriore spinta al Fronte Nazionale (FN) in Francia, dove a Marine Le Pen vengono date ottime probabilità quanto meno di approdare al secondo turno di ballottaggio delle presidenziali che si terranno tra aprile e maggio.

 

L’affermazione del PVV, insomma, potrebbe accelerare un’ondata populista, xenofoba e anti-europeista che minaccia di travolgere le strutture europee già in gravissima crisi dopo il voto sulla “Brexit” e l’elezione di Donald Trump negli Stati Uniti.

 

L’avanzata della destra estrema non è ovviamente un fenomeno solo olandese o francese, come stanno dimostrando gli eventi politici di questi mesi, né esso è legato alle singole personalità di un Wilders o di una Le Pen. La minaccia che questi movimenti rappresentano e la loro capacità di intercettare consensi relativamente ampi tra la classe media e i lavoratori dei singoli paesi sono la diretta conseguenza delle politiche dei partiti tradizionali, sia di destra sia nominalmente di sinistra.

 

Il caso olandese non fa eccezione. La stampa internazionale si sta chiedendo in questi giorni come un paese che vanta un tasso di crescita economica tutto sommato sostenuto e un livello di disoccupazione appena superiore al 2% possa mostrare segnali di malessere tali da rischiare di ritrovarsi con un governo di estrema destra. La ragione offerta solitamente è quella di una popolazione sempre più ostile ai flussi migratori, così che questi sentimenti hanno finito per essere cavalcati dai partiti populisti e conservatori che vedono ora salire i propri indici di consenso.

 

In realtà, ciò che è accaduto sembra essere piuttosto il contrario. La destra e l’estrema destra hanno alimentato deliberatamente la presunta minaccia di immigrati e rifugiati, ovvero la parte più debole della società, in modo da distogliere l’attenzione degli elettori dai problemi e dalle contraddizioni di un sistema economico in declino e che non è più in grado di garantire il benessere relativamente diffuso dei decenni scorsi.

 

Anche in Olanda, d’altra parte, i governi che si sono succeduti fino a oggi hanno imposto tagli importanti al welfare o hanno accelerato la casualizzazione del mercato del lavoro, malgrado la generosità delle protezioni sociali rimanga superiore a quella che si registra ad esempio nei paesi dell’Europa meridionale. I partiti di estrema destra come il PVV olandese si sono così appropriati in maniera opportunistica della difesa delle classi più disagiate, laddove le formazioni tradizionali di sinistra hanno abbracciato il neo-liberismo economico.

 

Significativamente, lo stesso Wilders è passato dall’essere un convinto liberista quando faceva parte del VVD al populismo attuale. Il risicato programma elettorale del suo partito prevede, tra l’altro, l’abbassamento dell’età pensionabile, la riduzione dei contributi pagati dai singoli cittadini per i propri piani sanitari e l’aumento della spesa pubblica destinata all’assistenza per gli anziani. Il tutto accompagnato dalla chiusura di moschee e scuole islamiche, dalla messa al bando del Corano e dallo stop agli immigrati provenienti dai paesi musulmani.

 

A riassumere perfettamente il senso di disorientamento e di frustrazione nei confronti della classe politica tradizionale, assieme al vuoto della sinistra e agli effetti deleteri della retorica populista della destra estrema, sono ad esempio le parole di un’elettrice olandese raccolte e pubblicate nei giorni scorsi dalla rivista tedesca Der Spiegel.

 

La pensionata 66enne intervistata dal magazine tedesco sostiene di essere sempre stata un’elettrice del Partito Socialista olandese (SP), come lo erano quasi tutti i suoi ex colleghi di lavoro. I leader di questo partito sono considerati però ora dei “bugiardi”. Il governo è invece colpevole di avere “aumentato l’età di accesso alla pensione” e il suo assegno mensile è fermo da tempo. Inoltre, aggiunge la donna, ogni mese è costretta a “sborsare 151 euro per l’assicurazione sanitaria, mentre i musulmani ottengono tutto gratis”. Il suo voto mercoledì prossimo andrà ovviamente al PVV di Geert Wilders.

