Originale: The Independent

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25 novembre  2017

 

Il presidente dell’Egitto di fronte a problemi gravi

di Robert Fisk

Traduzione di Maria Chiara Starace

 

Il massacro nella moschea nel Sinai dimostra ciò che da mesi molte persone  sospettavano in Egitto: che l’Isis – anche senza una rivendicazione diretta, finora – sta prendendo il controllo della penisola, prendendo sempre più di mira i funzionari e la polizia del presidente Abdel Fattah al-Sisi, dimostrando, così, che la sconfitta tattica in Iraq e in Siria, per l’Isis significa semplicemente un cambio di luogo.

 

La “caduta” del Sinai – che forse si è estesa fino a Sharm e-sheikh, il resort turistico presumibilmente “sicuro”- indebolirebbe ulteriormente le sfacciate affermazioni di al-Sisi, espresse dopo il suo colpo, che avrebbe posto fine al “terrorismo” in Egitto.

 

Questa presunta battaglia ha portato alla carcerazione di 60.000 prigionieri politici egiziani – presumibilmente “terroristi”, ma molti di loro sono invece giovani uomini disgustati dall’effettiva dittatura di al-Sisi – e a un numero indeterminato di omicidi e di sparizioni. Come al solito, però, ieri il mondo ha scelto di inviare le condoglianze alle vittime innocenti dei nemici di al-Sisi. Inevitabilmente, le vittime del regime sono state dimenticate, mentre la strage “malvagia e vigliacca di almeno 235 fedeli nella moschea di al-Rawda, vicino ad al-Arish, è stata condannata dalla Nato, da Theresa May e da una legione di altri leader occidentali.

 

Alla riunione d‘emergenza del gabinetto di al-Sisi indetta in seguito – in questi giorni al Cairo ci sono ancora tanti altri incontri “d’emergenza” del governo – ci saranno state domande sul modo in cui gli assassini sia con bombe che sparando, sono riusciti a massacrare così tanti civili, un gran numero dei quali benevoli verso le forze di sicurezza. Questo ha il potenziale per essere un “crimine”? Bisogna farsi questa domanda dato che i recenti casi di uccisioni nel Sinai che ufficialmente hanno provocato più di 30 morti (anche la cifra potrebbe essere più alta) hanno incluso anche un’imboscata di più di 10 generali importanti della polizia e dell’esercito che si supponeva stessero facendo un agguato all’Isis.

Questo forse è l’elemento più grave nell’attuale insurrezione nel Sinai, che si è presa le vite di migliaia di altre persone, compresi i membri della minoranza cristiana, i soldati e la polizia. Per ben oltre un anno, l’esercito egiziano ha usato attacchi aerei contro gli insorti – uno schema che segue tristemente l’inizio della guerra civile siriana. Più di due anni fa, al-Sisi inviò gli uomini della sua sicurezza a discutere con il governo siriano del modo in cui trattare i loro oppositori. Chi sa quando le autorità siriane saranno invitate a mandare i loro funzionari a consigliare gli egiziani?

 

Per l’Occidente, naturalmente, l’aumento della vasta azione nel Sinai, legata all’Isis,

macchia tutte quelle affermazioni – da parte dell’Iran e anche degli americani e dei britannici – che la setta è stata sgominata. Evidentemente l’Egitto è il prossimo obiettivo. Fin dagli attacchi al Cairo, ad Alessandria e in altre città a ovest del Nilo, è chiaro che l’Isis ha già “attraversato il fiume”. Nel Sinai non si sta al sicuro – ma non si è sicuri neanche al Cairo.

 

Inutile dirlo, l’Egitto riceverà ancora più facilmente appoggio militare dall’Occidente – la spedizione di al-Sisi in Francia all’inizio di questo mese per fare spese militari –  sarà, senza dubbio, ripetuta. E l’aumento di armamenti renderà più forti le forze armate egiziane e quindi il governo di al-Sisi si sentirà ancora più ardito baldanzoso ad arrestare o a torturare i suoi oppositori politici. L’Isis deve certamente sapere che al-Sisi è sempre più impopolare in Egitto: le sue promesse di ripresa economica dopo un periodo di austerità, finora si sono rivelate false. E le elezioni, come dicono, sono incombenti.

 

L’unica cosa su cui le autorità egiziane possono contare, è che ai media è stato praticamente impedito di  fare servizi sulla guerra del Sinai. E così le perdite, il cui numero  potrebbe essere molto più alto di quello dichiarato – in gran parte non  sono state segnalate o sono state ignorate, perché considerate “falsificazioni” dai militari. Il massacro del Sinai è stato il più sanguinoso dell’attuale guerra islamista contro il governo del Cairo. Non sarà l’ultimo.

 


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte https://zcomm.org/znetarticle/egypts-president-facing-serious-questions

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