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18 agosto 2017

 

Barcellona scuote tutti da un sogno colpevole

di Sergio Cararo

 

La dinamica dell’attacco terrorista a Barcellona è simile a quanto avvenuto in altre metropoli europee come Nizza o Londra ma lo scenario che apre è diverso e inquietante. Ad essere colpito è un paese del blocco occidentale, membro attivo e allineato della Nato ma non in prima fila nella “guerra sporca” scatenata negli ultimi anni in Medio Oriente da Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti. Una situazione più simile all’Italia fino al 2011 ma che adesso conferma come nessun paese – tantomeno quelli dell’Europa meridionale – possano considerarsi al di fuori della guerra globale asimmetrica in corso da anni.

L’Isis – o Daesh per gli arabi – ha rivendicato l’attentato di Barcellona coprendo così politicamente un attacco che sembra essere più essere il risultato di una pianificazione che il gesto di un “lupo solitario”. Era stato così anche per le stragi di Madrid, quasi quindici anni fa, che fecero 190 morti. La Spagna si interroga sul perché sia finita al centro del mirino ma le risposte che riesce a darsi non sono esaudienti.

La Spagna, come l’Italia, sono diventate – loro malgrado – la prima linea di “ascari” con cui il blocco occidentale – e l’Unione Europea in particolare –  si scontra con l’ebollizione sociale e demografica del sud del mondo. Gli spostamenti di profughi causati dalle guerre, dalla dissoluzione degli Stati esistenti provocata e ottenuta dagli interventi occidentali, da siccità o insopportabilità delle condizioni di vita sono enormi, e solo in minima parte riescono a raggiungere le coste settentrionali dell’Africa per cercare di passare in Europa. Ma è proprio qui che si trovano di fronte il muro costruito da Spagna e Italia. Più consolidato il primo, più recente il secondo.

Per la Spagna il compito è facilitato dalla sopravvivenza di due enclavi coloniali a Ceuta e Melilla sulla costa africana. L’Italia ha invece riempito il mare e le coste libiche con un blocco navale ed ora terrestre con il compito di fermare chi fugge, con ogni mezzo e senza alcuna remora morale sui mezzi adottati. Tutti i testimoni scomodi sono stati allontanati.

Questo mondo dunque va sempre visto da diverse prospettive per ricavarne una sintesi attendibile. In Spagna e in Italia si chiede e si vuole che il mondo di sotto venga fermato lì dove sta e senza scrupoli. Il mondo di sotto guarda gli Stati europei e ne vede ormai solo i muri, le navi, gli accordi indicibili con regimi o signori della guerra che fanno il lavoro sporco in cambio di soldi. Sembra uno dei romanzi distopici di Valerio Evangelisti, ma è la realtà.

In questo contesto agiscono le organizzazioni jihadiste che hanno gioco facile nell’indicare nei paesi europei la causa dei mali che affliggono Africa e Medio Oriente. L’Isis ha spesso richiamato anche la riconquista di El Andalus, cioè della Spagna conquistata e vissuta dai musulmani per più di sette  secoli.

Ma la guerra ha bisogno delle sue vittime e le vittime non possono che essere i civili che affollano le metropoli europee come le coste africane o i barconi con cui cercano di lasciarsele alle spalle.

Quando scriviamo che le guerre sono le vostre ma i morti sono i nostri, intendiamo descrivere e denunciare una realtà ben visibile ma occultata dai governi, dai loro apparati ideologici di stato. E’ dal 1991 che le potenze occidentali hanno sistematicamente disgregato il mondo esistente nel sud del mondo per poterne trarne vantaggi in termini di risorse, controllo della forza lavoro, creazione di paradisi esclusivi per il turismo d’elite e di massa. Avevano sperato che potesse essere un gioco facile, una asimmetria gestibile anche con repentini cambi di alleanze, con finanziamenti a geometria variabile e quando necessario interventi militari di maggiore o minore rilievo.

Se mettiamo  in fila Iraq, Somalia, Sudan, Eritrea, Etiopia, Mali, Repubblica Centroafricana, Ghana, Burkina Faso, Sierra Leone, Liberia, Costa D’Avorio, Ciad ed infine Libia e Siria, troveremo nella storia recente di questi paesi la pesante traccia del tallone di ferro lasciata da francesi, britannici, italiani, spagnoli, statunitensi.

I network della jihad giocano una doppia partita: una contro l’occidente l’altra una competizione interna. Quest’ultima vede in particolare l’ambizione dell’Isis e di Al Qaida ad essere la vera guida della jihad globale del XXI Secolo. Entrambe prima alimentate dalle potenze occidentali poi combattute, in un gioco di alleanze a geometria variabile che produce più risentimenti che stabilità.

Al Qaida appare più strutturata e con maggiore esperienza. La sua rete, nonostante i colpi subiti, ha maggiore esperienza, anche nel colpire i territori metropolitani delle potenze coloniali. L’Isis ha tentato la carta della statualizzazione del Califfato dandogli anche una strutturazione territoriale a cavallo tra Iraq e Siria. Entrambe usano i mass media e il terrore come arma di combattimento, producendo effetti non troppo dissimili dai bombardamenti missilistici o aerei delle potenze occidentali sui paesi del medio oriente o africani. Il terrore è terrore e a pagarne le conseguenze sono soprattutto i civili, innocenti ma ritenuti sempre meno inconsapevoli dai due eserciti.

Infine, ma non per importanza, c’è la domanda che tutti si pongono da ieri pomeriggio: se hanno colpito Barcellona quando toccherà all’Italia? E su questo occorre ammettere che l’attentato terroristico di Barcellona ha svegliato molti dal sogno su cui si stavano cullando. Il non voler sapere, vedere, sentire quanto sta accadendo e accadrà nel Mediterraneo o sulle coste libiche per rimuovere dalla nostra esistenza quotidiana una realtà che ha tirato fuori il peggio dalla società italiana, sia a livello istituzionale che nel senso comune popolare.

Ma la guerra c’è, non è stata dichiarata con documenti consegnati da seriosi ambasciatori ma c’è ed agisce concretamente, inaspettatamente, seminando il terrore che prova ogni popolazione coinvolta in una guerra quando avviene sul proprio territorio. Occorre solo decidere se la via d’uscita è quella indicata dal governo e da Minniti o indicare una alternativa globale euromediterranea che non può che fare a meno della subalternità all’Unione Europea e alla Nato. Il Trattato di Dublino sull’immigrazione e il carattere aggressivo della Nato ce li hanno spacciati sempre come un rafforzativo della sicurezza del paese. I fatti ci dicono invece che sono proprio essi la causa della crescente insicurezza.

 

 

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