 

Nella realtà dei fatti, quella in atto in Olanda non è esattamente un’invasione di immigrati e rifugiati. Nel 2015, sugli 1,2 milioni di richiedenti asilo in Europa, l’Olanda ne ha ricevuti 43 mila, vale a dire circa la metà di quelli della Germania in proporzione al numero degli abitanti. Lo scorso anno, poi, la quota si è ulteriormente dimezzata in seguito all’accordo di Bruxelles con la Turchia per il controllo dei rifugiati provenienti dalla Siria.

 

La percezione della minaccia degli stranieri continua però a essere superiore alla realtà e ciò a causa principalmente del clima creato deliberatamente dai politici, non solo di estrema destra. La Reuters ha citato questa settimana un sondaggio Ipsos del 2016, secondo il quale gli olandesi credono in media che circa il 19% della popolazione del loro paese sia costituita da musulmani, mentre in realtà si aggira attorno al 5%.

 

Questa retorica anti-immigrati è stata sposata da tempo anche dai partiti centristi in Olanda. Uno studio condotto da un’organizzazione di avvocati olandesi ha recentemente concluso che i programmi di tutti e cinque i principali partiti che parteciperanno alle elezioni legislative contengono iniziative “apertamente discriminatorie”, illegali e contrarie alla costituzione.

 

Il partito del premier Rutte promette da parte sua un giro di vite sulle norme per l’immigrazione, l’aumento del periodo di residenza in Olanda necessario per ottenere la naturalizzazione, l’obbligo di avere un impiego e la conoscenza della lingua locale per i futuri immigrati, la revoca della cittadinanza per gli stranieri che commettono crimini.

Lo stesso capo del governo nel mese di gennaio aveva pubblicato una lettera aperta nella quale descriveva il “crescente disagio nei confronti di persone che si avvantaggiano delle nostre libertà per creare problemi”. Rutte affermava inoltre di condividere il parere degli olandesi che sostengono nei confronti degli immigrati: “se siete così fondamentalmente ostili al nostro paese, è meglio che ve ne andiate”.

 

La strategia del VVD di Rutte, ma anche di altri partiti “moderati”, appare simile a quella messa in atto in maniera fallimentare e drammaticamente controproducente anche in Francia dai Socialisti e dalla destra gollista per cercare di contrastare l’ascesa del Fronte Nazionale. Il tentativo è cioè quello di far proprie alcune proposte xenofobe e anti-democratiche in una corsa verso destra che non fa che legittimare e favorire i partiti estremisti.

 

Ad ogni modo, mercoledì prossimo i circa 13 milioni di olandesi con diritto di voto dovranno scegliere tra 28 partiti che si divideranno i 150 seggi messi a disposizione attraverso una legge strettamente proporzionale. La soglia di consensi che garantisce la rappresentanza nella camera bassa è dello 0,67% che tra gli 11 e i 15 partiti dovrebbero essere in grado di superare.

 

Attualmente, la maggioranza di governo è formata da una coalizione tra il VVD del premier Rutte e il Partito Laburista di centro sinistra (PvdA). Quest’ultimo è dato in netto calo, a causa delle politiche di destra che ha appoggiato negli ultimi cinque anni. Gli altri partiti di orientamento centrista che dovrebbero spartirsi il maggior numero di seggi e che potrebbero entrare in una coalizione di governo sono i Cristiano Democratici (CDA), i “social-liberali” Democratici 66 (D66) e l’Unione Cristiana (CU).

 

Tra le altre formazioni di centro-sinistra dovrebbero far segnare invece progressi i Socialisti (SP) e i Verdi (GL), il cui leader è il 30enne di origine marocchino-indonesiana, Jesse Klaver, il quale sta facendo campagna elettorale ricalcando le strategie di Obama e Bernie Sanders negli Stati Uniti.

 

Secondo consuetudine, il leader del partito che otterrà il maggior numero di voti dovrà cercare di mettere assieme una nuova maggioranza di governo, ma ciò avverrà difficilmente se a prevalere dovesse essere il PVV di Wilders. Al momento, Rutte sembra essere favorito per confermarsi alla guida del prossimo governo, anche se la composizione della futura maggioranza sarà tutta da verificare.

 

Quel che è certo è che, se anche Wilders rimarrà fuori dalle stanze del potere a L’Aia, la sua presenza continuerà a essere determinante e, anzi, dall’opposizione contribuirà con ogni probabilità a spostare ulteriormente a destra il panorama politico olandese e, forse, anche quello di altri paesi europei.

 

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