Al Jazeera

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9 – 10 marzo 2017

 

Campus Egitto: gli studenti contro il regime.

di Amr Hamzawy

 

I campus universitari restano un luogo di opposizione al nuovo autoritarismo e alle sue politiche. Viaggio nei gruppi studenteschi dal golpe del 2013 ad oggi

 

Roma, 9 – 10  marzo 2017, Nena News –

 

Sull’onda del golpe militare del 2013, gli studenti affiliati o simpatizzanti della Fratellanza Musulmana hanno manifestato nelle università pubbliche per chiedere il ritorno del deposto presidente Mohammed Morsi. Le loro proteste hanno trasformato le università in un nuovo terreno di scontro tra forze di sicurezza e studenti mentre i nuovi governanti egiziani optavano per la distruzione dell’attivismo studentesco. Il giro di vite è stato duro.

I generali al governo hanno usato leggi, regolamenti, procedure e strumenti di sicurezza per schiacciare gli studenti dissidenti. Il governo ha impiegato compagnie di sicurezza private per pattugliare i campus delle università pubbliche e spinto le amministrazioni universitarie ad applicare dure punizioni contro gli studenti che non si piegavano.

Il procuratore generale ha mandato centinaia di studenti dissidenti davanti a corti militari, molti di più quelli in detenzione. Nell’anno accademico dopo il golpe, almeno 14 studenti sono stati uccisi in scontri nei campus e centinaia sono stati arrestati o sospesi. Gli studenti, tuttavia, hanno continuare a organizzare proteste nelle università pubbliche e a mobilitarsi contro i candidati pro-governativi alle elezioni dei consigli studenteschi.

Nel primo semestre dell’anno accademico 2013-2014, ci sono state 1.677 proteste studentesche in università pubbliche in tutto l’Egitto, con i più grandi numeri registrati all’Università al-Azhar, i cui campus sono sparpagliati in diverse province del paese, l’Università del Cairo, l’Università Ain Shams e l’Università di Alessandria.

Di fronte alla crescente violenza sponsorizzata dallo Stato, diversi gruppi studenteschi hanno cominciato a rigettare per intero le misure costituzionali, legali e politiche adottate dal nuovo ordine politico. Le richieste degli studenti si sono gradualmente spostate dall’enfasi sul ritorno di Morsi alla presidenza alla denuncia della repressione del governo militare egiziano sulla Fratellanza Musulmana, i partiti di sinistra e quelli liberali, le Ong indipendenti.

Tra il 2013 e il 2016 i gruppi studenteschi hanno protestato contro la messa al bando dei Fratelli Musulmani e la loro designazione come entità “terrorista”. Hanno condannato le stragi di massi di membri e sostenitori della Fratellanza nella dispersione violenta dei sit-in il 14 agosto 2013. Hanno preso posizioni dure in merito all’implicazione dei servizi di sicurezza nelle violazioni dei diritti umani, nei campus e altrove. Hanno chiesto processi per i poliziotti coinvolti nell’omicidio di studenti durante le proteste e l’immediato rilascio di quelli imprigionati e detenuti per ragioni politiche e di quelli scomparsi.

Alcune proteste hanno condannato la previsione della costituzione del 2014 che prevede processi militari per i civili e l’approvazione di leggi anti-democratiche come quella contro le proteste e quelle contro il terrorismo.

Inoltre, gli sforzi per frenare il ruolo dei servizi di sicurezza nei campus sono diventati i primi della lista dell’agenda studentesca. Tra il 2013 e il 2016 gli studenti hanno organizzate molte veglie per esprimere dissenso con la decisione del Consiglio supremo delle Università egiziane del settembre 2013 che ha dato alle unità amministrative di sicurezza attive nei campus la responsabilità di “mantenere la sicurezza e prevenire tumulti, violenze e bullismo”.

I studenti hanno anche protestato contro le basi legali della consegna a queste unità del diritto di spiccare mandati d’arresto e aprire processi contro gli studenti. La decisione del Consiglio supremo ha nella pratica ribaltato la sentenza del 2010 di una corte che ha bandito ogni forza di sicurezza dalle università.

