Fonte: Nena News

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Ott 25, 2017

 

Iraq. Il Kurdistan congela l’indipendenza e chiede il dialogo

 

Mano tesa di Barzani a Baghdad, chiesto il cessate il fuoco. Il presidente del Krg è alle strette e il parlamento non gli rinnova il mandato. Ma la battaglia potrebbe continuare: nel mirino il valico di frontiera di Fish-Khabur

 

Roma, 25 ottobre 2017, Nena News –

 

Nella notte è arrivata la mano tesa del Kurdistan iracheno al governo centrale di Baghdad: pronti a congelare i risultati del referendum sull’indipendenza, esattamente ad un mese dal voto del 25 settembre.

 

La notizia giunge con un comunicato che propone il cessate il fuoco e l’interruzione di ogni operazione militare nella regione del Kurdistan. Non, dunque, direttamente dal presidente Barzani che da settimane ormai non si mostra più in pubblico. Dopo aver raccolto l’entusiasmo della popolazione per un voto consultivo ma comunque storico, il leader del Kdp si è ritrovato isolato all’esterno e all’interno, debole e con i carri armati iracheni alle porte.

“La situazione pericolosa e le tensioni tra forze irachene e forze kurde ci pongono di fronte a responsabilità storiche – si legge nella nota inviata a Baghdad – e ci spingono a evitare una guerra. Pertanto proponiamo l’immediata cessazione delle ostilità e di qualsiasi tipo di operazione militare nella regione del Kurdistan, il congelamento dei risultati del referendum e l’inizio di un dialogo aperto tra il governo kurdo e quello federale sulla base della costituzione irachena”.

Un passo indietro a cui Baghdad per ora non ha risposto ma che significa molto per la leadership di Barzani, costretto ad arretrare dalle difficoltà politiche e economiche che attanagliano la regione. Con i partiti di opposizione, a partire da Gorran, che ne chiedevano le dimissioni e con il crollo delle esportazioni di greggio verso la Turchia a causa dell’avanzata irachena a Kirkuk, il Kdp rischiava il collasso e la perdita dell’autonomia ottenuta nel 1991.

L’ultimo mese ha visto salire giorno dopo giorno la tensione interna, prima con le minacce di isolamento di Turchia e Iran, poi con il blocco dei voli da e per Erbil e il mandato d’arresto spiccato dalla Corte suprema irachena nei confronti del vice presidente Rasul. E infine con l’operazione militare delle truppe irachene, sostenute dalle milizie sciite, che ha costretto i peshmerga alla ritirata da buona parte delle zone contese, da Sinjar a Diyala.

Domenica il premier iracheno al-Abadi ha detto di non voler alcuno scontro con le forze peshmerga, sebbene ieri alla Reuters un portavoce dell’esercito iracheno avrebbe comunque parlato di un prosieguo dell’avanzata militare: “Le operazioni militari non hanno nulla a che vedere con la politica”, avrebbe detto. Nel mirino ci sarebbe il valico di Fish-Khabur, tra Iraq, Siria e Turchia, al momento sotto il controllo kurdo ma su cui Baghdad vuole imporre la propria autorità. Luogo strategico per le esportazioni di greggio che il governo centrale considera area contesa.

Ma la prospettiva di uno scontro interno appare distruttiva per uno Stato semi-fallito, dove i vertici delle istituzioni non hanno il controllo di tutto il paese e dove la guerra allo Stato Islamico non si è conclusa con la cacciata degli islamisti dalle loro roccaforti.

Intanto, ieri il parlamento autonomo del Kurdistan – dopo la decisione di sospendere le elezioni parlamentari e presidenziali previste per il primo novembre – aveva votato per rinviare il voto di otto mesi. Nessuna data precisa è stata fornita, sebbene fonti del Kdp dicano che a breve i parlamentari indicheranno anche il giorno delle elezioni.

Sospese anche le attività della presidenza, ufficio di cui fa parte Barzani, il vice Rasul del partito rivale Puk e il capo del gabinetto Hussein: un colpo duro per il presidente che nella pratica si è visto negare l’estensione del mandato, già scaduto due volte, nel 2013 e nel 2015.


 

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