Fonte: Il Faro sul Mondo

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Dic 03, 2017

 

Israele vuole prendere il Sinai usando l’Isis

di  Salvo Ardizzone

 

A inizio settimana, il ministro israeliano Gila Gamliel ha proposto l’istituzione di uno Stato palestinese in Sinai, un’iniziativa che la dice lunga sul fatto che il Governo di Tel Aviv non ha alcuna intenzione di accettare uno Stato indipendente in Palestina, e che intende continuare ad occupare le terre dei palestinesi; una posizione che non è una novità perché infinite volte la leadership israeliana ha manifestato il suo diniego a una Palestina indipendente.

 

Solo per citare alcuni casi, a inizio maggio, pochi giorni prima della visita di Trump, il ministro e leader del partito The Jewish Home Naftali Bennett ha affermato che uno Stato palestinese non ci sarebbe mai stato; due anni prima, l’allora capo della Commissioni Esteri e Difesa della Knesset Tzachi Hanegbi ha dichiarato che una dichiarazione unilaterale in merito da parte dell’Autorità Palestinese avrebbe originato una crisi; appena pochi giorni fa, il vice ministro degli Esteri Tzipi Hotovely, commentando le proposte di Trump per una pace fra israeliani e palestinesi, ha affermato che uno Stato palestinese non è l’obiettivo del Governo e che un dibattito sulla Palestina avrebbe messo in pericolo l’esistenza di Israele.

 

Lo stesso ex Segretario di Stato americano John Kerry, in un’intervista a Israeli Channel 10 resa il 19 novembre, ha dichiarato che l’attuale Governo israeliano è contro la nascita di uno Stato palestinese.

 

Con questi presupposti, Tel Aviv cerca una soluzione che sembrerebbe aver trovato in Sinai: di concerto con l’Arabia Saudita, con cui è sempre più evidente l’alleanza, intende mettere alle strette l’Egitto aprendo la strada ad una sua spartizione sulla falsariga del copione più volte reiterato invano in Siria ed Iraq. Nel frattempo, ha favorito l’acquisto di terre in Sinai da parte di palestinesi israeliani, liberandosi da quella che considera una presenza fastidiosa e aprendo la via all’insediamento dei palestinesi in territorio egiziano.

 

A fare da motore al disegno israeliano c’è Wilayat Sinai, il gruppo terroristico Ansar Bayt al Maqdis affiliatosi all’Isis nel 2014 cambiando nome; i quadri dell’Isis, sconfitti in Siria e Iraq, sono in cerca di una nuova collocazione, e il Sinai è un rifugio ideale per molti di loro. Il territorio è stato abbandonato dal Cairo, che ha discriminato pesantemente la popolazione beduina e ha condotto l’area ad una crisi economico-sociale spaventosa; una situazione ideale per le infiltrazioni dei terroristi a cui l’Egitto ha risposto con una repressione brutale quanto inutile, che ha buttato le popolazioni in braccio all’Isis e condotto il Sinai fuori controllo.

 

Un quadro favorevole ai disegni di Israele e agli interessi di Arabia Saudita e Stati Uniti: lo spaventoso massacro della settimana scorsa alla moschea sufi è servito a mostrare che l’Isis, malgrado le definitive sconfitte in Siria e Iraq, non è morto, ma è servito pure a destabilizzare il territorio per avere il pretesto di realizzarvi i propri progetti.

Sono i fatti a dimostrare che Washington, Riyadh e Tel Aviv sono alleati dell’Isis; a parte la manifesta coincidenza d’interessi, basta ricordare che i daesh non hanno mai attaccato i militari israeliani malgrado siano stati sul loro confine nella zona di Quneitra, nella Siria meridionale; al contempo, ci sono un’infinità di prove e dichiarazioni sul sostegno di Israele ai terroristi, non solo riforniti ma curati negli ospedali militari.

 

Dopo la dichiarazione israeliana in merito alla costituzione di uno Stato palestinese nel Sinai, il ministro degli Esteri egiziano Sameh Shoukry ha dichiarato che l’Egitto non ne cederà alcuna porzione, né permetterà ad alcuno d’impadronirsene, ma il Governo egiziano si trova in una posizione difficile: a parte i crescenti problemi di sicurezza che stanno fortemente danneggiando l’immagine di al-Sisi, ci sono quelli economici che stanno aggravando le tensioni sociali.

 

Senza l’incondizionato appoggio Usa, al momento quanto meno ambiguo, e con l’Arabia Saudita indirizzata su una deriva avventurista e nei fatti ostile, se il Cairo intende evitare il collasso della sicurezza e il conseguente pericolo di vedersi scippato il Sinai, dovrà sostituire la tradizionale partnership con Washington e Riyadh con l’avvicinamento all’alleanza fra Russia e Asse della Resistenza, che sulla scena siriana ha mostrato tutta la sua efficacia. La riprova che si tratti di una via obbligata ben chiara al Cairo, sta nel fatto che in questi giorni al-Sisi sta negoziando con il primo ministro russo Dmitry Medvedev l’utilizzo delle rispettive basi ed aeroporti militari.

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