Nonostante le proteste degli studenti, i servizi di sicurezza hanno mantenuto la propria presenza nei campus. Infatti il nuovo ordine autoritario ha messo in piedi un insieme di strumenti di ampia portata per reprimere l’attivismo studentesco.

Nel 2013 il presidente ad interim Adly Mansour ha emendato l’Atto di Organizzazione delle Università (atto n. 49 del 1972) per dare ai presidi delle università pubbliche l’autorità di espellere – senza vertenza – gli studenti accusati dall’amministrazione dell’ateneo di sovvertire il processo educativo, mettere in pericolo le strutture universitarie, prendere di mira i membri dello staff accademico e amministrativo o incitare alla violenza.

Da quando l’emendamento è stato approvato, le amministrazioni universitarie hanno dimostrato un’elevata propensione ad assumere misure punitive contro gli studenti coinvolti nelle proteste. Nell’anno accademico 2013-2014, ad esempio, 1.052 studenti sono stati rimandati agli uffici disciplinari per indagini e oltre 600 sono stati espulsi. A decine di loro è stato impedito di completare gli esami.

Questa campagna repressiva è continuata nell’anno accademico 2014-2015 e ha portato ad un periodo di stasi delle proteste. Nel primo semestre gli studenti hanno organizzato 572 proteste, con il più altro numero di nuovo nelle università di Al-Azhar, Cairo, Ain Shams e Alessandria.

Gli studenti che hanno partecipato erano membri dei Fratelli Musulmani, di partiti liberali e di gruppi di sinistra, che sempre di più hanno cominciato ad opporsi al nuovo autoritarismo. Questi ultimi gruppi hanno assorbito membri di partiti come lo Strong Egypt Party, il Bread and Liberty Party, il Constitution Party e il Movimento dei socialisti rivoluzionari.

Gli scontri frequenti nei campus tra studenti da una parte e unità amministrative e unità private di sicurezza dall’altra nell’anno accademico 2014-2015 hanno permesso un aumento drammatico del numero di forze di sicurezza operanti negli spazi universitari. La dispersione violenta di veglie pacifiche è diventata la norma e spesso si è tradotta in arresti di massa e uccisione di alcuni studenti. Lo Stato ha inoltre utilizzato altri strumenti repressivi per distruggere l’attivismo studentesco, come l’espulsione, gli arresti e i processi, in genere chiusi con condanne dure.

La scena politica negli atenei egiziani è cambiata drasticamente nell’anno accademico 2015-2016. Il vibrante attivismo studentesco, che aveva caratterizzato i due anni precedenti, è per lo più scomparso rivelando l’efficacia degli strumenti repressivi applicati. Le poche proteste di questo periodo erano veglie e manifestazione volte a mostrare solidarietà con gli studenti detenuti. Ma non sono comunque rimaste impunite da amministrazioni e servizi di sicurezza. Trentadue studenti sono stati arrestati nel primo semestre e cinquantadue nel secondo. A compiere gli arresti sono state sia le unità di sicurezza amministrative che quelle private e la polizia, la cui presenza è rimasta visibile nei campus.

Nonostante il minore spazio per l’attivismo studentesco, due incidenti significativi nell’anno accademico 2015-2016 hanno mostrato che i gruppi di studenti non erano stati del tutto domati. Il primo risale alla fine del 2015 quando il governo, attraverso il Ministero dell’Educazione superiore, ha tentato – con un relativo insuccesso – di controllare le elezioni dei consigli studenteschi nelle università pubbliche. Il secondo è dell’aprile 2016 quando gli studenti si sono uniti ad altre veglie e manifestazioni contro la firma dell’accordo sui confini marittimi tra Egitto e Arabia Saudita.

Nell’ottobre 2015 il Ministero dell’Educazione superiore ha dato istruzione alle amministrazioni universitarie perché escludessero certi studenti dal candidarsi alle elezioni studentesche. Nello specifico coloro accusati di essere membri o simpatizzanti della Fratellanza Musulmana, così come quelli che avevano guidato o partecipato alle proteste anti-governative e avevano subito misure disciplinari.

L’8 ottobre il Ministero ha emesso un decreto ministeriale, il n. 4307 del 2015, per tramutare questi cambiamenti in legge. Il decreto prevede che i candidati alle elezioni studentesche non debbano essere affiliati a organizzazioni o entità che sono considerate criminali dalla legge o dichiarate “terroriste”. Prevede inoltre che la storia universitaria dei candidati sia pulita, priva di sanzioni disciplinari.

Le elezioni studentesche si sono tenute in tutte le università pubbliche nel novembre 2015 e hanno partecipato tre principali piattaforme di studenti. La Voce della Coalizione studentesca egiziana – che aveva forti legami con le amministrazioni d’ateneo e, attraverso di loro, con i servizi di sicurezza – ha fatto pressioni per la depoliticizzazione delle università.

Gli studenti liberali e di sinistra hanno aspirato ad opporsi al nuovo autoritarismo e a rinvigorire l’attivismo studentesco. Gruppi di studenti indipendenti hanno rigettato i legami sia con il governo che con le opposizioni: hanno creato gruppi come rappresentanti dei diritti e gli interessi del corpo studentesco. Intanto ai Fratelli Musulmani veniva impedito di candidarsi.

Studenti liberali, di sinistra e indipendenti hanno vinto la maggior parte dei seggi, umiliando i candidati pro-governativi. I legami con le amministrazioni e i servizi di sicurezza e la promozione di campagne organizzate dal Ministero dell’Educazione superiore hanno fallito nell’assicurare il successo della Voce della Coalizione.

Due membri indipendenti sono stati eletti all’ufficio esecutivo dell’Unione Generale degli Studenti egiziani, ombrello di tutti i gruppi esistenti. I risultati inattesi delle elezioni hanno dimostrato che l’opposizione al governo tra gli studenti era ancora significativa e che l’assalto governativo all’attivismo studentesco non aveva sradicato la politica dai campus né messo sotto silenzio i gruppi di studenti.

Sono state le sole elezioni in cui i candidati pro-governativi hanno perso e uno dei pochi sistemi elettorali che i servizi di sicurezza non sono riusciti a controllare. Un enorme contrasto con le elezioni presidenziali del 2014, le parlamentari del 2015 e le elezioni dei consigli delle associazioni professionali.

Dopo le elezioni il Ministero ha provato a rovesciare i risultati. Ha rifiutato di ratificarli e negato all’unione eletta le basi legali alla sua esistenza. Nel dicembre 2015 il Ministero ha dissolto l’ufficio esecutivo dell’Unione Generale degli Studenti egiziani, citando un “errore procedurale”. Queste misure evidenziano gli sforzi del nuovo autoritarismo per assicurarsi di non perdere il controllo delle università pubbliche.

All’inizio del 2017 i generali al potere in Egitto hanno continuato a perseguire i gruppi studenteschi che resistono al giro di vite e che si mobilitano contro gli interventi nelle università. Le proteste contro l’accordo marittimo tra Egitto e Arabia Saudita ha poi evidenziato come l’università rimanga un luogo di opposizione al nuovo autoritarismo e alle sue politiche.

Le proteste contro l’accordo sono partite dalle università e si sono poi diffuse nella società. I gruppi studenteschi e studenti non affiliati hanno organizzato manifestazioni massive tra il 15 e il 25 aprile 2016 in molti campus in tutto il paese, in tandem con la più vasta mobilitazione incentrata intorno al sindacato dei giornalisti.

Come nel caso del sindacato i servizi hanno usato una forza eccessiva per smantellare le proteste studentesche dell’aprile 2016 e arrestato numerosi studenti, che poi si sono ritrovati in tribunale. Tuttavia, l’ampia partecipazione a quelle proteste ha messo in evidenza che l’interesse degli studenti negli affari pubblici e nelle questioni politiche non è stata vanificata e che il giro di vite dei militari non è riuscito a depoliticizzare le università pubbliche.

 

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